martedì 11 giugno 2013

Omaggio a una pioniera dimenticata della psicoanalisi: Sabina Spielrein

Una scena tratta dal film "Prendimi l'anima"(2003) di Roberto Faenza, ispirato alla vita e alle vicende di Sabina Spielrein, interpretato da Emilia Fox e Ian Glen

Sabina Nikolaevna Špil'rejn-Šeftel'
(Сабина Нафтуловна Шпильрейн; 7 novembre 1885 - 12 o 14 agosto, 1942) è stato un medico russo e una delle prime psicoanaliste donna. 
Fu prima paziente, poi studentessa quindi collega di Carl Gustav Jung. Appignanesi e Forrester (1992) scrivono di lei che “inaugurò, come paziente, la sua carriera di analista” (p. 117). Ebbe un rapporto epistolare e professionale con Sigmund Freud. Uno dei suoi più famosi analizzandi fu lo psicologo dell'età evolutiva svizzero Jean Piaget. 
Nonostante il suo lavoro sia di gran lunga antecedente a quello di Melanie Klein – ricordiamo che la tesi di laurea in medicina Il contenuto psicologico di una caso di schizofrenia (dementia praecox) fu discussa nel 1911 e pubblicata lo stesso anno nello Jahrbuch für Psychoanalitische und Psychopathologische Forschungen, dieci anni prima del kleiniano Lo sviluppo di un bambino (1923) – il suo lavoro è stato poco riconosciuto. Carotenuto (1986) sottolinea questo aspetto in particolare in relazione al lavoro La distruzione come causa della nascitascritto nel 1912. Sappiamo infatti che grazie ad esso Freud arriverà ad una diversificazione circa la teoria della pulsione nel 1920, in Al di là del principio di piacere (Robert, 1964; Carotenuto, 1986). Freud citerà la Spielrein nei seguenti termini: “Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein (1912) in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come ‘distruttivo’ ”. 
Scrive Spielrein (1912): “Quando ho scritto questo saggio, non era ancora stato pubblicato il libro del Dr. Stekel Il linguaggio dei sogni. Nel libro l’autore dimostra sulla base di numerosi sogni, che insieme al desiderio di vita noi abbiamo il desiderio di morire. Quest’ultimo desiderio egli lo considera come l’opposto del desiderio di vita che è implicito nell’essenza dell’istinto sessuale [...] Ritengo che i miei esempi dimostrino abbastanza chiaramente, come provano alcuni fatti biologici, che l’istinto riproduttivo è costituito anche dal punto di vista psicologico da due componenti antagonistiche ed è perciò altrettanto un istinto di nascita quanto di distruzione” (p. 114). 
La Spielrein fondò intorno al 1923, con Vera Schmidt, l’Asilo Bianco. Tra i lavori della Spielrein in campo infantile ricordiamo L'origine delle parole infantili papà e mamma (1922) e l’utilizzo della tecnica del disegno ad occhi aperti e chiusi (1928). 
Circa il tema del sogno, l’unico volume disponibile in Italia in relazione al lavoro della Spielrein, è ricco di intuizioni teoriche. La Spielrein (1912) nei suoi primi scritti si attiene alle conoscenze già approfondite da Stekel, Freud e Jung sul simbolismo: 

“Una donna mi raccontava che mentre un dente le veniva estratto sotto narcosi aveva sognato il distacco del parto. Non ci meraviglia che nei sogni l’estrazione dei denti si presti così bene a simbolizzare il distacco del parto. Ora abbiamo: distacco del parto = estrazione dei denti = castrazione, cioè la procreazione viene intesa come una castrazione” (p. 111). 

L’autrice tuttavia, in maniera coraggiosa rispetto a quanto riterrà utile in seguito Melanie Klein, non avrà particolari remore nell’esprimere le sue idee in netto contrasto con Freud. 
In Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia, il contributo della Spielrein (1911) diventa quindi particolarmente originale: 

“Il materiale da me raccolto offrirà numerose prove per gli studiosi che analizzano l’analogia tra sogno, psicosi e mito. L’esistenza di un tale rapporto mi pare possibile solo ipotizzando che un modo di pensare arcaico agisca ancora nel presente” (pp. 73-74). 

