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lunedì 13 aprile 2015

Di Jonathan Shedler - La relazione terapeutica nella terapia psicodinamica rispetto a quella CBT (cognitivo-comportamentale)

I primi legami d'attaccamento costituiscono un modello per le relazioni successive.
Come risultato di ciò, ripetiamo questi modelli nelle nostre relazioni per tutta la vita. Poiché sono presenti sin dall'inizio, questi pattern possono essere per noi invisibili come lo è l'acqua per un pesce.
Tuttavia essi danno forma al nostro destino.

La terapia comprende una relazione, e i pazienti portano al suo interno la propria sagoma e i propri pattern. Come terapeuti, entriamo nel campo gravitazionale dei modelli relazionali problematici dei pazienti, facendo esperienza e partecipando ad essi. Attraverso il riconoscimento della nostra inevitabile partecipazione a questi modelli, possiamo aiutare i nostri pazienti a capirli e rielaborarli.

Questa è una terapia che cambia la vita. Questo è il cuore della terapia psicodinamica.

Caroline, una donna sulla trentina, è elegante, colta, di successo. Si presenta con un portamento regale e assomiglia e si veste con abiti simili a quelli di una modella di Vogue. E' corteggiata dal tipo di uomini che la maggior parte delle donne può solo fantasticare di avere. Eppure è sola. Non  è stata capace di mantenere una relazione intima e soffre di attacchi di depressione.
Kate Moss, top model e icona di stile, su una copertina di Vogue Brasile.
Caroline ha fatto diversi tentativi di terapia. Racconta che, purtroppo, non è mai cambiato davvero nulla, e che i terapeuti finiscono sempre per desiderare di ottenere la sua approvazione.

I colleghi addestrati in CBT e altre terapie "evidence-based" raramente attribuiscono un significato al commento di Caroline sulle sue precedenti relazioni terapeutiche. Alcuni azzardano che Caroline può aver bisogno di un terapeuta molto "sicuro" che non si senta intimidito dai suoi sguardi, il suo successo, o il suo status sociale.

Da un punto di vista psicodinamico, è irrilevante se il terapeuta di Caroline è sicuro o insicuro a livello personale. Lei non ha bisogno di un terapeuta sicuro. Ha bisogno di un terapeuta con sufficente consapevolezza di sé e coraggio da notare quella botta di insicurezza che si prova in presenza di Caroline, e gestirla come informazione, utilizzandola al servizio della comprensione.

Tale terapeuta potrebbe dire: "Sai, sei venuta qui per ricevere il mio aiuto eppure in molte delle nostre interazioni, sono consapevole di provare la vaga sensazione di volerti impressionare o guadagnare la tua approvazione, che chiaramente non ti aiuta affatto. Sto cercando di capire che significa, e se potrebbe essere una finestra su cui affacciarsi per comprendere qualcosa di importante a proposito delle tue relazioni, più in generale. Forse questo è qualcosa di familiare per te".

Mr. Quinn, autore della statua raffigurante Kate Moss afferma di averla vista come una "moderna afrodite". Kate ha commentato che la statua sembrerebbe elevarla a mito ma ha anche affermato di amarla particolarmente perchè stabilisce una differenza netta tra com'è realmente e come appare. Per l'intervista vedi: http://www.telegraph.co.uk/news/celebritynews/3122144/Kate-Moss-gold-statue-unveiled-at-British-Museum.html

E lì, la terapia vera e propria può iniziare.

Caroline non avrebbe potuto descrivere cosa è andato storto nelle sue relazioni: ciò che ha fatto per cercare di attirare vicino a sé le persone è proprio ciò che preclude reciprocità e intimità.
Le donne erano invidiose o rispettose. Gli uomini la vedevano come una potenziale conquista, o "out of their league" - al di fuori della loro portata. In entrambi i casi, ogni tipo di legame intimo era impossibile.

Caroline non era in grado di comunicare questo al suo terapeuta; lei lo mostrava.
Ciò che il paziente fa nella stanza con il terapeuta rivela pattern relazionali che durano da tutta una vita.  Nella relazione terapeutica, questi modelli possono essere riconosciuti, compresi, e rielaborati.

Questo è fondamentale per la terapia psicodinamica e assente in altri tipi di terapie.

Un importante autore e leader teorico della CBT ha scritto un articolo su miti e realtà della CBT. Un mito, secondo questo autore, è che la CBT minimizza l'importanza della relazione terapeutica. Per mostrare che non è così, ha spiegato che i terapeuti CBT "fanno molte cose per costruire una forte alleanza. Ad esempio, lavorano in collaborazione con i clienti...chiedono un feedback...e si comportano come esseri umani autentici, caldi, empatici, interessati, premurosi".

