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giovedì 13 giugno 2013

Famiglie e terapia della famiglia. La terapia strutturale di Salvador Minuchin (1974)

Nel 1914 Ortega y Gasset scriveva "Io sono me stesso più le mie circostanze, e se non le salvo, non posso salvare me stesso" (Minuchin, 1974, p. 13). Per dare un'immagine a questa affermazione Ortega y Gasset si avvalse di una storia: il comandante Peary raccontava che nel suo viaggio verso il polo, si diresse tutta la notte verso nord, facendo correre vivacemente i suoi cani da slitta. La sera controllò le sue bussole e si accorse che era molto più a sud del mattino precedente. Tutta la giornata aveva viaggiato faticosamente verso il nord camminando sulla superficie di un enorme iceberg trascinato a sud dalla corrente oceanica.
Secondo Minuchin, l'esperienza umana è determinata dall'interazione con l'ambiente; l'uomo non è se stesso senza i fatti che condizionano il suo destino.
Il caso di Alice nel paese delle meraviglie
Nel famoso film della Disney, Alice cresce a dismisura fino a occupare, con il suo corpo, tutta la casa. Minuchin paragona la terapia intrapsichica al cambiare Alice, e la terapia strutturale al cambiare Alice all'interno della sua stanza.
"Alice" è una paziente con disturbi del pensiero paranoidi, vissuta per venticinque anni nello stesso appartamento. 
Un giorno la donna tornò a casa e trovò l'appartamento svaligiato. Decise quindi di trasferirsi e chiamò una compagnia di traslochi. Di lì in poi iniziò il suo incubo: le persone che l'aiutavano con il trasloco spostavano ciò che le apparteneva mettendo gli oggetti nei posti sbagliati, perdevano gli oggetti preziosi e cercavano di controllare dove andava, scambiandosi segni di nascosto. 
La donna ricevette dallo psichiatra dei tranquillanti, ma la sua esperienza non cambiò. Fu visitata allora da un altro psichiatra che lasciò di proposito davanti a lei delle bottiglie. La donna pensò subito che fossero pericolose, e il medico raccomandò il ricovero. Ma la donna rifiutò.
Un altro terapeuta i cui interventi erano basati sulla comprensione dell'ambiente dei vecchi e delle persone sole le spiegò che aveva perduto il suo guscio: la casa precedente della quale conosceva ogni oggetto, il circondario e i vicini. A questo punto come ogni crostaceo che perde il suo guscio era vulnerabile. La realtà aveva un diverso effetto su di lei. Il terapeuta la rassicurò dicendo che i problemi sarebbero scomparsi quando le fosse cresciuto un nuovo guscio.
Quanto tempo ci sarebbe voluto?
Doveva togliere dall'imballaggio tutto ciò che le apparteneva, appendere i quadri che avevano abbellito il suo precedente appartamento, mettere i libri negli scaffali, sistemare il suo appartamento affinchè diventasse familiare. 
Tutti i suoi movimenti dovevano essere fatti sistematicamente. Doveva alzarsi a una certa ora, far compere a un tempo prestabilito, andare negli stessi negozi, pagare alla stessa cassa, etc. Non doveva provare a fare nuove amicizie nel quartiere per due settimane. Doveva andare nella zona dove aveva abitato e far visita ai vecchi amici, ma per non gravare sugli amici e sulla famiglia non avrebbe dovuto descrivere nessuna delle sue esperienze. Se qualcuno le avesse chiesto che problemi aveva, doveva rispondere che si trattava unicamente di sciocchi problemi da vecchi paurosi. 
Questo intervento aiutava la paziente a stabilire una routine per accrescere il senso di familiarità con il nuovo territorio. Doveva esplorare ed esaminare la nuova strana zona in cui viveva, allo stesso modo degli animali. La paurosa esperienza di non familiarità con l'ambiente era stata interpretata, da questa donna sola come una cospirazione alle sue spalle. 
Nella misura in cui aveva cercato di comunicare le sue esperienze, la risposta dell'ambiente era stata quella di amplificare la sua percezione di essere anormale e psicopatica. Amici e parenti si erano spaventati e l'avevano spaventata con cospirazioni di segretezza. Due psichiatri le avevano diagnosticato una psicosi con allucinazioni paranoiche e avevano proposto il suo internamento. Una comunità paranoica si era sviluppata intorno a lei.
Un terapeuta comportamentale aveva interpretato il suo trasferimento come una crisi ambientale. 
Seguendo la metafora di Alice nella stanza, aveva percepito che la donna stava cambiando più lentamente del mondo che la circondava. Il suo intervento implicava un cambiamento della donna all'interno del suo mondo dandole un controllo sull'ambiente finchè non le fosse divenuto familiare. Il terapeuta aveva così protetto la donna prendendo in mano la situazione e guidandola "mentre le cresceva il nuovo guscio". Al contempo aveva bloccato i processi di risposta che amplificavano la patologia della paziente. Man mano che il suo intervento cambiava l'esperienza che la donna aveva del proprio ambiente, i sintomi sparivano. 
Ella continuò a vivere nel nuovo appartamento, con l'indipendenza desiderata. Il cambiamento non era avvenuto all'interno o all'esterno della paziente, ma nel modo di porsi in relazione con l'ambiente.
L'intervento strutturale opera sul processo di risposta tra l'ambiente e la persona che lo sperimenta, sui cambiamenti imposti da una persona sull'ambiente e sul modo in cui la risposta a questi cambiamenti influenza ogni suo conseguente movimento. Uno spostamento di posizione di una persona messa di fronte al suo ambiente costituisce anche una svolta nell'ambito della sua esperienza. Cambiando il rapporto tra una persona e il contesto in cui funziona, si cambia la sua esperienza di soggetto.