Secondo l’autrice, il linguaggio schizofrenico non è illogico, bensì può essere compreso se letto attraverso i codici di un linguaggio più arcaico, rispetto a quello di cui si fa uso corrente: tale linguaggio è direttamente legato a quello del sogno. 
La Spielrein offre quindi un approfondimento di questo punto di vista nello scritto Il tempo nella vita psichica subliminale (1922) in cui collega i pensieri preconsci a quelli coscienti ma presenti nel sogno: 

Ancor più nettamente spaziale è un altro sogno del signore pocanzi menzionato, che vede una situazione per lui penosa come un paesaggio che diventa sempre più piccolo, perdendosi in lontananza. Egli vuole dire cioè, come nel suo precedente sogno: “ciò appartiene al passato remoto”, cioè come nel suo precedente sogno: “ciò apparterrà fra poco al passato remoto”. E’ ancora una volta un divenire, che è tanto presente continuo quanto futuro. Ed ecco un altro esempio interessante di come si raffigura la valutazione della durata temporale nel pensiero preconscio [...] “Io sogno” mi scrive, “che mi trovo in una grande piazza bianca, asfaltata. Da qui si dipartono strade in varie direzioni: quella a est porta verso il mare. Io vado a ovest e dico fra me e me che devo svegliarmi fra due ore. La strada verso ovest è in leggera salita e viene tagliata due volte ad angolo retto da strade dritte. Io penso: ecco la prima ora, ecco la seconda”. [...] Si tratta veramente di un sogno? – un sogno è qualcosa di più. Possiamo osservare direttamente come un proposito cosciente, quello di svegliarsi dopo due ore, continui a vivere e ad essere elaborato, travestito col linguaggio figurato del preconscio: i due tratti di tempo (le due ore) diventano due tratti di strada; questa immagine viene poi adoperata come materiale onirico.
(Spielrein, 1922, p. 118). 

In questo scritto la Spielrein (1922) sembra precorrere il pensiero di Bion (1967); quindi spiega che il contenuto del sogno riguarda la rappresentazione della situazione presente del sognatore, talvolta modificata per questioni di comodità di utilizzo del materiale onirico (il sognatore deve ricordare di svegliarsi).
Spielrein (1922) pone quindi il problema dell’essenza del sogno. Ricordiamo che per Freud si parla di sogno solo quando c’è la formazione di un desiderio. Ma l’autrice nota che ad esempio, negli stati di grave affaticamento è difficile sognare, e che non sempre il sogno riguarda l’appagamento di un desiderio. Definisce sogni incompleti quei sogni che, fatti in uno stato di angoscia, depressione grave o stato di affaticamento, sembrano più simili ad una rappresentazione della situazione presente del sognatore che ad appagamenti di un desiderio. Quindi rileva la somiglianza tra il linguaggio onirico e quello di alcune lingue che “non conoscono il tempo come direzione, ma solo come durata” (p. 120). Il russo, ad esempio secondo l’autrice, ha molte analogie con il linguaggio del sogno: “il linguaggio verbale in questi casi crea le proprie rappresentazioni, così come nel sogno, attingendo a materiale preconscio” (p. 122).
Riepilogando Spielrein (1922) fornisce le seguenti informazioni sul sogno: il sogno non si può raffigurare come direzione; nel sogno la direzione è trasformata in durata; il passato nel sogno non è un vero passato ma un “non-esserci” ovvero un “non-esserci-più”; il sogno, come il pensiero del bambino, non distingue la direzione temporale ma soltanto la direzione finale o futura.
Il contributo della Spielrein appare subito innovativo rispetto ai temi presentati durante la stessa epoca dai suoi colleghi maschi. Spielrein non parla più soltanto di desiderio (Freud) o di simbolo (Jung), ma fa riferimento allo stato mentale del sognatore in relazione al sogno (stati depressivi, stati psicotici), e alle capacità del sogno di pensare contenuti coscienti (elementi coscienti emergono nel sogno ad uso del sognatore).
La Spielrein, cercando di centrare il bersaglio nel trattare il complesso argomento del lavoro onirico, azzarda interessanti paragoni tra linguaggio del sogno e linguaggio arcaico, linguaggio del sogno e Preconscio, linguaggio del sogno e lingue che non distinguono le coordinate temporali con esattezza come il russo; inoltre, Spielrein cerca di cogliere gli aspetti atemporali dell’elemento onirico nelle sue complesse sfaccettature. 