Questo è il tipo di rapporto che mi aspetterei di ricevere dal mio parrucchiere o dall'intermediario immobiliare. Da uno psicoterapeuta, mi aspetto qualcosa di diverso. L'autore CBT sembrava non avere idea che la relazione terapeutica fornisce una speciale finestra sul mondo interno del paziente, o un laboratorio relazionale e un santuario in cui i pattern di tutta una vita possono essere riconosciuti e compresi, e altri, nuovi, creati.

Alcuni pazienti possono sentirsi soddisfatti con terapeuti che "collaborano" durante lo svolgimento di una terapia seguendo un manuale di istruzioni (si può leggere un blog di Jonathan Shedler sulla terapia "manualizzata" qui). Coloro che vogliono cambiare il loro destino vorranno un terapeuta con consapevolezza di sé, conoscenza, e coraggio per osservare e parlare di ciò che conta.

Jonathan Shedler, Ph.D ( http://jonathanshedler.com/ ) è Professore Associato presso la University of Colorado School of Medicine. Insegna e conduce laboratori per il pubblico professionale nazionale e internazionale e fornisce consulenza clinica e supervisione ( http://jonathanshedler.com/consultation/ ) in teleconferenza a professionisti della salute mentale in tutto il mondo.

fonte: https://www.psychologytoday.com/blog/psychologically-minded/201503/the-therapy-relationship-in-psychodynamic-therapy-versus-cbt

venerdì 13 febbraio 2015

Il caso clinico di Connie - di Stephen Mitchell: relazionalità e attaccamento nel trattamento psicoanalitico

 
A questo punto dell’evoluzione delle idee psicologiche,
la teoria dell’attaccamento e quella psicoanalitica,
anziché fornire percorsi alternativi, ci offrono la straordinaria possibilità
di una convergenza che porta ricchezza ad entrambi i modelli.
(Mitchell, 2000)

 Stephen Mitchell in un dipinto di Philip Ringstrom fonte: http://www.iarpp.net/resources/enews/vol11no1/index.html

E' stato recentemente pubblicato l'interessante volume di Morris Eagle "Attaccamento e psicoanalisi-Teoria, ricerca e implicazioni cliniche" (Raffaello Cortina, 2013). Il libro, si pone sulla scia della riflessione teorica più recente a proposito delle implicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1980).
Nel 2002, Peter Fonagy aveva pubblicato un libro dall'analogo titolo; "Psicoanalisi e teoria dell'attaccamento". Il libro ha trovato una tiepida accoglienza tra i ricercatori e gli psicoanalisti. La tradizione teorica dell'attaccamento così come quella di ricerca e quella psicoanalitica, sono considerate come appartenenti ad ambiti differenti.
Nel 2003 Fonagy annovera nel suo "Psicopatologia evolutiva" (il cui titolo originale è "Psychoanalytic theories, perspective from developmental psychopathology") il Modello della teoria dell'attaccamento di Bowlby tra le teorie psicoanalitiche considerate alla luce del processo evolutivo.
Un argomento di dibattito riguarda la possibilità di considerare la teoria dell'attaccamento nell'ambito del trattamento psicoterapeutico, e in particolare, psicoanalitico.
Il libro di Eagle, in tal senso, consente di riflettere a proposito del rapporto tra teoria dell'attaccamento e psicoanalisi, vagliando le aree di possibile contatto. Ciò che rende particolarmente interessante lo sforzo di Eagle è il fatto che l'autore considera oltre alla teoria psicoanalitica "classica" cioè pulsionale, gli approcci più recenti della psicoanalisi relazionale.
Una differenziazione spesso sottolineata riguarda infatti ciò che è considerato psicologia empirica, psicoterapia e psicoanalisi. Tale differenziazione riguarda nello specifico le differenti tradizioni d'origine a cui questi ambiti fanno capo. E' tuttavia ormai estremamente diffusa l'abitudine a fare riferimento a più livelli di considerazione (outcome, descrizioni cliniche, etc.) alla teoria dell'attaccamento.
In una recente ricerca Mikulincer, Shaver, Avihou-Kanza (2011), hanno proposto un approccio multidisciplinare allo studio delle narrative del sogno. Gli autori hanno associato lo studio sul materiale onirico mediante il metodo CCRT alle dimensioni di ansietà ed evitamento dell’attaccamento adulto. I risultati del CCRT hanno mostrato – in linea con la teoria dell’attaccamento – che W caratterizzate da ricerca di vicinanza, e RO e RS negative erano correlate ad ansietà, mentre W caratterizzati da distanziamento e RO negative erano correlate all’evitamento.
Uno degli obiettivi di questa ricerca era, oltre alla validazione empirica dell’indagine sui sogni come materiale informativo e utile ai fini della valutazione delle dinamiche relazionali, quello di trovare una corrispondenza tra una misura self-report dell’attaccamento e “marker motivazionali e cognitivi dell’insicurezza dell’attaccamento nelle narrative dei sogni” (Mikulincer, Shaver, Avihou-Kanza, 2011, p. 115), in relazione alla possibilità di collegare un aspetto “conscio” (ibidem) – quello del comportamento di attaccamento – con una misura “meno conscia” (ibidem) ovvero psicodinamicamente orientata come quella delle categorie derivate dagli autori dal metodo CCRT. Gli autori hanno affermato che: "I sogni possono contribuire significativamente alla comprensione di sé e al dialogo tra paziente e terapeuta" (Mikulincer, Shaver, Avihou-Kanza, 2011, p. 119).
Recentemente (2013) è stato pubblicato il volume di Beebe e Lachmann “The origins of Attachmnent. Infant research and Adult Treatment”. Il testo sembra indagare, come suggerisce il titolo, le origini dell’attaccamento nelle prime interazioni faccia a faccia madre-bambino.  La creazione di un modello psicoanalitico basato sulle interazioni reali e le successive applicazioni di questa teoria al trattamento adulto (regolazione interattiva/attenzione al contesto, microinterazioni non verbali, modelli di psicoterapia basati sull’attivazione fisiologica, principi di salienza, disconferma delle aspettative negative, regolazione attesa, rottura e riparazione, momenti affettivi intensi) era già stato proposto dagli stessi autori nel 2002, nel testo “Infant Research e Trattamento degli adulti”.