Bibliografia
Minuchin, S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma.

martedì 11 giugno 2013

Omaggio a una pioniera dimenticata della psicoanalisi: Sabina Spielrein

Una scena tratta dal film "Prendimi l'anima"(2003) di Roberto Faenza, ispirato alla vita e alle vicende di Sabina Spielrein, interpretato da Emilia Fox e Ian Glen

Sabina Nikolaevna Špil'rejn-Šeftel'
(Сабина Нафтуловна Шпильрейн; 7 novembre 1885 - 12 o 14 agosto, 1942) è stato un medico russo e una delle prime psicoanaliste donna. 
Fu prima paziente, poi studentessa quindi collega di Carl Gustav Jung. Appignanesi e Forrester (1992) scrivono di lei che “inaugurò, come paziente, la sua carriera di analista” (p. 117). Ebbe un rapporto epistolare e professionale con Sigmund Freud. Uno dei suoi più famosi analizzandi fu lo psicologo dell'età evolutiva svizzero Jean Piaget. 
Nonostante il suo lavoro sia di gran lunga antecedente a quello di Melanie Klein – ricordiamo che la tesi di laurea in medicina Il contenuto psicologico di una caso di schizofrenia (dementia praecox) fu discussa nel 1911 e pubblicata lo stesso anno nello Jahrbuch für Psychoanalitische und Psychopathologische Forschungen, dieci anni prima del kleiniano Lo sviluppo di un bambino (1923) – il suo lavoro è stato poco riconosciuto. Carotenuto (1986) sottolinea questo aspetto in particolare in relazione al lavoro La distruzione come causa della nascitascritto nel 1912. Sappiamo infatti che grazie ad esso Freud arriverà ad una diversificazione circa la teoria della pulsione nel 1920, in Al di là del principio di piacere (Robert, 1964; Carotenuto, 1986). Freud citerà la Spielrein nei seguenti termini: “Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein (1912) in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come ‘distruttivo’ ”. 
Scrive Spielrein (1912): “Quando ho scritto questo saggio, non era ancora stato pubblicato il libro del Dr. Stekel Il linguaggio dei sogni. Nel libro l’autore dimostra sulla base di numerosi sogni, che insieme al desiderio di vita noi abbiamo il desiderio di morire. Quest’ultimo desiderio egli lo considera come l’opposto del desiderio di vita che è implicito nell’essenza dell’istinto sessuale [...] Ritengo che i miei esempi dimostrino abbastanza chiaramente, come provano alcuni fatti biologici, che l’istinto riproduttivo è costituito anche dal punto di vista psicologico da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione” (p. 114). 
La Spielrein fondò intorno al 1923, con Vera Schmidt, l’Asilo Bianco. Tra i lavori della Spielrein in campo infantile ricordiamo L'origine delle parole infantili papà e mamma (1922) e l’utilizzo della tecnica del disegno ad occhi aperti e chiusi (1928). 
Circa il tema del sogno, l’unico volume disponibile in Italia in relazione al lavoro della Spielrein, è ricco di intuizioni teoriche. La Spielrein (1912) nei suoi primi scritti si attiene alle conoscenze già approfondite da Stekel, Freud e Jung sul simbolismo: 

“Una donna mi raccontava che mentre un dente le veniva estratto sotto narcosi aveva sognato il distacco del parto. Non ci meraviglia che nei sogni l’estrazione dei denti si presti così bene a simbolizzare il distacco del parto. Ora abbiamo: distacco del parto = estrazione dei denti = castrazione, cioè la procreazione viene intesa come una castrazione” (p. 111). 