Per una valutazione critica del suo contributo, sia sufficiente ricordare che la Spielrein, oltre ai concetti teorici sopra citati sull’istinto di morte (Freud, 1920); ispirò e suggerì anche gran parte della teoria junghiana. Ella fu una pioniera della psicoanalisi infantile e in definitiva una libera pensatrice.
Per sottolineare l’importanza e l’originalità del pensiero di Sabina Spilerein, riportiamo alcuni dei sogni che la psicoanalista russa ha descritto nei resoconti dei suoi casi clinici. Con questa piccola antologia della sua opera il proponimento è anche quello di invitare quanti hanno ristretto il campo d’osservazione su questa pioniera della psicoanalisi al banale dibattito sulle sue vicende personali, alla considerazione del suo lavoro clinico. 


Il testo "Comprensione della Schizofrenia e altri scritti" è una raccolta dell'originale lavoro di Sabina Spielrein.

Sogni di un masochista 

Questi sogni ci vengono da Georg, alunno di un asilo in cui ho dovuto sottoporre a controllo psicologico tutti i bambini. Nel piccolo non si era riscontrato inizialmente alcunché di anormale, solo l’esame psicologico da me eseguito ha messo in luce tendenze masochistiche del soggetto. Dopo la visita le maestre mi hanno ripetuto più volte che il bambino non ha fiducia in sé stesso, che si attribuisce sempre parti di secondo piano, che si fa picchiare dai compagni, ecc. Georg ha otto anni, è piuttosto basso, rosso di capelli, gracile, mediocre come alunno. Il padre fa l’operaio in una fabbrica.
Sogni: ‘A volte sogno che viene un uomo nero, mi afferra per la camicia e mi trascina via. Mi taglia le gambe. A volte sogno degli orsi striscianti’. In un altro posto (nel corso della stessa visita) rivolgo a Georg tre domande di Binet-Simon.
Prima domanda: Che cosa fai se perdi il treno? – risposta: Mi faccio a pezzettini.
Seconda domanda: Che fai se involontariamente rompi una cosa di un altro? – risposta: Mi taglio la mano.
Terza domanda: Che fai se un compagno per sbaglio ti fa male? – Risposta: Lo vado a raccontare (lo accuso).
Queste risposte il bambino me le dà con un filo di voce, dimenandosi nel banco e mordicchiando la gomma da cancellare.
Le maestre non avevano riscontrato manifestazioni di onanismo genitale.
Anche in questo caso i fatti si commentano da sé. Ogni possibilità di suggestione è esclusa: la visita psicologica si è svolta in un solo giorno ed è durata una mezzoretta. Il colloquio con le insegnanti ha avuto luogo dopo la visita, in assenza del bambino.
Ricapitolando c’è da dire che i sogni dei bambini che presentano onanismo ed enuresi notturna (bagnare il letto è quasi sempre conseguenza dell’onanismo) nella stragrande maggioranza dei casi sono sogni d’angoscia. Anche qui troviamo il ben noto simbolismo dell’acqua, del bagno, della pesca, del correre sulla neve e simili (cfr. il lavoro di Federn sui ‘Sogni di fuga’). (Spielrein, 1928, pp. 214-215).