Un tributo personale a Mitchell. Sulla mia specchiera, due carte M&M's e Orfeo Milka, e una foto della mia città natale.

Il caso clinico di Connie (Mitchell, 2000).
Mitchell utilizza il caso di Connie per descrivere come le problematiche dell'attaccamento si rivelano a diversi livelli nella relazionalità per fornire una cornice entro cui pensare la matrice interattiva che si delinea nel processo psicoanalitico. "Da quando Bowlby ha presentato la sua rivoluzionaria teoria dell'attaccamento sono state introdotte ed elaborate altre prospettive relazionali centrate sulla permeabilità affettiva, sulle configurazioni di sé e oggetto e sull'intersoggettività (...) Tali sviluppi suggeriscono che questo è un momento particolarmente appropriato per esplorare le convergenze tra psicoanalisi e teoria dell'attaccamento". (Mitchell, 2000, p. 102). 
Connie richiede una terapia a causa di un persistente senso di tristezza, per la mancata elaborazione del lutto per la morte della madre. Suo padre che dopo l'evento la mandò in collegio, era un uomo provato e fragile a cui lei non doveva far pesare i suoi bisogni.
In secondo luogo sentiva che c'era qualcosa di diverso in lei, che le altre persone avevano ma che a lei mancava. Le sembrava che gli altri avessero un "Sé" ovvero un senso di chi sono e delle radici solide. Connie era sposata e aveva avuto un figlio. Il bambino presentava problemi di separazione. 
Connie sentiva con grande intensità e vergogna che il figlio era parte di lei: l'esperienza della gravidanza, aveva riattivato in lei ricordi relativi alla perdita della madre, in quanto perdita di parti di se stessa. Diventando madre, sperava di ritrovare la madre e le parti perse di se stessa. La perdita di Connie riguardava infatti non solo la madre, ma se stessa e tutto il suo mondo infantile. La gravidanza riempiva quel vuoto. Secondo Loewald, non siamo separati dagli altri significativi, ma co-creiamo esperienze emotive intense e condividiamo tali emozioni in modi che non corrispondono alle categorie discrete sé-altro e interno-esterno (permeabilità affettiva). Afferma Mitchell: "i residui delle esperienze di attaccamento (...) non includono solo modelli cognitivi del mondo interpersonale, ma anche stati affettivi di connessione indifferenziata con le figure di attaccamento organizzati intorno ad affetti positivi come l'euforia o la calma tranquillizzante, e attorno ad affetti negativi come la depressione, l'angoscia o il terrore. In questa visione, ciò che Connie ha bisogno di raggiungere nel corso dell'analisi non è una separazione netta da sua madre e da suo figlio, ma una maggiore capacità di contenere esperienze diverse, sia di unione con loro sia di differenziazione da loro". L'attaccamento all'assenza della madre costituiva di fatto il senso del Sé centrale per Connie. La continua elaborazione inconscia del lutto della madre serviva a mantenere il legame con lei, e con l'unica parte di se stessa di cui era a conoscenza. Il dolore definiva chi era, ovvero tutto ciò che conosceva di se. In mancanza di una figura di attaccamento sicura il suo sentire prendeva il posto di un punto di riferimento umano. L'attaccamento all'assenza era anche una bussola per orientarsi rispetto a quello che poteva aspettarsi dal mondo, e il modo in cui le relazioni avrebbero funzionato. 