L’autrice tuttavia, in maniera coraggiosa rispetto a quanto riterrà utile in seguito Melanie Klein, non avrà particolari remore nell’esprimere le sue idee in netto contrasto con Freud. 
In Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia, il contributo della Spielrein (1911) diventa quindi particolarmente originale: 

“Il materiale da me raccolto offrirà numerose prove per gli studiosi che analizzano l’analogia tra sogno, psicosi e mito. L’esistenza di un tale rapporto mi pare possibile solo ipotizzando che un modo di pensare arcaico agisca ancora nel presente” (pp. 73-74). 

Secondo l’autrice, il linguaggio schizofrenico non è illogico, bensì può essere compreso se letto attraverso i codici di un linguaggio più arcaico, rispetto a quello di cui si fa uso corrente: tale linguaggio è direttamente legato a quello del sogno. 
La Spielrein offre quindi un approfondimento di questo punto di vista nello scritto Il tempo nella vita psichica subliminale (1922) in cui collega i pensieri preconsci a quelli coscienti ma presenti nel sogno: 

Ancor più nettamente spaziale è un altro sogno del signore pocanzi menzionato, che vede una situazione per lui penosa come un paesaggio che diventa sempre più piccolo, perdendosi in lontananza. Egli vuole dire cioè, come nel suo precedente sogno: “ciò appartiene al passato remoto”, cioè come nel suo precedente sogno: “ciò apparterrà fra poco al passato remoto”. E’ ancora una volta un divenire, che è tanto presente continuo quanto futuro. Ed ecco un altro esempio interessante di come si raffigura la valutazione della durata temporale nel pensiero preconscio [...] “Io sogno” mi scrive, “che mi trovo in una grande piazza bianca, asfaltata. Da qui si dipartono strade in varie direzioni: quella a est porta verso il mare. Io vado a ovest e dico fra me e me che devo svegliarmi fra due ore. La strada verso ovest è in leggera salita e viene tagliata due volte ad angolo retto da strade dritte. Io penso: ecco la prima ora, ecco la seconda”. [...] Si tratta veramente di un sogno? – un sogno è qualcosa di più. Possiamo osservare direttamente come un proposito cosciente, quello di svegliarsi dopo due ore, continui a vivere e ad essere elaborato, travestito col linguaggio figurato del preconscio: i due tratti di tempo (le due ore) diventano due tratti di strada; questa immagine viene poi adoperata come materiale onirico.
(Spielrein, 1922, p. 118). 

In questo scritto la Spielrein (1922) sembra precorrere il pensiero di Bion (1967); quindi spiega che il contenuto del sogno riguarda la rappresentazione della situazione presente del sognatore, talvolta modificata per questioni di comodità di utilizzo del materiale onirico (il sognatore deve ricordare di svegliarsi).
Spielrein (1922) pone quindi il problema dell’essenza del sogno. Ricordiamo che per Freud si parla di sogno solo quando c’è la formazione di un desiderio. Ma l’autrice nota che ad esempio, negli stati di grave affaticamento è difficile sognare, e che non sempre il sogno riguarda l’appagamento di un desiderio. Definisce sogni incompleti quei sogni che, fatti in uno stato di angoscia, depressione grave o stato di affaticamento, sembrano più simili ad una rappresentazione della situazione presente del sognatore che ad appagamenti di un desiderio. Quindi rileva la somiglianza tra il linguaggio onirico e quello di alcune lingue che “non conoscono il tempo come direzione, ma solo come durata” (p. 120). Il russo, ad esempio secondo l’autrice, ha molte analogie con il linguaggio del sogno: “il linguaggio verbale in questi casi crea le proprie rappresentazioni, così come nel sogno, attingendo a materiale preconscio” (p. 122).
Riepilogando Spielrein (1922) fornisce le seguenti informazioni sul sogno: il sogno non si può raffigurare come direzione; nel sogno la direzione è trasformata in durata; il passato nel sogno non è un vero passato ma un “non-esserci” ovvero un “non-esserci-più”; il sogno, come il pensiero del bambino, non distingue la direzione temporale ma soltanto la direzione finale o futura.
Il contributo della Spielrein appare subito innovativo rispetto ai temi presentati durante la stessa epoca dai suoi colleghi maschi. Spielrein non parla più soltanto di desiderio (Freud) o di simbolo (Jung), ma fa riferimento allo stato mentale del sognatore in relazione al sogno (stati depressivi, stati psicotici), e alle capacità del sogno di pensare contenuti coscienti (elementi coscienti emergono nel sogno ad uso del sognatore).
La Spielrein, cercando di centrare il bersaglio nel trattare il complesso argomento del lavoro onirico, azzarda interessanti paragoni tra linguaggio del sogno e linguaggio arcaico, linguaggio del sogno e Preconscio, linguaggio del sogno e lingue che non distinguono le coordinate temporali con esattezza come il russo; inoltre, Spielrein cerca di cogliere gli aspetti atemporali dell’elemento onirico nelle sue complesse sfaccettature. 

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