Il sogno del Pater Freudenreich
 
La paziente Lena mi fu mandata per una terapia dal Prof. Freud. La paziente si occupa di canto e trae perciò molti simboli da questo ambito a lei familiare. Un giorno fa questo sogno:
“Vado da una signora e da un signore più anziano. A questo chiedo le campanule di Maggio, ma lui non me le dà”. A questo punto la paziente ha delle resistenze a continuare il racconto, resistenze che si manifestano nel fatto che pensa di non aver sognato altro, poiché la madre a quel punto l’ha svegliata. Ma subito dopo si ricorda che le cose non sono andate in questo modo: “No!” dice, “ho ancora sognato che volevo andare da Pater Freudenreich...o Heidenreich... (non sa più) perchè mi proteggesse. La signorina Minna (una conoscente) diceva: “attraversi la grande sala e salga le scale”. Ritornai nella sala e udii cantare e suonare. Minna diceva che dovevo bussare forte: lui canta tutto il giorno e non sente niente”.
“Che cosa stava cantando?” le chiedo io. “Cantava ‘Suona campanellino, suona, portami la fanciulla’. Poi si è messo anche a fischiare”.
Io: “Qualcuno ha mai cantato così anche nella realtà?”.
La paziente: “Il campanellino è quello di Papageo. E’ un tipo simile a quello che si dà ai bambini piccoli. Tanti campanellini tutti insieme; il fischietto ce l’ha Tamino...A Papageo viene portata una fanciulla; questa era prima una strega che si trasforma poi in una giovane e bella fanciulla. Poi dovevano avere un bambino; essa per gioco faceva già finta di cullarlo. Tutti e due cantano: ‘divieni papà Papageno’”.
A questo punto la paziente spiega che nel sogno il Pater Freudenreich è raffigurato secondo l’immagine di Papageno che affascina la fanciulla col canto e con la musica. Papageno è un signore più anziano e il suo nome tradotto in tedesco significa “Der zeugende Vater” (Papa- genos). Il nome indica il modo in cui il poeta ha concepito il personaggio. Anche la paziente pone in rilievo il significato paterno di Papageno poiché cita la canzone di papà Papageno e paragona il campanellino a quello per i bambini piccoli. La fanciulla di Papageno per un certo tempo è stata stregata. Nel corso dell’analisi la paziente Lena ha l’abitudine di rappresentare se stessa, nei sogni e nelle associazioni, come strega o come folle. Lena è figlia illegittima e non è stata riconosciuta dal padre che, come dice lei, è una persona facoltosa. Nel sogno essa cerca il Papa-genos con il suo campanellino, cioè con il suo amore: il campanellino di Papageno non è altro che uno strumento al servizio dell’amore.
Quello che nella prima parte del sogno era il signore più vecchio con i fiori di primavera – le campanule di Maggio – si è rivelato nella seconda parte come Papageno col suo strumento preferito. Nella prima parte il signore non voleva darle niente del suo amore (campanule di Maggio). Nella seconda parte Minna le dice che dovrebbe solo bussare più forte perchè il Pater, a causa del suo continuo cantare (= continuo corteggiamento), non ode nulla. In tal modo viene giustificata la precedente scortesia del signore e contemporaneamente, la paziente può nutrire ancora in sè la speranza che alla fine il suo desiderio sarà ascoltato. Perchè Papageno nel sogno viene chiamato “Freudenreich” o “Heidenreich”? Che cosa le dicono questi nomi? Perchè quest’incertezza del ricordo, incertezza che noi ritroviamo generalmente in relazione a contenuti psichici che hanno una forte tonalità affettiva e che sono stati respinti dalla coscienza?
“Che cosa le dicono questi nomi Freudenreich e Heidenreich?”, le chiedo.
“Ricco di piaceri. Ricco pagano” viene in mente alla paziente.
“Non ha udito da qualche parte nomi del genere?”.
Ero sicura che a questo punto la paziente avrebbe citato come prima associazione il nome “Freud” che ha lo stesso suono e che viene spesso pronunciato da noi. Le resistenze però non le permisero di raggiungere ciò che era a portata di mano, anzi Lena fu costretta a percorrere un cammino simbolico molto più lungo. Disse: “Baldreich, cugino, cugina, zia. Qualcuno diceva “non mi voglio più chiamar così, ora sono allegro, sono felice (frölich)”.
La paziente non si accorge di aver già detto “Siegmund Freud”: essa infatti cita le parole pronunciate da Siegmund nel canto dei Nibelunghi, quando dice di essere felice (frölich).
“Da dove ha tratto queste parole?” le chiedo. E la paziente risponde: “Essa mi chiede: come ti chiami? Wehwald era il mio nome, io sono uno della stirpe di Wälsung. Vengo chiamato Wölfling. Ora mi chiamo Siegmund”.
