giovedì 13 giugno 2013

Famiglie e terapia della famiglia. La terapia strutturale di Salvador Minuchin (1974)

Nel 1914 Ortega y Gasset scriveva "Io sono me stesso più le mie circostanze, e se non le salvo, non posso salvare me stesso" (Minuchin, 1974, p. 13). Per dare un'immagine a questa affermazione Ortega y Gasset si avvalse di una storia: il comandante Peary raccontava che nel suo viaggio verso il polo, si diresse tutta la notte verso nord, facendo correre vivacemente i suoi cani da slitta. La sera controllò le sue bussole e si accorse che era molto più a sud del mattino precedente. Tutta la giornata aveva viaggiato faticosamente verso il nord camminando sulla superficie di un enorme iceberg trascinato a sud dalla corrente oceanica.
Secondo Minuchin, l'esperienza umana è determinata dall'interazione con l'ambiente; l'uomo non è se stesso senza i fatti che condizionano il suo destino.
Il caso di Alice nel paese delle meraviglie
Nel famoso film della Disney, Alice cresce a dismisura fino a occupare, con il suo corpo, tutta la casa. Minuchin paragona la terapia intrapsichica al cambiare Alice, e la terapia strutturale al cambiare Alice all'interno della sua stanza.
"Alice" è una paziente con disturbi del pensiero paranoidi, vissuta per venticinque anni nello stesso appartamento. 
Un giorno la donna tornò a casa e trovò l'appartamento svaligiato. Decise quindi di trasferirsi e chiamò una compagnia di traslochi. Di lì in poi iniziò il suo incubo: le persone che l'aiutavano con il trasloco spostavano ciò che le apparteneva mettendo gli oggetti nei posti sbagliati, perdevano gli oggetti preziosi e cercavano di controllare dove andava, scambiandosi segni di nascosto. 
La donna ricevette dallo psichiatra dei tranquillanti, ma la sua esperienza non cambiò. Fu visitata allora da un altro psichiatra che lasciò di proposito davanti a lei delle bottiglie. La donna pensò subito che fossero pericolose, e il medico raccomandò il ricovero. Ma la donna rifiutò.
Un altro terapeuta i cui interventi erano basati sulla comprensione dell'ambiente dei vecchi e delle persone sole le spiegò che aveva perduto il suo guscio: la casa precedente della quale conosceva ogni oggetto, il circondario e i vicini. A questo punto come ogni crostaceo che perde il suo guscio era vulnerabile. La realtà aveva un diverso effetto su di lei. Il terapeuta la rassicurò dicendo che i problemi sarebbero scomparsi quando le fosse cresciuto un nuovo guscio.
Quanto tempo ci sarebbe voluto?
Doveva togliere dall'imballaggio tutto ciò che le apparteneva, appendere i quadri che avevano abbellito il suo precedente appartamento, mettere i libri negli scaffali, sistemare il suo appartamento affinchè diventasse familiare. 
Tutti i suoi movimenti dovevano essere fatti sistematicamente. Doveva alzarsi a una certa ora, far compere a un tempo prestabilito, andare negli stessi negozi, pagare alla stessa cassa, etc. Non doveva provare a fare nuove amicizie nel quartiere per due settimane. Doveva andare nella zona dove aveva abitato e far visita ai vecchi amici, ma per non gravare sugli amici e sulla famiglia non avrebbe dovuto descrivere nessuna delle sue esperienze. Se qualcuno le avesse chiesto che problemi aveva, doveva rispondere che si trattava unicamente di sciocchi problemi da vecchi paurosi. 
Questo intervento aiutava la paziente a stabilire una routine per accrescere il senso di familiarità con il nuovo territorio. Doveva esplorare ed esaminare la nuova strana zona in cui viveva, allo stesso modo degli animali. La paurosa esperienza di non familiarità con l'ambiente era stata interpretata, da questa donna sola come una cospirazione alle sue spalle. 
Nella misura in cui aveva cercato di comunicare le sue esperienze, la risposta dell'ambiente era stata quella di amplificare la sua percezione di essere anormale e psicopatica. Amici e parenti si erano spaventati e l'avevano spaventata con cospirazioni di segretezza. Due psichiatri le avevano diagnosticato una psicosi con allucinazioni paranoiche e avevano proposto il suo internamento. Una comunità paranoica si era sviluppata intorno a lei.
Un terapeuta comportamentale aveva interpretato il suo trasferimento come una crisi ambientale. 
Seguendo la metafora di Alice nella stanza, aveva percepito che la donna stava cambiando più lentamente del mondo che la circondava. Il suo intervento implicava un cambiamento della donna all'interno del suo mondo dandole un controllo sull'ambiente finchè non le fosse divenuto familiare. Il terapeuta aveva così protetto la donna prendendo in mano la situazione e guidandola "mentre le cresceva il nuovo guscio". Al contempo aveva bloccato i processi di risposta che amplificavano la patologia della paziente. Man mano che il suo intervento cambiava l'esperienza che la donna aveva del proprio ambiente, i sintomi sparivano. 
Ella continuò a vivere nel nuovo appartamento, con l'indipendenza desiderata. Il cambiamento non era avvenuto all'interno o all'esterno della paziente, ma nel modo di porsi in relazione con l'ambiente.
L'intervento strutturale opera sul processo di risposta tra l'ambiente e la persona che lo sperimenta, sui cambiamenti imposti da una persona sull'ambiente e sul modo in cui la risposta a questi cambiamenti influenza ogni suo conseguente movimento. Uno spostamento di posizione di una persona messa di fronte al suo ambiente costituisce anche una svolta nell'ambito della sua esperienza. Cambiando il rapporto tra una persona e il contesto in cui funziona, si cambia la sua esperienza di soggetto.

