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domenica 5 ottobre 2014

Narcisismo e analisi del Sè. Trasformazioni terapeutiche nell'analisi di personalità narcisistiche (Kohut, H., 1971).


(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)



Alcuni concetti chiave:

Amore oggettuale: c’è differenza tra le dinamiche oggettuali e quelle narcisistiche. La personalità si forma mediante l’interiorizzazione della libido narcisistica investita sull’oggetto-sé. La libido narcisistica svolge un ruolo anche nei rapporti oggettuali ed è un carburante per molte attività socioculturali come la creatività. Un esempio della differenza tra amore narcisistico e oggettuale riguarda il caso emblematico della personalità dipendente, la quale non ricerca l’oggetto della sua dipendenza in quanto tale ma per le funzioni che essa svolge e che non è in grado di adempiere in quanto non si è stabilita una sufficiente struttura superegoica. Gli oggetti ricercati in questo caso non sono dunque né desiderati, né riconosciuti come oggetti in senso pulsionale (ovverosia investiti di libido in sé), bensì essi sono necessari in quanto pezzi del Sé dell’individuo non interiorizzati. I disturbi narcisistici possono essere molto precoci e rivelare una debolezza strutturale massiva, possono riguardare il periodo pre-edipico interferendo con lo sviluppo della struttura di neutralizzazione (Io), o edipici configurandosi sottoforma di una struttura superegoica carente e alla ricerca continua di oggetti esterni di validazione.

Traslazione idealizzante: si parla di traslazione idealizzante in relazione alla perfezione narcisistica totale dell’oggetto-sé arcaico onnipotente e idealizzato e alla sua riattivazione nel contesto analitico. Lo sviluppo psichico non si esaurisce nell’investimento mediante pulsioni: la mente tende a sovrapporre esperienze analoghe di oggetto-sé riattivate nel transfert e le idealizzazioni lasciano un’impronta duratura nella personalità.

Io-Sè: una delle maggiori innovazioni teoriche introdotte da Kohut riguarda una differenziazione tra le strutture già note dal lavoro metapsicologico di Freud nella seconda topica e la definizione di un nuovo concetto: il Sé. I due vertici di osservazione psicoanalitici dell’evoluzione psichica non sono alternativi, bensì possono essere considerati in maniera parallela anche se gerarchica. Mentre l’evoluzione dello sviluppo funzionale dell’Io è conseguente a quello del Sé, non si può dire il contrario, in quanto il Sé costituisce una costellazione psicologica organizzata di base che determina in maniera drammatica qualsiasi tipo di esito successivo, anche pulsionale. La focalizzazione analitica dall’aspetto pulsionale a quello narcisistico vira anche l’attenzione dell’osservatore o studioso in senso sociologico: i tempi sono cambiati e ciò a cui assistiamo nella clinica non è più l’Uomo colpevole freudiano che punta alla soddisfazione pulsionale, bensì l’Uomo tragico volto disperatamente alla ricerca e alla realizzazione del proprio Sé.

Nevrosi di traslazione: riguarda la lotta tra le pulsioni infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (Es.: un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io[1] inconscio dell’analizzando).

Sé grandioso: nella concezione dello sviluppo psichico kohutiana, il narcisismo assume valore centrale. Il Sé grandioso è definito contemporaneamente all’IPI come struttura arcaica di quello che sarà poi il Sé maturo. Il rapporto con l’ambiente reale (la madre) determinerà pertanto gli esiti di quello che è stato precedentemente definito da Freud (1914) narcisismo primario. La possibilità del bambino di concentrare su se stesso tutta la perfezione e il potere, consentirà lo sviluppo di un livello libidico narcisistico adeguato allo sviluppo di un Sé vitale e coeso e, in definitiva, di una personalità integra e sana.

Empatia: Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfuhlung. In estetica, il termine indica un tipo di percezione vissuta antropomorficamente di fronte a oggetti: una colonna sottile che regge un grosso capitello può suscitare un senso di disagio, di squilibrio, di sforzo. Questi fenomeni sono stati studiati da T. Lipps (1903) come emozioni estetiche. L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale. Si tratta di un forte legame interpersonale e di un potente mezzo di cambiamento. Il concetto può prestarsi al facile riduttivismo mettersi nei panni dell’altro, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. Essa rappresenta, inoltre la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un’altra persona. L’empatia è dunque un processo: essere con l’altro. L’empatia costituisce un modo di comunicare nel quale il ricevente mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell’interlocutore. È una forma molto profonda di comprensione dell’altro perché si tratta d’immedesimazione negli altrui sentimenti. Ci si sposta da un atteggiamento di mera osservazione esterna (di come l’altro appare all’immaginazione) al come invece si sente interiormente (con quell'esperienza di vita, con quelle origini, cercando di guardare attraverso i suoi occhi).