La mia domanda da dove la paziente avesse tratto quelle parole viene intesa nel senso di “Come ti chiami?”: lei infatti si concentra per tutto il tempo sul problema di come si poteva chiamare. “Chi si chiama Siegmund?” ho chiesto. La paziente: “Freud. E’ una stirpe come quella degli Asra (pensa cioè di nuovo al Wälsung Siegmund) che muoiono quando amano. Come è possibile? In tal modo l’intera stirpe si estinguerebbe?”.
A questo punto ho inopportunamente interrotto la catena associativa: “Chi è pagano?” le ho domandato (la paziente, come abbiamo accennato precedentemente, associava “Heidenreich” – regno dei pagani – e “reicher Heide” – ricco pagano). La paziente: “Anch’io veramente sono una pagana, perchè dubito di ciò che ho imparato a scuola”.
Questo “anch’io” indica un’identificazione con qualcuno che è il vero e proprio pagano. Con chi? Questo la paziente ce lo ha già detto indirettamente: Siegmund è un pagano e Siegmund Freud, in quanto ebreo, è appunto un miscredente. Del resto ciò emerge anche dai nomi Freunden-reich e Heindenreich. Questi due nomi hanno la sillaba reich in comune. Le parti differenti delle due parole, messe insieme, danno come risultato: “(Der) Heide Freud” o, più completamente, con l’aggiunta di reich: “(Der) reiche Heide Freud”.
Il Pater Freudenreich si è rivelato così il professor Sigmund Freud. Per rendersi più simile al miscredente padre-Freud la paziente sottolinea la propria non credenza nella scuola. In seguito vedremo che c’è un altro motivo di ciò.
Il transfert, come insegna l’esperienza, è sempre un’arma a doppio taglio: accanto all’atteggiamento d’amore viene trasferito anche l’atteggiamento di odio. E questo è uno dei casi. “Senza Dio” (Gottlos) o “pagano” sono degli insulti se pronunciati da un cristiano credente, cioè nell’inconscio che si ricollega ancora al passato. La paziente, però, nonostante il dubbio, crede anche coscientemente in Dio. Come il suo ricco padre, il ricco pagano Freud non le ha dato niente né il suo danaro né il suo amore. Egli non ha nemmeno voluto prenderla in cura, ma l’ha inviata a me. Corrispondentemente il vecchio signore nel sogno non le vuol dare niente delle sue campanule di Maggio (l’amore). L’atteggiamento ostile della paziente si manifesta inoltre in immagini di morte: essa sottolinea che Siegmund ha dovuto morire: immediatamente dopo aver pronunciato il nome di Freud, essa dice: “E’ una stirpe come quella degli Asra che muoiono quando amano”. Sono senz’altro convinta che all’istinto di nascita è connaturata in modo essenziale anche la distruzione: il vecchio deve essere distrutto affinché nasca il nuovo. La paziente ha molte immagini di distruzione, sia passive che attive. Tra quelle attive si presenta in lei, per esempio, l’immagine della castrazione dell’uomo durante il coito. Nell’amore stesso sta la fonte dell’ostilità. Di solito però le immagini attive di morte non vengono così chiaramente alla ribalta, particolarmente nella donna che ha una disposizione molto più passiva. Ciò è molto evidente e ci fa pensare all’esistenza di un forte atteggiamento di vendetta che esige un’espiazione.
“Tu devi estinguerti nell’amore per me, tu che mi volevi abbandonare” dice la fanciulla, ferita nel suo essere più profondo, all’amato padre e medico. Proseguendo l’analisi, la paziente ricordò che il suo caro insegnante di religione, il quale ricambiava il suo affetto e la difendeva sempre, si chiamava Heidenreich. Questa nuova informazione non invalida i risultati dell’analisi finora ottenuti. Per costruire il nome “Freudenreich” la paziente doveva prima di tutto avere a disposizione il nome o la parola “Freud” (o Freude), in secondo luogo non doveva usare come un tutto unico il nome “Heidenreich”, ma separarla in “Heide” e “reich”. Essa utilizzava in sogno il nome a lei familiare “Heidenreich” perchè tutti i suoi pensieri si accentravano sul ricco “padre”, sul “pagano” e su “Siegmund Freud”. A questo si aggiunge che l’uso del nome Heidenreich era tanto più giustificato in quanto appartenente a una persona amata, a un prete, a un consolatore, come il padre-Freud. L’identificazione delle due persone è tale che la paziente non è in grado di dire se nel sogno il padre si chiamasse Heidenreich o Freudenreich. Il sogno ci apre così una bella prospettiva sui processi psichici che sono familiari a ogni psicoanalista: il padre e la madre sono i primi oggetti d’amore del bambino, oggetti che anche l’adulto non può fare a meno di rimpiangere. Ogni oggetto d’amore che si desidera in seguito è soltanto un sostituto di ciò che prima si amava e che risultava irraggiungibile nell’ambito delle fantasie inconsce.
(Spielrein, 1913, pp. 250-254).