Bibliografia
Minuchin, S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma.

martedì 11 giugno 2013

La ricerca del Sé. Introspezione, empatia e psicoanalisi:rapporto tra modalità di osservazione e teoria (Kohut, H., 1959)

(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)


Alcuni concetti chiave:
Psicologia del Sé: sottolinea che sono le relazioni esterne, le relazioni con gli altri avente origine nelle cure genitoriali a fare in modo che l’individuo acquisisca e mantenga una adeguata autostima e coesione del Sé, garantendo la sua sopravvivenza emotiva nel corso della intera vita. L’investimento libidico del Sé è il fondamento della salute psichica; è al centro dell’apparato psichico primitivo e la sua coesione risulta fondamentale per lo sviluppo successivo dell’Io. Il Sé è anche il centro della personalità e consente all’individuo di viversi come un polo autonomo. Il Sé è alimentato dalla relazione con gli altri, dalla relazione materna. Pertanto una inadeguata relazione madre-bambino conduce il Sé a ripiegarsi su se stesso e a fissarsi su una posizione narcisistica; in tal modo l’esperienza del Sé si disintegra ed origina un Sé “grandioso”. C’è un fisiologico sviluppo narcisistico della personalità a partire da una grandiosità arcaica che sfocia in un narcisismo sano e costruttivo, base dell’autostima. Qualità del narcisismo evoluto sono la creatività, la produttività, l’umorismo e la saggezza.

Metodo Introspettivo: “Assumere utilmente un vertice di osservazione di tipo empatico significa tentare di cogliere, nel modo più coerente possibile, l’esperienza soggettiva del paziente, inclusi i sentimenti che egli prova nei confronti dell’analista, dalla prospettiva propria del paziente stesso. Una delle conseguenze più importanti di questo cambiamento del metodo di osservazione è il fatto che il focus analitico principale non è più costituito dalla sottolineatura della discrepanza tra l’esperienza interna del paziente e la realtà, ma dalla necessità di catturare (cioè di comprendere e spiegare) la logica arcaica dell’esperienza interna, senza giudicarla dalla prospettiva di realtà propria dell’analista” (Ornstein, 1998, p. 135).

Nell'introduzione al volume La ricerca del Sé Franco Paparo mette in evidenza sostanzialmente due aspetti: il primo aspetto riguarda la descrizione del suo incontro e confronto, nel 1971, come psichiatra e psicoanalista impegnato nella pratica con pazienti gravi - sia essi psicotici, sia affetti da organizzazione a limite - con il contributo teorico di Kohut. Paparo spiega quindi che la teoria di Kohut riguarda nello specifico la formulazione della patologia del Sé; i costrutti riguardanti l'empatia (1959); le forme e le trasformazioni del Narcisismo (1966); la rabbia narcisistica (1972). La portata innovativa dei contributi teorici sollecitarono Paparo a promuovere una raccolta dei saggi da tradurre in italiano; quindi a conoscere ed avviare la collaborazione con Kohut. Da questo lavoro emergeranno contenuti volti a bonificare il concetto di Narcisismo. Tali contenuti, se inizialmente venivano riferiti sottovoce, troveranno nel 1977 una piena affermazione. Per definire cos’è che porta alla cura della patologia del Sé, si rende necessario riesaminare criticamente un ampio spettro di contenuti teorici già stabiliti in precedenza dalla psicoanalisi (Kohut, 1977). Kohut evidenzia subito il carattere introspettivo-empatico dell'esperienza del Sé iscrivendolo nel registro della psicologia del profondo e differenziandolo sia dalle strutture dell'Io, Es e Super-io - con diversa elaborazione concettuale -, sia dai concetti di Personalità e Identità che come dice Kohut (1971) non originano dal registro Psicoanalitico; accanto ad una psicologia del Sé in senso stretto, nel quale il Sé rappresenta un semplice contenuto della mente, va considerata una psicologia del Sé in senso lato, nel quale il Sé costituisce un centro indipendente d'iniziativa.
Il secondo aspetto che viene preso in esame, riguarda la presentazione dei sei capitoli del libro La ricerca del Sé. In questo lavoro, tratteremo il primo capitolo: “Introspezione, empatia e psicoanalisi”. Questo punto di partenza nel pensiero di Kohut, sancisce una prima nozione fondamentale: l’indagine sul mondo esterno attraverso i nostri organi di senso corrisponde all’indagine nel mondo interno attraverso l’introspezione e l’empatia, definita anche introspezione vicariante.


