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venerdì 13 novembre 2015

Wilfred Bion: la funzione alfa

Wilfred Bion
Wilfred Bion psicoanalista inglese, nato in India, si trasferì in Inghilterra, dove si laureò in storia e in medicina. Fu paziente e allievo di Melanie Klein e uno dei maggiori studiosi della sua teoria (Andreassi, 2010).
Nel 1933 approfondì, al Tavistock Institute, i meccanismi di insorgenza delle psicosi. L’interesse per la schizofrenia lo indusse a studiare la nascita e lo sviluppo dei processi di pensiero.
Secondo Bion (1962) il pensare è una funzione della personalità. La funzione, nell’accezione bioniana, riguarda tutto ciò che concerne la mente, dunque non solo cognizione, ma, in senso cartesiano, tutti gli strumenti dell’elaborazione psicoanalitica, dunque anche sensazioni ed affetti (Bion, 1962). 
Bion (1963) spiega che gli elementi α (emotional experience) riguardano i pensieri onirici e i miti, le preconcezioni, le concezioni, i concetti, il sistema scientifico deduttivo, il calcolo algebrico. Gli elementi β (sense impressions) sono invece le afferenze sensoriali ed emotive elementari (ovvero non elaborate). Entrambi gli elementi compongono il pensiero. Mediante la funzione α è possibile metabolizzare sensazioni ed emozioni elementari, secondo Bion, come avviene durante la digestione.
In questo modo l’autore prefigura uno scenario di “preconcezioni” e “concezioni”. Le prime sono forme di “pensiero consistente in un’aspettativa, una sorta di schema che prefigura l’oggetto soddisfacitorio” (Lis, Stella, Zavattini, 1999, p. 280); mentre le seconde riguardano gli oggetti che, essendo pensati, vengono riempiti di impressioni sensoriali tali da saturare le preconcezioni.
Bion ritiene che lo sviluppo del pensiero è riconducibile al momento in cui il bambino sperimenta l’assenza dell’oggetto. Per Bion, a differenza di Freud, il bambino che è in possesso di una certa tolleranza alla frustrazione riesce a rappresentarsi l’oggetto come assente e gratificante.
Se invece il bambino non è in grado di tollerare la frustrazione, rappresenterà l’oggetto come irreale, cattivo, no-thing (Bion, 1962). L’oggetto così configurato deriva dall’accumulo di elementi beta, che devono essere eliminati. Dice Bion: “I pensieri, ovverosia quei primitivi elementi che sono i protopensieri, sono oggetti cattivi, di cui si ha bisogno e di cui, dato che sono cattivi, bisogna liberarsi. E’ possibile liberarsi di essi o evitandoli o modificandoli, e se la personalità è dominata dall’impulso ad evadere la frustrazione tale problema è risolto per mezzo dell’evacuazione; invece se si tratta di una personalità dominata dall’impulso a modificare la frustrazione, il problema viene risolto col pensare gli oggetti” (Bion, 1962, p. 146).
Bion dunque, in maniera discordante rispetto a ciò che affermava la Klein, non ritiene che l’assenza di un oggetto gratificante venga immediatamente trasformata in una sensazione, da parte del bambino, dell’oggetto vissuto come cattivo e persecutorio.
L’autore approfondisce la sua teoria sulla funzione alfa, affermando che la madre partecipa allo sviluppo della capacità del bambino di dare una risposta emotiva corretta. Ella funge da contenitore: elaborando gli elementi beta del bambino, proietta in lui le strutture mentali adatte ad elaborare la sensazione di frustrazione, paura e angoscia. Il bambino in questo modo introietta la funzione di contenitore della madre (la funzione alfa); dunque fornisce l’introiezione dell’oggetto buono (Bion, 1962).
La funzione della madre in grado di metabolizzare gli elementi beta è chiamata da Bion rêverie materna: essa consente al bambino di digerire il vissuto non pensato, ovvero tutto ciò che concerne le sensazioni presimboliche e viscerali.
Bion fa anche riferimento al mito; che partecipa al processo di sviluppo del pensiero del bambino: il mito concerne una conoscenza primordiale “che può essere compreso indipendentemente dal suo rapporto con gli altri elementi” (Bion, 1962, p. 61). In tal senso l’Edipo, secondo Bion, è “l’apparato mediante il quale l’Io prende contatto con la realtà” (ibidem, p. 115).
Il genere di interazione precedentemente descritta definisce il modello di Bion contenitore-contenuto; questa, insieme all’oscillazione descritta dalla Klein (1932) tra PS↔D – posizione schizoparanoide e depressiva – determina il modello di sviluppo psicologico bioniano.