Il sogno dei francobolli

Una collega a cui sono legata da amicizia decise dietro mio consiglio di iniziare un’analisi con un analista uomo. Per motivi esterni fu costretta a interrompere l’analisi dopo poco tempo e nel suo caso il violento transfert ambivalente non potè essere sciolto. Dei suoi sogni, che essa molto gentilmente mi ha affidato, riferisco solo quella parte che non tradisce niente di personale. Queste sono le sue parole: “Qualcuno mi porta una lettera di mio fratello. Non vi sono i francobolli, per cui devo pagare 30 pfenning di soprattassa. Nella lettera vi sono fotografie di mio fratello, fatte molto male, tutte sbiadite, in esse è impossibile riconoscere mio fratello”. Prima di andare a dormire la signora aveva letto alcune lettere che le erano state inviate dal medico che la stava analizzando. Nei suoi sogni essa era solita rappresentare sempre il medico come fratello, e lo sapeva.
La sera precedente al sogno aveva partecipato con suo marito a una riunione della società medica, in cui era stata mostrata una donna luetica.
La collega si era chiesta se fosse possibile spiegare il fatto che non riusciva a ricordarsi di una sola donna affetta da tabe solo per la maggiore percentuale di casi di lue negli uomini, oppure se le donne non fossero tanto predisposte ad ammalarsi di tabe. Nel sogno essa riceve la lettera del fratello (medico) senza Marken (francobolli) cioè senza Mark (midollo). Il medico ha quindi un’atrofia del midollo spinale, cioè una tabe dorsale. Le fotografie appaiono così sbiadite che non è possibile riconoscerle = il suo aspetto esteriore è sbiadito per la sognatrice ed essa non si interessa più di ciò che questo Don Giovanni, questo luetico, le scrive. L’interpretazione, dopo alcune improvvise associazioni della mia collega non lasciò dubbi, ed essa non la rifiutò. Poco tempo prima aveva avuto un sogno in cui non riusciva più a ricordarsi dell’uomo X (nome dell’analista). Si era svegliata con le parole di Nietzsche: “Ero malata? Sono guarita? E chi è stato il mio medico? – Solo ora ti credo guarita perché è sano solo chi ha dimenticato”. (Spielrein, 1922, pp. 283-284).