Introspezione, empatia e psicoanalisi

Kohut implementa una definizione circa i fenomeni fisici e psicologici: quando operiamo un’osservazione attraverso gli organi di senso, abbiamo semplicemente un fenomeno fisico. Quando l'osservazione è condotta attraverso l’empatia e l’introspezione abbiamo un fenomeno psicologico. Questa affermazione va intesa in senso ampio: così come vi sono pianeti invisibili a influenzare pianeti direttamente osservabili, così nella Psicoanalisi, le strutture psicologiche dell'inconscio e del preconscio possono essere considerate in un quadro di esperienze di introspezione, vissute o potenziali. Ora la domanda è la seguente: l’introspezione e l’empatia fanno sempre parte di ogni osservazione psicologica? A tale riguardo Kohut porta un esempio: la visione di una persona eccezionalmente alta. Osservare l’attributo fisico dell’altezza da un punto di vista privo di empatia ed introspezione, significa osservare un attributo squisitamente fisico! Ma se proviamo a metterci al posto della persona alta - cioè rivisitiamo nostre esperienze interne nelle quali ci siamo fatti notare per qualche attributo - accadono in noi due cose: una è quella di riconoscere il significato che può avere quella statura, e l'altra è quella di aver osservato un fatto psicologico. Conseguenza di quest'ultimo punto, è che quando osserviamo solo gli aspetti fisici in assenza di empatia ed introspezione non osserviamo il fatto psicologico di un’azione, ma solamente il fatto fisico dei movimenti. Ma cos’è un atto psicologico? La domanda è necessaria perché uno schema di movimenti con un suo fine preciso non basta a definire un atto psicologico.
Possiamo osservare un fenomeno “somatico”, “comportamentale” o “sociale” quando il nostro metodo di osservazione non include in modo prevalente introspezione ed empatia. Quindi possiamo definire i fenomeni come Mentali, Psichici o Psicologici, se la nostra modalità di osservazione include introspezione ed empatia come costituenti essenziali. Il termine essenziale sta a significare che introspezione ed empatia non possono mai mancare ma al contempo possono essere mescolate con altri metodi di osservazione; anche se poi il risultato finale è quello di un atto introspettivo o empatico. L'uso dell'empatia entra nella nostra vita di tutti i giorni e la nostra sensibilità psicologica è facilitata quando osserviamo persone con cui abbiamo qualche radice culturale comune; ma anche quando incontriamo persone che ci sembrano lontane da noi, confidiamo di capirle da un punto di vista Psicologico, attraverso la scoperta di una esperienza comune con la quale empatizzare! I pionieri dell’introspezione e dell’empatia per eccellenza sono stati già Freud e Breuer; tuttavia, altri aspetti dell’inconscio, dei fenomeni psicologici normali e patologici; le libere associazioni, l’analisi delle resistenze etc. hanno oscurato il fatto che il primo passo di questa scienza fosse l’introspezione e l’empatia. L’analisi delle libere associazioni e l’analisi delle resistenze sono da considerarsi strumenti ausiliari a servizio del metodo di osservazione introspettivo ed empatico. Ora la dimostrazione importante è quella di definire come questo metodo di osservazione determini il contenuto e i limiti del campo osservato; ma ancor di più la connessione fra introspezione e teoria psicoanalitica, e come il misconoscimento di quelle aeree ha portato ad omissioni ed errori.


Resistenze all’introspezione

La resistenza alla libera associazione è una funzione difensiva della mente, come una sorta di paura da parte del paziente di conoscere contenuti inconsci e i loro derivati. Ci sono altresì ragioni recondite che potrebbero essere ricondotte alla paura di rimanere “sguarniti e nudi” di fronte a tensioni emergenti. Di fatti, è come se fossimo più attrezzati ad un pensiero finalizzato ad un’azione.  L’introspezione si “oppone” a tale dinamica, in quanto la terapia analitica prepara “in toto” alla libertà di azione, e la libera associazione in se stessa prepara ad un rimaneggiamento strutturale attraverso una aumentata capacità a tollerare la tensione. Le apprensioni circa il dispendio di energie sia psichiche sia materiali nel senso di costi economici, sembrerebbero nascondere la paura dell’inattività di fronte al flusso di energia derivante dall’introspezione; come una sorta di evasione dalla realtà (questa può essere presente nelle forme patologiche). Tuttavia, il fatto che se ne possa fare un uso sbagliato, non ci deve distogliere dalla realtà che nei casi migliori essa è attiva, investigativa e intraprendente. Nella sua massima potenza, essa è animata ad ampliare ed approfondire il nostro campo di conoscenza.

Organizzazione mentale precoce
E’ fuori di dubbio che l’attendibilità dell’empatia diminuisca tanto più l’osservatore sia diverso dall’osservato, e in tal senso, gli stati mentali primitivi diventano una sfida alla capacità di empatizzare con una persona (o meglio con un assetto mentale passato). Nelle concettualizzazioni di Freud sulle “nevrosi attuali” l’introspezione non ha portato nessun risultato psicologico, se non angoscia e dolore. Tant’è vero che questi risultati portarono Freud a considerare tale tipo di nevrosi come il risultato di disturbi organici; da indagare pertanto con strumenti biochimici. Di fronte a stati psicopatologici gravi vennero messi in atto degli espedienti operativi. Invece di estendere una forma rudimentale di empatia agli stati primitivi, si confusero le osservazioni ottenute con il metodo introspettivo, con le teorie basate sul metodo dell’osservazione della psicologia sociale (relazione madre-bambino). Questo tipo di processi aldilà dell’empatia e dell’adattamento che ne deriva, sono simili al movimento dell’acqua del ruscello che incontra, i massi prima di confluire nel fiume. All’estremo opposto di questi processi, troviamo gli stati psicologici più vicini alla nostra empatia, al nostro processo logico e alla facoltà di scelta e di decisione.