Mitchell avverte che qualcosa nelle esperienze presenti di Connie rigeneravano la sua tristezza, qualcosa a cui stava rinunciando nel presente e che aveva perduto nel passato. Mitchell iniziò a parlare con Connie di cibo, perchè tra i suoi argomenti preferiti. Connie era salutista e mangiava molte verdure. Si concedeva però un pacchetto di M&M's ogni pomeriggio. Mitchell preferiva le Milky-Ways. Connie iniziò a riflettere su come con la morte della madre aveva perso una figura che si occupasse della sua alimentazione, come lei faceva ora con il figlio. In effetti lei mangiava inizialmente tutto quello che le sembrava ragionevole, ma poi finiva per concedersi tutto ciò che le capitava a portata di mano: non c'era nessuno che badasse alle ripercussioni sulla sua salute.
Connie non aveva mai fatto esperienza del preoccuparsi della sua salute e della sua sicurezza, non poteva concedersi di lasciarsi andare al desiderio e al piacere facendo affidamento sul fatto che qualcun altro avrebbe supervisionato il suo comportamento. Connie aveva dovuto svolgere da sola il ruolo di caregiver di se stessa. Ciò aveva generato in lei un senso cronico di tristezza e mancanza.
L'approccio di Connie alla cioccolata era prototipico del modo di organizzare le sue relazioni: immaginava quello che poteva avere e poi desiderava le cose che non superavano quei limiti. Con il marito, un uomo incapace di grande intimità aveva imparato che per sopravvivere doveva adattarsi a quanto era disponibile e non avanzare alcuna richiesta.
Bowlby suggerisce che nel contesto di un attaccamento sicuro è possibile utilizzare una base per esplorare il mondo. L'attaccamento nel contesto terapeutico tra Mitchell e Connie, le permise di esplorare il mondo interno ed esterno delle sue preferenze personali, i suoi desideri e i suoi impulsi. Se tale tipo di attaccamento manca, il bambino impara precocemente a svolgere da solo tale funzione, a un costo elevato: l'opportunità di abbandonarsi alla propria esperienza.
L'esperienza di attaccamento terapeutica aveva consentito a Connie di vivere qualcosa che le era mancato durante l'infanzia: la possibilità di abbandonarsi; l'assenza era stata rimpiazzata dalla presenza coerente di Mitchell, che consentiva la sua nascita: "La mente è in realtà transpersonale e contestuale ed emerge nelle interazioni con altre menti" (Mitchell, 2000, p. 111).
Il problema della spendibilità clinica della teoria dell’attaccamento sembra riguardare maggiormente i rapporti relativi alle rispettive tradizioni teoriche di riferimento, che un'effettiva incompatibilità tra di loro.
L’attaccamento svolge un ruolo centrale come dispositivo motivazionale biologico che spinge alla ricerca di sicurezza. John Kerr ha fatto riferimento in una comunicazione personale alla stanza d’analisi come metafora della Strange Situation (Mitchell, 2000). Considerare la teoria dell’attaccamento da un punto di vista strettamente “empirico” ne riduce il raggio d’azione potenziale. Un esempio paradigmatico analogo in tal senso è il comportamento sessuale.
Mitchell fornisce un elegante esempio di come possiamo utilizzare oggi la teoria dell’attaccamento all'interno della cornice concettuale della psicoanalisi relazionale.
Per rendere possibile l'integrazione tra teoria dell'attaccamento e psicoanalisi, forse sarebbe utile capire di quale psicoanalisi si parla, e ridefinire allo stesso modo il concetto di attaccamento.
La domanda che permane pertanto sembra piuttosto: quale esigenza teorica sottende la necessità di mantenere questa differenza?

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