Sogno e visione delle stelle cadenti

Queste due osservazioni sono interessanti per la loro struttura comune; i due casi riguardano soggetti di nazionalità diversa; una delle ragazze è sana, l’altra è schizofrenica. Nonostante ciò, in tutti e due i casi abbiamo in primo piano l’immagine della pioggia d’oro e sul fondo l’immagine del desiderio personale; nel sogno è una targa in cielo su cui è scritta a grandi lettere la parola “amore”, nella visione è l’uomo amato in persona.
1. Sogno delle stelle cadenti
La signorina N., sana, racconta in una piccola riunione il sogno che segue:
“Ero vicino alla finestra della mia camera; la finestra era chiusa, c’erano molte stelle; io stavo a guardare. Ad un tratto vedevo molte stelle cadenti. Trovavo che era magnifico; continuava sempre, pareva che non volesse finire più. Mi piaceva. Ad un tratto mi rendevo conto che non erano stelle cadenti, che era pioggia, acqua piovana che scorreva dall’altra parte della finestra. Era come il riflesso della luce delle stelle, un movimento continuo, acqua che scorreva, piccoli ruscelli d’oro, fili d’oro, eppure non proprio fili, era un movimento scorrevole, non una linea”.
Al risveglio era stupita. La contraddizione che nel sogno esistessero contemporaneamente le stelle e la pioggia l’ha colpita. Quando ha scoperto che non era niente, “nient’altro che acqua”, è rimasta delusa, ma s’è consolata perché comunque era molto bello. Bisogna sempre esprimere un desiderio quando una stella cade; ma per lei era sempre troppo tardi. Questa volta nel sogno dice a se stessa: “Se fai tardi per questa (stella), sarà per un’altra”.
Analisi (alcuni giorni dopo)
Le stelle cadenti le riportano alla mente un ricordo d’infanzia: passeggiava con la zia quando d’improvviso cadde una stella; era successo così in fretta che lei non aveva avuto il tempo di desiderare qualche cosa; poi cadde una seconda stella; un milione di stelle. La zia le fece notare che avrebbe dovuto esprimere un desiderio, al che lei rispose che l’aveva già fatto in cuor suo. “Com’ero stupida allora – mi dice – oggi avrei desiderato tutt’altra cosa”. “Che cosa avrebbe desiderato?” “Un grande amore”. Dopo di ciò mi confessa che non ha voluto raccontare il sogno intero davanti a tutti. Ci ha nascosto questo: ha visto in cielo una targa su cui era scritta a lettere immense la parola “amore”; erano lettere tonde, nere, su un fondo rosso. “Adesso penso a un dolce, una specie di budino che si vende in polvere; penso alla fabbrica che lo fa; le lettere erano tonde come sulla busta di questo budino; vedo i ruscelli d’oro; penso a una passeggiata che abbiamo fatto ieri (dopo il sogno); eravamo in un ristorante e abbiamo bevuto del tè; c’era una pubblicità con una stella-cometa che aveva la coda come i ruscelli d’oro nel mio sogno”. “Mi hanno detto che una volta, dopo aver avuto un colpo sulla testa, ho visto le stelle. Quando ero bambina mi piacevano molto le candeline dell’albero di Natale; una volta mi sono scottata. Nel sogno ho visto anche una pioggia; un fuoco d’artificio; è meraviglioso, ma finisce così presto! Si spende denaro per niente!”.
“Mi piacerebbe avere un grande amore, un amore immenso; ma ho tanta paura che non accadrà mai”.
Il ruscello d’oro le fa pensare al denaro. “Bontà divina!” si meraviglia “non penso mai al denaro, cioè sono contenta di poter studiare, ma il denaro non ha alcuna importanza per me. Penso all’oro, alla signora Holle e alla pioggia d’oro; un ebete desiderava avere delle foglie d’oro. Penso a una triste storia capitata in questi giorni a una ragazza. Come me, questa ragazza cercava sempre un ideale. Amava un giovane e lottava con questo sentimento. Ha creduto di aver vinto. Adesso quel giovane l’ha chiesta in moglie. Tuttavia egli non ama la ragazza, pensa ai soldi. La poverina, al contrario, l’ama molto ed è assai delusa”.
Anche la signorina N. è molto delusa. Se le capitasse la stessa cosa? In questi giorni pensa sempre a questa ragazza. La signorina N. non ha mai fatto un’esperienza così “disgustosa”. Mi confessa di essere “innamorata” per la prima volta. Fra qualche giorno dovrà partire e saprà vincere questo amore; ma già da adesso si sente trasformata, sente che si è insinuato nella sua anima un nuovo elemento, fino ad ora sconosciuto, con il quale dovrà lottare continuamente. Le hanno proposto un buon lavoro a R. Il suo futuro capo è molto ricco (pioggia d’oro, i ruscelli d’oro del sogno e le associazioni con il denaro); ma le hanno detto che è poco simpatico (“me lo hanno dipinto tutto in nero”, sono le sue parole). Deve essere pigro, avaro, nonostante sia ricco, e pare che gli piaccia molto il budino. “Perciò mi son detta che in fondo potrebbe essere migliore di come viene presentato. Gli piace il budino, come a me”.