Conflitto endopsichico e conflitto interpersonale
Kohut mette in evidenza una differenza tra diversi tipi di conflitti, in relazione alla gravità della psicopatologia: essi riguardano le strutture Es, Io e Super-Io per i pazienti nevrotici, mentre l’ambito interpersonale per pazienti più gravi (psicotici o disturbi al limite). I conflitti interpersonali sono relativi alle relazioni arcaiche (il Sé non adeguatamente formato nella relazione oggettuale risulta carente e bisognoso di appoggio per formare la propria identità e il carattere). 
Kohut, che nel 1959 non ha ancora formulato una teoria sistematica per i disturbi narcisistici, parte da una critica opposta alla psicoanalisi: esaminando la convinzione che la psicoanalisi non sia “sufficientemente interpersonale”, rivolge la sua attenzione ai termini “relazione interpersonale”, “interazione”, “transazione”, di solito prese in esame dagli psicologi sociali. In realtà agli occhi del lettore moderno appare già evidente che ciò che l’autore sta proponendo per semplice giustapposizione, è in realtà un radicale cambio di paradigma (Strozier, 2001). Kohut tuttavia cita il modello strutturale di Freud del 1922, facendo riferimento all’autonomia dell’Io (Hartmann, 1939), come modello della mente. Che significato psicoanalitico ha il termine “interpersonale”?  
Conflitto strutturale, nevrosi di traslazione, traslazione.  
Lo stesso Freud si occupò di investigare le psiconevrosi usando l’introspezione e l’empatia. Tuttavia il risultato di questa ricerca si focalizzò principalmente sulla scoperta dell’inconscio e del fenomeno della traslazione. Freud (1899) definì la traslazione come influenza dell’inconscio sul preconscio, al di là della barriera della rimozione. Manifestazioni principali della traslazione sono sogni, sintomi, aspetti del modo in cui l’analizzando percepisce l’analista. La Traslazione indica come l’inconscio influisce sulla parte più accessibile all’introspezione della psiche (vedi cap. 2 Concetti e teorie della psicoanalisi § “il concetto di traslazione”, p. 57). Mediante l’uso dell'introspezione emerse ciò che Freud chiamò conflitto strutturale (endopsichico). Esso riguarda la lotta tra le pulsioni infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (nevrosi di traslazione). (Es.: un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io[1] inconscio dell’analizzando). 
Conflitto interpersonale, psicosi e disturbi al limite, metodo introspettivo. 
La psicoanalisi ha ampliato il proprio campo di indagine fino ad includere la psicosi. Le due prime e più importanti scoperte nel campo della psicosi furono quelle di Freud nel 1914(b) - parla di ipocondria psicotica mediante il riconoscimento empatico o introspettivo - e Tausk che nel 1919 parla del delirio schizofrenico di essere influenzato da una macchina (delirio di riferimento); esso riguarda la riesumazione di una parte primitiva del Sé, ovvero una regressione a esperienze somatiche penose ed angosciose dopo la perdita di contatto con l’esperienza del “Tu”.
I disturbi narcisistici[2] e gli stati limite a differenza delle nevrosi, rivelano mediante l'introspezione prolungata, una psiche non strutturata ovvero una psiche il cui principale sforzo è quello di mantenere un contatto con l’oggetto arcaico, o una tenue separazione da esso (conflitto interpersonale). L’analista in questo caso non funge da schermo per la proiezione della struttura interna dell’analizzando come per le nevrosi, bensì diventa una “continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (p. 17). L'analista è sperimentato introspettivamente nel quadro di una relazione interpersonale arcaia: egli è il vecchio oggetto con il quale l'analizzando cerca di mantenere un contatto, separare la propria identità o trarre un minimo di struttura interna. 
In tal senso il fulcro del conflitto è la relazione, nello specifico la relazione arcaica con i genitori, che non ha permesso un corretto sviluppo delle strutture psichiche e del Sé. Es.: un paziente schizofrenico arriva in seduta in uno stato di freddezza e riserbo. La notte precedente ha sognato un campo innevato e sterile, in cui una donna gli offre il seno, ma lui scopre che il seno era di gomma. La freddezza del paziente e il suo sogno si scoprono essere la reazione ad un rifiuto minimo ma significativo dell’analista (conflitto interpersonale). Traslazione e controtraslazione, afferma inoltre Kohut, denotano nient’altro che relazioni interpersonali nel senso della psicologia sociale. 
I due approcci teorici (strutture/nevrosi e relazione/disturbi narcisistici) possono essere combinati mediante il ricorso al concetto-ponte di osservatore partecipante. Il concetto di osservatore partecipante permette di far svanire la distinzione tra oggetto traslativo delle nevrosi strutturali e oggetto interpersonale arcaico dei disturbi narcisistici. Ma, senza questa differenziazione, afferma Kohut, la psicopatologia potrebbe contenere i più differenti fenomeni clinici come varietà o gradi della schizofrenia (Sullivan, 1940).  
Nelle psicosi e nei disturbi limite, i conflitti interpersonali arcaici occupano una posizione centrale; così come nelle nevrosi, è il conflitto strutturale ad avere importanza strategica. La stessa cosa si applica ai conflitti strutturali nelle psicosi. La scelta è determinata solo in parte dal passato. Mentre è vero che tutte le traslazioni sono ripetizioni, non tutte le ripetizioni sono traslazioni. 
Mediante l'introspezione scientifica prolungata possiamo differenziare: scelte oggettuali non traslative strutturate secondo modelli infantili (es. parte di quanto definito traslazione positiva); dalle vere traslazioni.Le vere traslazioni possono essere risolte da un'introspezione prolungata, le scelte oggettuali non traslative invece, sono al di fuori del conflitto strutturale e non possono essere influenzate dall'introspezione psicoanalitica. 
Kohut riprenderà questo argomento nell’ultimo paragrafo dello scritto, in cui farà più esplicito riferimento al problema del libero arbitrio e del determinismo psichico nella psicoanalisi classica.