martedì 11 giugno 2013

Omaggio a una pioniera dimenticata della psicoanalisi: Sabina Spielrein

Una scena tratta dal film "Prendimi l'anima"(2003) di Roberto Faenza, ispirato alla vita e alle vicende di Sabina Spielrein, interpretato da Emilia Fox e Ian Glen

Sabina Nikolaevna Špil'rejn-Šeftel'
(Сабина Нафтуловна Шпильрейн; 7 novembre 1885 - 12 o 14 agosto, 1942) è stato un medico russo e una delle prime psicoanaliste donna. 
Fu prima paziente, poi studentessa quindi collega di Carl Gustav Jung. Appignanesi e Forrester (1992) scrivono di lei che “inaugurò, come paziente, la sua carriera di analista” (p. 117). Ebbe un rapporto epistolare e professionale con Sigmund Freud. Uno dei suoi più famosi analizzandi fu lo psicologo dell'età evolutiva svizzero Jean Piaget. 
Nonostante il suo lavoro sia di gran lunga antecedente a quello di Melanie Klein – ricordiamo che la tesi di laurea in medicina Il contenuto psicologico di una caso di schizofrenia (dementia praecox) fu discussa nel 1911 e pubblicata lo stesso anno nello Jahrbuch für Psychoanalitische und Psychopathologische Forschungen, dieci anni prima del kleiniano Lo sviluppo di un bambino (1923) – il suo lavoro è stato poco riconosciuto. Carotenuto (1986) sottolinea questo aspetto in particolare in relazione al lavoro La distruzione come causa della nascitascritto nel 1912. Sappiamo infatti che grazie ad esso Freud arriverà ad una diversificazione circa la teoria della pulsione nel 1920, in Al di là del principio di piacere (Robert, 1964; Carotenuto, 1986). Freud citerà la Spielrein nei seguenti termini: “Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein (1912) in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come ‘distruttivo’ ”. 
Scrive Spielrein (1912): “Quando ho scritto questo saggio, non era ancora stato pubblicato il libro del Dr. Stekel Il linguaggio dei sogni. Nel libro l’autore dimostra sulla base di numerosi sogni, che insieme al desiderio di vita noi abbiamo il desiderio di morire. Quest’ultimo desiderio egli lo considera come l’opposto del desiderio di vita che è implicito nell’essenza dell’istinto sessuale [...] Ritengo che i miei esempi dimostrino abbastanza chiaramente, come provano alcuni fatti biologici, che l’istinto riproduttivo è costituito anche dal punto di vista psicologico da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione” (p. 114). 
La Spielrein fondò intorno al 1923, con Vera Schmidt, l’Asilo Bianco. Tra i lavori della Spielrein in campo infantile ricordiamo L'origine delle parole infantili papà e mamma (1922) e l’utilizzo della tecnica del disegno ad occhi aperti e chiusi (1928). 
Circa il tema del sogno, l’unico volume disponibile in Italia in relazione al lavoro della Spielrein, è ricco di intuizioni teoriche. La Spielrein (1912) nei suoi primi scritti si attiene alle conoscenze già approfondite da Stekel, Freud e Jung sul simbolismo: 

“Una donna mi raccontava che mentre un dente le veniva estratto sotto narcosi aveva sognato il distacco del parto. Non ci meraviglia che nei sogni l’estrazione dei denti si presti così bene a simbolizzare il distacco del parto. Ora abbiamo: distacco del parto = estrazione dei denti = castrazione, cioè la procreazione viene intesa come una castrazione” (p. 111). 

L’autrice tuttavia, in maniera coraggiosa rispetto a quanto riterrà utile in seguito Melanie Klein, non avrà particolari remore nell’esprimere le sue idee in netto contrasto con Freud. 
In Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia, il contributo della Spielrein (1911) diventa quindi particolarmente originale: 

“Il materiale da me raccolto offrirà numerose prove per gli studiosi che analizzano l’analogia tra sogno, psicosi e mito. L’esistenza di un tale rapporto mi pare possibile solo ipotizzando che un modo di pensare arcaico agisca ancora nel presente” (pp. 73-74). 