Credo che il sogno sia comprensibile senza spiegazioni: la ragazza cerca il paradiso in terra, un cielo d’amore, qualcosa di immenso e puro. Allo stesso tempo dubita che ciò esista. La triste storia della sua amica contribuisce a rendere più intenso questo dubbio. Anche lei in questi ultimi tempi ha conosciuto i tormenti d’amore, ma si salva serbando in fondo al cuore il segreto desiderio, sconosciuto a lei stessa, di trovare questo amore ideale nella persona del suo capo futuro. Le lettere della targa sono nere – sono state dipinte di nero, ma in fondo non è male – il fondo è rosso (= colore della passione); le lettere sono tonde come nella busta del budino – a lui piace il budino come a lei. Ci sono ancora alcune impressioni degli ultimi giorni che hanno la loro parte nella formazione dell’immagine della targa.
Queste lettere nere la fanno pensare a una locandina di teatro, a una commedia... a questo punto esita “La signora di chez Maxime”. Confonde la locandina di questa commedia con quella di un’altra, che era a lettere nere su un fondo rosso. Il punto in comune fra queste due locandine è che entrambe annunciano un lavoro leggero, “un po’ sconveniente”. L’idea del “cielo in terra”, il dubbio (“un fuoco d’artificio che passa così presto”), la figura del capo, che è molto ricco (= oro), evocano l’immagine delle stelle cadenti nel sogno. C’è poi un’altra ragione ed è quella relativa alla credenza popolare per la quale una stella cadente potrebbe portare fortuna. Le immagini delle stelle rappresentano qualcosa di molto importante per la signorina N. fin dall’infanzia. Come si vede dall’associazione libera, si trasformano nell’immagine della pioggia d’oro. Le due fiabe “La signora Holle” e “Il piccolo abete” sono note: la signora Holle ricompensa la bella e buona fanciulla facendole cadere addosso una pioggia d’oro: questa pioggia la rende ancora più bella, la rende ricca e infine le porta un bel principe. La signorina N. ha sentito questa fiaba verso i 4-5 anni e voleva che gliela raccontassero sempre. La fiaba del piccolo abete l’aveva colpita ancora di più: il piccolo abete non era contento dei suoi aghi; voleva avere foglie di vetro; ma appena il suo desiderio fu esaudito, il vento ruppe le foglie; allora desiderò avere foglie d’oro, ma i bambini gliele strapparono. Il terzo cambiamento fu infelice quanto i primi due: gli animali mangiarono le belle foglie verdi che aveva avuto questa volta. Allora fu tutto contento di avere di nuovo i vecchi aghi.
Potremmo pensare che il sogno esprima un’idea di ordine morale, dato che queste fiabe contribuiscono a formare le immagini. L’osservazione oggettiva non giustifica questa supposizione. Lungo tutto il sogno non vediamo altro che l’intersecarsi del desiderio con il suo negativo, il dubbio. Il desiderio riesce a vincere: la targa in cielo è l’immagine del desiderio realizzato. Anche le stelle cadenti, che danno luogo a tante associazioni di dubbio, procurano alla fin dei conti un gran piacere alla sognatrice: il grande amore è solo un fuoco d’artificio, finisce così presto! Scopre che “non era niente, solo acqua” e allo stesso tempo, malgrado tutto, sente che era “molto bello”.
2. Visione delle stelle cadenti
Un’ammalata (schizofrenica) aveva letto da qualche parte nella Bibbia che al momento del Giudizio universale ci sarà una pioggia di stelle che cadranno sulla terra e distruggeranno il mondo. Nel delirio, in un giorno di pioggia, vedeva una pioggia di stelle cadenti; sullo sfondo avanzavano degli angeli vestiti di blu che le conducevano un certo signor K. di cui lei era innamorata. Vedeva tutto ciò dalla finestra della sua cella.
L’ammalata stessa mi disse: “Ma nel mio delirio la pioggia di stelle aveva un significato del tutto diverso che nella Bibbia! Era al contrario un godimento, una grande forza! Un’eccitazione dei sensi. Quando ci penso rivivo la stessa situazione!”.
Contemporaneamente sentiva un gradevole calore.
Qui, come nel sogno precedente, il simbolo della pioggia di stelle è diventato l’immagine del desiderio personale che, diciamo, deve essere preparato e introdotto, valorizzato, e allo stesso tempo celato mediante quel simbolo.
(Spielrein, 1923, pp. 295-298).

Circa una valutazione conclusiva dell’opera della Spielrein, Bettelheim (1983) scrive: “Possiamo sperare che l’idea cui la Spielrein si consacrò venga finalmente portata a compimento e che i vari movimenti psicoanalitici, che tutti derivano dalle grandi scoperte di Freud, possano giungere a comprendere di avere più affinità che differenze. Come nel caso di Freud e Jung, le differenze nascono più spesso dalle stravaganze e dalle complicazioni delle relazioni personali e dell’ambivalenza, che da veri disaccordi teorici, anche se sono questi che vengono accentuati allo scopo di occultare le troppo umane inclinazioni” (p. 30).

Le Conversazioni del Venerdì: Su Sabina Spielrein 20-03-2012: https://www.youtube.com/watch?v=LyJgEo1DIA4



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