Dipendenza 
Una ulteriore importante differenza introdotta da Kohut riguarda la dicotomia biologia/relazione. Tale genere di differenza determina il metodo di osservazione: alcuni concetti teorici derivano dall’osservazione psicoanalitica, ovverosia dalla considerazione biologica della realtà da cui traiamo per astrazione un modello teorico (teoria dello sviluppo psicosessuale); mentre altri concetti derivano da un altro metodo di osservazione: l’introspezione vicariante (o empatia)
Kohut prende come esempio per spiegare questa differenza la sessualità infantile. 
Quindi domanda se ad es. la dipendenza orale (come astrazione teorica psicoanalitica) potrebbe essere connessa all’osservazione interpersonale della dipendenza prolungata, biologicamente inevitabile dell’infante. 
Secondo Kohut, la risposta è affermativa. Questa è un’ipotesi psicoanalitica? Si può dire di si, perché tale ipotesi non sarebbe neppure esistita, senza la premessa della dipendenza biologicamente determinata. Dunque tutto ciò che è psicoanalisi ha una radice nella biologia (come anche il modello pulsionale di Freud). 
Kohut prende quindi in esame il concetto di dipendenza, e ne analizza l’etimologia individuando tre aspetti; biologico, sociologico, psicologico.
Biologico come rapporto tra due organismi. Il neonato è dipendente dalle cure che riceve dall’adulto. Sociologico come rapporto tra due unità sociali. L’adulto, sviluppa solo certe qualità in quanto membro della società ed è quindi dipendente da essa per la sua sopravvivenza. 
Psicologico:diciamo che alcuni pazienti hanno problemi di dipendenza o che li sviluppano nel corso dell’analisi. Cosa intendiamo con dipendenza psicologica?
Dal punto di vista psicoanalitico, le personalità oralmente dipendenti desiderano perpetuare il rapporto con l’analista. Il termine dipendenza orale deriva dall’osservazione psicoanalitica del paziente e costituisce un’astrazione sul suo stato mentale. Ciò combacia con il concetto di regressione ovvero ritorno ad uno stato psicologico pregresso. Ma non si discute il fatto che il lattante è dipendente dalla madre, bensì se lo stato mentale del lattante corrisponde a quanto troviamo nell'analisi dei desideri rimossi di dipendenza di un analizzando adulto! Ovvero: lo stato mentale del lattante corrisponde allo stato mentale di un analizzando adulto con desideri rimossi di dipendenza? 
Secondo Kohut no, e per dimostrarlo fa l’esempio inverso: lo stato mentale ed emotivo dell’analizzando dipendente non è quello del lattante al seno, in quanto un corrispettivo adulto di tale stato riguarderebbe la situazione di una persona totalmente assorta in un’attività di massima importanza per lei (ad es. lo scatto finale di una corsa di 100 mt., il solista nel punto culminante della sua melodia, l’amante nell’acme dell’unione sessuale). 
Se ipotizziamo che la dipendenza dell’adulto è un ritorno ad una primitiva gestalt psicologica, non abbiamo capito la psicologia dei bambini sani. Dunque per Kohut è solo l’osservazione psicologica (empatia circa lo stato reale) che fornisce la prova finale per qualsiasi scoperta: il principio biologico (teorizzazione psicoanalitica) può solo fornire utili indizi. 
E’ quindi sbagliato estrapolare l’interpretazione di uno specifico stato mentale da principi biologici, specialmente se questi contraddicono le osservazioni psicologiche; ad esempio è inutile effettuare un’interpretazione circa la dipendenza orale del paziente senza capire come sta realmente!
La dipendenza descritta come: tendenza di alcuni pazienti adulti a essere timorosi, aggrapparsi ostinatamente, tenersi stretti, avere resistenze a lasciarsi andare, può quindi essere definita secondo Kohut in quattro modi:
Come regressione alla situazione infantile. In questo caso essa non costituisce una replica di una fase normale dello sviluppo psicologico ovvero la regressione allo stato mentale di un bambino normale di genitori normali, ma è ascrivibile alla patologia infantile; nello specifico a fasi successive dell'infanzia in cui il bambino ha avuto esperienze specifiche di rifiuto (intricati miscugli di rabbia, paura e ritorsione). 
Come reazione del paziente per proteggersi dall'angoscia e dal senso di colpa derivati da conflitti strutturali mediante l’attaccamento al terapeuta, portatore mediante proiezione di fantasie narcisistiche benigne e onnipotenti. Quindi: la dipendenza psicologica non riguarda esclusivamente l’oralità. In taluni casi, questo è vero, ma l’osservazione empatica libera da aspettative di ordine biologico, può essere aperta al riconoscimento che una grande varietà di pulsioni, in stato di inappagamento può creare una sottomissione (Hörigkeit) al terapeuta. E’ dunque l’attaccamento ostinato e non l’associazione ad una pulsione a caratterizzare lo stato mentale in questione. 
Come resistenza al cambiamento o adesività della libido. Ci si dovrebbe rivolgere a questa ipotesi solo dopo aver esaurito le precedenti possibilità o in caso di evidenza psicologica. Es.: uno dei trenta superstiti di un campo di concentramento che aveva visto la morte di centomila persone, non riesce a lasciare il campo prima del trascorrere di quattro lunghi giorni, sebbene le guardie naziste fossero fuggite in seguito all’avanzata russa.
Come bisogno, da parte del paziente, del terapeuta per ottenere consolazione e sostegno. Analizzandi con insufficiente struttura psicologica hanno bisogno del terapeuta in quanto hanno realmente necessità di essere consolati e sostenuti. La loro dipendenza non può essere analizzata o ulteriormente ridotta per la comprensione globale: deve essere riconosciuta e accettata. In realtà in questi casi, il compito psicoanalitico maggiore è l’analisi della negazione del bisogno reale: il paziente deve imparare a sostituire le fantasie grandiose mantenute grazie all’isolamento sociale, con l’accettazione per lui penosa, della realtà della sua dipendenza. Ad es.: alcuni tossicodipendenti non hanno acquisito la capacità consolarsi da soli o addormentarsi - non hanno trasformato le antiche esperienze di consolazione e addormentamento in strutture endopsichiche -, pertanto la droga non è il sostituto delle relazioni oggettuali, bensì è un sostituto della struttura psicologica. In psicoterapia questi pazienti presentano la stessa dipendenza che hanno per la droga, per lo psicoterapeuta o la psicoterapia. Tale dipendenza non va confusa con la traslazione: il terapeuta non è uno schermo per la proiezione di strutture psicologiche esistenti, ma un sostituto di esse  
Sessualità, aggressività, pulsioni
In questo caso Kohut prende direttamente in esame il problema della sessualità nella teoria psicoanalitica per darne una definizione. La teorizzazione sulla sessualità ha prodotto una grande quantità di dispute. Secondo Kohut la qualità sessuale di un’esperienza non può essere ben definita né dal contenuto, né dalla zona corporea (rifiuto del modello psicoanalitico classico di sviluppo psicosessuale).  
Una prova dell’effettiva esistenza di desideri sessuali può provenire soltanto da una loro scoperta introspettiva ed empatica. La qualità sessuale dell’esperienza non può essere ulteriormente definita.
Tuttavia gli analisti intendono con il termine sessuale qualcosa di più ampio della sessualità genitale. La sessualità è il residuo di un’esperienza che era nell’infanzia più diffusa (sensualità). Freud (1921a) ha scelto il termine sessuale “a potiori” ovvero dalle più note di questo tipo di esperienze, ha insistito sull’aspetto biologico del termine sessuale per poterne salvaguardare l’aspetto psicologico: usando i termini forza vitale ed energia mentale si creano quindi dei malintesi nel riconoscimento della modalità primaria dell’esperienza, che è stata rifiutata (come per il polo ostilità-aggressività). 
Ciò che noi oggi chiamiamo pulsione, non denota un’energia che funge da motore, ma un’esperienza soggettiva interna con carattere di urgenza, che appare più chiara se messa in relazione alla corrispettiva esperienza interna in termini di investigazione introspettiva. L’esperienza può avere qualità pulsionale (volere, desiderare, tendere) ed è un’astrazione tra innumerevoli esperienze interne; connota una determinata qualità psicologica che non può essere ulteriormente analizzata mediante l’introspezione. 
Pulsione di vita e pulsione di morte pertanto, sono astrazioni teoriche, mentre la psicoanalisi deve concentrarsi sul vissuto reale, e non sulla teoria! Eros e Thanatos non appartengono a una teoria psicologica basata su osservazione introspettiva ed empatica, ma a una teoria biologica basata su un metodo di osservazione diverso. 
Narcisismo e Masochismo primario invece, costituiscono secondo Freud un ritorno a primitive forme di esperienze sessuali e aggressive alle quali corrispondono le forme più recenti (Narcisismo clinico e Masochismo clinico) reattive rispetto alla tensione proveniente dall’ambiente; ciò è coerente ed accettabile per Kohut, in quanto tale concetti trovano espressione nella comprensione psicologica. 
Kohut cita quindi Hartmann, Kris e Loewenstein, (1949) i quali suggeriscono che il biologo trova indizi utili nella psicologia; tuttavia le sue teorie si basano su osservazioni e prove biologiche, e afferma che d’altra parte l’applicazione dell’introspezione a ogni cosa animata non è scientificamente valida (vedi Ferenczi, 1924[3]). 
Kohut ammira l’audacia delle teorie biologiche freudiane, ma i concetti di Eros e Thanatos restano fuori dal quadro della psicologia psicoanalitica. Tuttavia, afferma anche Kohut, Freud rigettava le teorie biologiche se non poteva confermarle mediante l’osservazione psicoanalitica introspettiva. Un esempio lampante di questa posizione è ad es. la concezione freudiana della sessualità femminile (intesa come ritiro da una maschilità delusa) che ha scatenato la questione dell’antifemminismo di Freud. E’ evidente a livello biologico la donna possiede una femminilità primaria[4] e che tale femminilità non si esaurisce nel confronto con la sessualità maschile; tuttavia Freud non cambiò idea sulle sue teorie, in quanto esse trovavano corrispondenza nell’osservazione psicoanalitica: non volle quindi accettare una congettura biologica come un fatto psicologico. La concezione freudiana della sessualità femminile è un esempio della sua adesione al metodo di osservazione introspettiva ed empatica; tuttavia taluni altri concetti rimasero privi di una specificazione basata sulla comprensione empatica. Per quanto riguarda questi ultimi concetti, “accettare il punto di vista dinamico e la concezione di pulsione non è più giustificabile dell’accettare il punto di vista strutturale a livello anatomico”.