Secondo l’autrice, il linguaggio schizofrenico non è illogico, bensì può essere compreso se letto attraverso i codici di un linguaggio più arcaico, rispetto a quello di cui si fa uso corrente: tale linguaggio è direttamente legato a quello del sogno. 
La Spielrein offre quindi un approfondimento di questo punto di vista nello scritto Il tempo nella vita psichica subliminale (1922) in cui collega i pensieri preconsci a quelli coscienti ma presenti nel sogno: 

Ancor più nettamente spaziale è un altro sogno del signore pocanzi menzionato, che vede una situazione per lui penosa come un paesaggio che diventa sempre più piccolo, perdendosi in lontananza. Egli vuole dire cioè, come nel suo precedente sogno: “ciò appartiene al passato remoto”, cioè come nel suo precedente sogno: “ciò apparterrà fra poco al passato remoto”. E’ ancora una volta un divenire, che è tanto presente continuo quanto futuro. Ed ecco un altro esempio interessante di come si raffigura la valutazione della durata temporale nel pensiero preconscio [...] “Io sogno” mi scrive, “che mi trovo in una grande piazza bianca, asfaltata. Da qui si dipartono strade in varie direzioni: quella a est porta verso il mare. Io vado a ovest e dico fra me e me che devo svegliarmi fra due ore. La strada verso ovest è in leggera salita e viene tagliata due volte ad angolo retto da strade dritte. Io penso: ecco la prima ora, ecco la seconda”. [...] Si tratta veramente di un sogno? – un sogno è qualcosa di più. Possiamo osservare direttamente come un proposito cosciente, quello di svegliarsi dopo due ore, continui a vivere e ad essere elaborato, travestito col linguaggio figurato del preconscio: i due tratti di tempo (le due ore) diventano due tratti di strada; questa immagine viene poi adoperata come materiale onirico.
(Spielrein, 1922, p. 118). 

In questo scritto la Spielrein (1922) sembra precorrere il pensiero di Bion (1967); quindi spiega che il contenuto del sogno riguarda la rappresentazione della situazione presente del sognatore, talvolta modificata per questioni di comodità di utilizzo del materiale onirico (il sognatore deve ricordare di svegliarsi).
Spielrein (1922) pone quindi il problema dell’essenza del sogno. Ricordiamo che per Freud si parla di sogno solo quando c’è la formazione di un desiderio. Ma l’autrice nota che ad esempio, negli stati di grave affaticamento è difficile sognare, e che non sempre il sogno riguarda l’appagamento di un desiderio. Definisce sogni incompleti quei sogni che, fatti in uno stato di angoscia, depressione grave o stato di affaticamento, sembrano più simili ad una rappresentazione della situazione presente del sognatore che ad appagamenti di un desiderio. Quindi rileva la somiglianza tra il linguaggio onirico e quello di alcune lingue che “non conoscono il tempo come direzione, ma solo come durata” (p. 120). Il russo, ad esempio secondo l’autrice, ha molte analogie con il linguaggio del sogno: “il linguaggio verbale in questi casi crea le proprie rappresentazioni, così come nel sogno, attingendo a materiale preconscio” (p. 122).
Riepilogando Spielrein (1922) fornisce le seguenti informazioni sul sogno: il sogno non si può raffigurare come direzione; nel sogno la direzione è trasformata in durata; il passato nel sogno non è un vero passato ma un “non-esserci” ovvero un “non-esserci-più”; il sogno, come il pensiero del bambino, non distingue la direzione temporale ma soltanto la direzione finale o futura.
Il contributo della Spielrein appare subito innovativo rispetto ai temi presentati durante la stessa epoca dai suoi colleghi maschi. Spielrein non parla più soltanto di desiderio (Freud) o di simbolo (Jung), ma fa riferimento allo stato mentale del sognatore in relazione al sogno (stati depressivi, stati psicotici), e alle capacità del sogno di pensare contenuti coscienti (elementi coscienti emergono nel sogno ad uso del sognatore).
La Spielrein, cercando di centrare il bersaglio nel trattare il complesso argomento del lavoro onirico, azzarda interessanti paragoni tra linguaggio del sogno e linguaggio arcaico, linguaggio del sogno e Preconscio, linguaggio del sogno e lingue che non distinguono le coordinate temporali con esattezza come il russo; inoltre, Spielrein cerca di cogliere gli aspetti atemporali dell’elemento onirico nelle sue complesse sfaccettature. 

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