Il libero arbitrio e i limiti dell’introspezione
La nostra facoltà di fare una scelta o prendere una decisione è compatibile con la legge del determinismo psichico[5]? (Knight, 1946; Lipton, 1955). Secondo la psicoanalisi non esiste una libera scelta: siamo tutti spinti da forze irrazionali (inconscio) che possiamo solo razionalizzare (tentare di capire); inoltre, tendiamo a ipervalutare narcisisticamente le nostre funzioni psichiche.
Freud sostituisce quanto in precedenza affermato circa l’esistenza di un’area di libertà psichica. Tale esitazione emerge nella nota a piè di pagina in L’Io e L’Es (1922, p. 512) in cui afferma che la psicoanalisi si propone “di creare per l’Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l’altra”. Inoltre, il concetto di Ichtriebe (pulsioni dell’Io), l’affermazione che l’Io si sviluppa dall’Es o che il principio di realtà non è che una modificazione del principio di piacere sono tutte tesi a dimostrazione dell’esitazione di Freud. Le successive teorizzazioni freudiane incorporeranno in maniera implicita il convincimento di una qualche libertà di scelta: l’enfasi sull’Io, i commenti sulla genesi indipendente dell’Io in Analisi terminabile e interminabile (Freud, 1937) sono precursori di quanto noi conosciamo come autonomia dell’Io (Hartmann, 1939). 
Kohut si domanda quindi se in base allo strumento di osservazione introspettivo è possibile operare una riformulazione della questione, per chiarire come avviene la libera scelta. Secondo Kohut l'esperienza di essere obbligati e l'esperienza di indecisione e dubbio possono essere dipanate dall'introspezione. Quando mediante l'introspezione ristabiliamo le motivazioni alla base delle nostre scelte, diventiamo nuovamente consapevoli e ripristiniamo la libera scelta e la capacità di decisione. Possiamo allora risolvere l'esperienza di coazione. Inoltre, l'introspezione non può ulteriormente indagare lo stato della libera scelta, in quanto essa non è scomponibile. 
Ogni scienza ha un numero ottimale di concetti basilari: i limiti della psicoanalisi sono dati dai limiti della possibilità di introspezione e di empatia. Nel campo osservato regna il determinismo psichico. L'introspezione sottoforma di libere associazioni e analisi delle resistenze è potenzialmente capace di rivelare motivazioni e desideri, decisioni, scelte, atti. Tuttavia è necessario riconoscere i limiti oltre i quali lo strumento di osservazione non arriva, e bisogna accettare il fatto che certe esperienze non possono essere allo stato attuale delle conoscenze, ulteriormente chiarite. Ciò che sperimentiamo come libera scelta è l'esperienza dell'Io che non può essere divisa in ulteriori componenti mediante il metodo introspettivo (vedi p. 17).


Bibliografia
Ferenczi, S., (1924), “Thalassa. Psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi”, Tr. it. in Fondamenti di psicoanalisi vol. I Guaraldi, Firenze, 1972.
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Freud, S., (1921a), Psicologia delle masse e analisi dell’Io. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1922), L’Io e l’Es. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1937), Analisi terminabile e interminabile, In Opere, Vol. XI Bollati Boringhieri, Torino
Hartmann, H., (1939), Psicologia dell’Io e il problema dell’adattamento. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1966.
Hartmann, H., Kris, E., Loewenstein, R. M., (1949), “Note sulla teoria dell’aggressività” in Scritti di psicologia psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
Kohut, H., (1966), “Forme e trasformazioni del narcisismo”. Tr. it. in La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1971), Narcisismo e analisi del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Kohut, H., (1972), “Pensieri sul narcisismo e sulla rabbia narcisistica”. Tr. it. in La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1977), La guarigione del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1980.
Kohut, H., (1978), La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1984), La cura psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1986.
Lipton, S. D., (1955), A note on the Compatibility of Psychic Determinism and Freedom of Will. Int. J. Psycho-Analysis, vol. 36, 355-56.
Ornstein, P. H., (1998), “Psicoanalisi dei pazienti con un disturbo primario del Sé. Una prospettiva basata sulla psicologia del Sé”. In I disturbi del narcisismo. Diagnosi, clinica, ricerca. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.
Strozier, C. B., (2001), Heinz Kohut. Biografia di uno psicoanalista. Astrolabio Ubaldini, 2005.
Sullivan, H. S., (1940), La moderna concezione della psichiatria. Feltrinelli, Milano, 1961.
Tausk, V., (1919), “Origine della “macchina influenzatrice” nella schizofrenia”. Tr. it. in W. Reich e altri, Letture di Psicoanalisi a cura di R. Fliess Boringhieri, Torino, 1972.


[1] Imago inconscia del padre. Nella nevrosi, a differenza dei disturbi più gravi ciò avviene in quanto il paziente ha già formato la struttura Superegoica sulla base delle relazioni reali vissute con i genitori.
[2] Kohut fa riferimento alle psicosi e agli stati limite, in quanto all’epoca dello scritto non si era ancora giunti alla classificazione concettuale e clinica dei disturbi narcisistici della personalità analizzabili (p. 16).
[3] Nello scritto Thalassa, Ferenczi affronta il tema dell’ontogenesi e filogenesi, collegando sessualità e psicologia.
[4] Freud osservava nelle sue pazienti una lotta incentrata su desideri fallici e mentre accettava la bisessualità biologica, rifiutava l’idea di una precedente fase psicologica di femminilità senza una conferma a livello psicologico.
[5] Ogni avvenimento psicologico è determinato dal fattore inconscio.

Omaggio a una pioniera dimenticata della psicoanalisi: Sabina Spielrein

Una scena tratta dal film "Prendimi l'anima"(2003) di Roberto Faenza, ispirato alla vita e alle vicende di Sabina Spielrein, interpretato da Emilia Fox e Ian Glen

Sabina Nikolaevna Špil'rejn-Šeftel'
(Сабина Нафтуловна Шпильрейн; 7 novembre 1885 - 12 o 14 agosto, 1942) è stato un medico russo e una delle prime psicoanaliste donna. 
Fu prima paziente, poi studentessa quindi collega di Carl Gustav Jung. Appignanesi e Forrester (1992) scrivono di lei che “inaugurò, come paziente, la sua carriera di analista” (p. 117). Ebbe un rapporto epistolare e professionale con Sigmund Freud. Uno dei suoi più famosi analizzandi fu lo psicologo dell'età evolutiva svizzero Jean Piaget. 
Nonostante il suo lavoro sia di gran lunga antecedente a quello di Melanie Klein – ricordiamo che la tesi di laurea in medicina Il contenuto psicologico di una caso di schizofrenia (dementia praecox) fu discussa nel 1911 e pubblicata lo stesso anno nello Jahrbuch für Psychoanalitische und Psychopathologische Forschungen, dieci anni prima del kleiniano Lo sviluppo di un bambino (1923) – il suo lavoro è stato poco riconosciuto. Carotenuto (1986) sottolinea questo aspetto in particolare in relazione al lavoro La distruzione come causa della nascitascritto nel 1912. Sappiamo infatti che grazie ad esso Freud arriverà ad una diversificazione circa la teoria della pulsione nel 1920, in Al di là del principio di piacere (Robert, 1964; Carotenuto, 1986). Freud citerà la Spielrein nei seguenti termini: “Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein (1912) in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come ‘distruttivo’ ”. 
Scrive Spielrein (1912): “Quando ho scritto questo saggio, non era ancora stato pubblicato il libro del Dr. Stekel Il linguaggio dei sogni. Nel libro l’autore dimostra sulla base di numerosi sogni, che insieme al desiderio di vita noi abbiamo il desiderio di morire. Quest’ultimo desiderio egli lo considera come l’opposto del desiderio di vita che è implicito nell’essenza dell’istinto sessuale [...] Ritengo che i miei esempi dimostrino abbastanza chiaramente, come provano alcuni fatti biologici, che l’istinto riproduttivo è costituito anche dal punto di vista psicologico da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione” (p. 114). 
La Spielrein fondò intorno al 1923, con Vera Schmidt, l’Asilo Bianco. Tra i lavori della Spielrein in campo infantile ricordiamo L'origine delle parole infantili papà e mamma (1922) e l’utilizzo della tecnica del disegno ad occhi aperti e chiusi (1928). 
Circa il tema del sogno, l’unico volume disponibile in Italia in relazione al lavoro della Spielrein, è ricco di intuizioni teoriche. La Spielrein (1912) nei suoi primi scritti si attiene alle conoscenze già approfondite da Stekel, Freud e Jung sul simbolismo: 

“Una donna mi raccontava che mentre un dente le veniva estratto sotto narcosi aveva sognato il distacco del parto. Non ci meraviglia che nei sogni l’estrazione dei denti si presti così bene a simbolizzare il distacco del parto. Ora abbiamo: distacco del parto = estrazione dei denti = castrazione, cioè la procreazione viene intesa come una castrazione” (p. 111). 

L’autrice tuttavia, in maniera coraggiosa rispetto a quanto riterrà utile in seguito Melanie Klein, non avrà particolari remore nell’esprimere le sue idee in netto contrasto con Freud. 
In Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia, il contributo della Spielrein (1911) diventa quindi particolarmente originale: 

“Il materiale da me raccolto offrirà numerose prove per gli studiosi che analizzano l’analogia tra sogno, psicosi e mito. L’esistenza di un tale rapporto mi pare possibile solo ipotizzando che un modo di pensare arcaico agisca ancora nel presente” (pp. 73-74). 

Secondo l’autrice, il linguaggio schizofrenico non è illogico, bensì può essere compreso se letto attraverso i codici di un linguaggio più arcaico, rispetto a quello di cui si fa uso corrente: tale linguaggio è direttamente legato a quello del sogno. 
La Spielrein offre quindi un approfondimento di questo punto di vista nello scritto Il tempo nella vita psichica subliminale (1922) in cui collega i pensieri preconsci a quelli coscienti ma presenti nel sogno: 

Ancor più nettamente spaziale è un altro sogno del signore pocanzi menzionato, che vede una situazione per lui penosa come un paesaggio che diventa sempre più piccolo, perdendosi in lontananza. Egli vuole dire cioè, come nel suo precedente sogno: “ciò appartiene al passato remoto”, cioè come nel suo precedente sogno: “ciò apparterrà fra poco al passato remoto”. E’ ancora una volta un divenire, che è tanto presente continuo quanto futuro. Ed ecco un altro esempio interessante di come si raffigura la valutazione della durata temporale nel pensiero preconscio [...] “Io sogno” mi scrive, “che mi trovo in una grande piazza bianca, asfaltata. Da qui si dipartono strade in varie direzioni: quella a est porta verso il mare. Io vado a ovest e dico fra me e me che devo svegliarmi fra due ore. La strada verso ovest è in leggera salita e viene tagliata due volte ad angolo retto da strade dritte. Io penso: ecco la prima ora, ecco la seconda”. [...] Si tratta veramente di un sogno? – un sogno è qualcosa di più. Possiamo osservare direttamente come un proposito cosciente, quello di svegliarsi dopo due ore, continui a vivere e ad essere elaborato, travestito col linguaggio figurato del preconscio: i due tratti di tempo (le due ore) diventano due tratti di strada; questa immagine viene poi adoperata come materiale onirico.
(Spielrein, 1922, p. 118). 

In questo scritto la Spielrein (1922) sembra precorrere il pensiero di Bion (1967); quindi spiega che il contenuto del sogno riguarda la rappresentazione della situazione presente del sognatore, talvolta modificata per questioni di comodità di utilizzo del materiale onirico (il sognatore deve ricordare di svegliarsi).
Spielrein (1922) pone quindi il problema dell’essenza del sogno. Ricordiamo che per Freud si parla di sogno solo quando c’è la formazione di un desiderio. Ma l’autrice nota che ad esempio, negli stati di grave affaticamento è difficile sognare, e che non sempre il sogno riguarda l’appagamento di un desiderio. Definisce sogni incompleti quei sogni che, fatti in uno stato di angoscia, depressione grave o stato di affaticamento, sembrano più simili ad una rappresentazione della situazione presente del sognatore che ad appagamenti di un desiderio. Quindi rileva la somiglianza tra il linguaggio onirico e quello di alcune lingue che “non conoscono il tempo come direzione, ma solo come durata” (p. 120). Il russo, ad esempio secondo l’autrice, ha molte analogie con il linguaggio del sogno: “il linguaggio verbale in questi casi crea le proprie rappresentazioni, così come nel sogno, attingendo a materiale preconscio” (p. 122).
Riepilogando Spielrein (1922) fornisce le seguenti informazioni sul sogno: il sogno non si può raffigurare come direzione; nel sogno la direzione è trasformata in durata; il passato nel sogno non è un vero passato ma un “non-esserci” ovvero un “non-esserci-più”; il sogno, come il pensiero del bambino, non distingue la direzione temporale ma soltanto la direzione finale o futura.
Il contributo della Spielrein appare subito innovativo rispetto ai temi presentati durante la stessa epoca dai suoi colleghi maschi. Spielrein non parla più soltanto di desiderio (Freud) o di simbolo (Jung), ma fa riferimento allo stato mentale del sognatore in relazione al sogno (stati depressivi, stati psicotici), e alle capacità del sogno di pensare contenuti coscienti (elementi coscienti emergono nel sogno ad uso del sognatore).
La Spielrein, cercando di centrare il bersaglio nel trattare il complesso argomento del lavoro onirico, azzarda interessanti paragoni tra linguaggio del sogno e linguaggio arcaico, linguaggio del sogno e Preconscio, linguaggio del sogno e lingue che non distinguono le coordinate temporali con esattezza come il russo; inoltre, Spielrein cerca di cogliere gli aspetti atemporali dell’elemento onirico nelle sue complesse sfaccettature. 

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