Traslazione narcisistica: in maniera differente rispetto alla traslazione nevrotica in questo caso l’analista non funge da schermo per la proiezione della struttura interna dell’analizzando come avviene di norma nelle nevrosi, bensì egli diventa una “continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (Kohut, 1959, p. 17). Ovverosia rimette in moto lo sviluppo narcisistico del Sé del paziente, dal livello in cui esso è rimasto bloccato. Una differenza che si osserva nei pazienti con problematiche principalmente narcisistiche rispetto ai pazienti nevrotici – o anche nei pazienti nevrotici stessi che ad ogni modo secondo Kohut devono essere trattati secondo le innovazioni scientifiche della Psicologia del Sé –, è possibile differenziare la qualità conflittuale nevrotica rispetto a quella narcisistica della tematica presentata in analisi mediante il tipo di angoscia manifestata. Quando questa concerne un fatto preciso, delimitato e concreto, essa è manifestazione di nevrosi, mentre quando l’angoscia è diffusa, ciò è indicatore di una maggiore compromissione patologica che riguarda la coesione di base del Sé, e spesso la sensazione che si ha all’ascolto di questi pazienti è di senso di soffocamento e noia.

Kohut fornisce una panoramica rispetto agli effetti specifici e aspecifici dell’elaborazione della traslazione narcisistica.
Il cambiamento aspecifico più importante riguarda la maggiore capacità di amore oggettuale.
I fattori specifici invece riguardano tutti strettamente l’ambito del narcisismo (empatia, creatività, saggezza e umorismo).

Accrescimento ed espansione dell’amore oggettuale

1) Costituisce una mobilitazione libidica secondaria resa possibile in conseguenza della riattivazione dei legami affettivi che erano precedentemente inaccessibili a causa del muro regressivo del narcisismo.
Il Sé si apre al mondo esterno ed esce dall’isolamento in virtù della maggiore libido idealizzante ora disponibile a depositarsi sugli oggetti.

2) L’accresciuta capacità di amore oggettuale del paziente narcisista è collegata anche in maniera diretta all’elaborazione dell’area primaria della psicopatologia, ovverosia del narcisismo. Gli investimenti oggettuali sono più profondi a livello emotivo rispetto a quanto lo fossero in precedenza. L’investimento oggettuale, se non era già presente in precedenza verrà mobilitato dall’analisi.
L’investimento libidico oggettuale è facilitato dalla maggiore libido idealizzante resa disponibile dall’elaborazione del narcisismo.
Tale genere di progresso deriva dall’elaborazione sistematica della traslazione idealizzante.
Il risultato del maggiore investimento oggettuale con cariche idealizzanti, produce una maggiore intensità nell’esperienza erotica del paziente sia che essa riguardi la relazione amorosa con un altro essere umano, che la devozione ai suoi impegni e doveri.
Ora sarà possibile gestire in maniera più equilibrata le cariche libidiche: la componente narcisistica dell’amore totale è relativa, essa contribuirà all’esperienza d’amore del soggetto, ma gli investimenti libidici centrali mobilitati saranno di tipo oggettuale.
La maggiore disponibilità degli investimenti oggettuali non indica comunque che il narcisismo messo in moto dalla situazione analitica (libido sul Sé) si sia trasformato completamente di fatto in amore oggettuale, tutt’al più questa maturazione è dovuta alla libido oggettuale che era già presente, ma che era stata rimossa.
Questo tipo di configurazione riguarda il risultato terapeutico dei settori definiti da Kohut di “psicopatologia secondaria” ovverosia la nevrosi di traslazione, in un paziente che soffre in via primaria di un disordine narcisistico della personalità.
Kohut ribadisce il doppio registro già delineato in precedenza rispetto alla metapsicologia e quindi alle possibilità di cura: da un lato c’è la condizione narcisistica e le vicende del Sé, dall’altro l’Io e il destino delle sue strutture.
L’attenzione alla questione narcisistica tuttavia è centrale e fondamentale e deve essere, secondo Kohut (1971, 1977), prioritaria rispetto alla considerazione dei conflitti pulsionali, in quanto i benefici dell’analisi delle problematiche narcisistiche determinano anche, in conseguenza, il buon esito della strutturazione delle funzioni dell’Io.
La possibilità di amore oggettuale, passa attraverso l’investimento libidico del Sé e la sua coesione. Un sé coeso può investire gli oggetti libidici delle proprie pulsioni, mentre un Sé non integro o frammentato, blocca le proprie capacità di investimento ad un livello tale che i moti oggettuali pulsionali saranno preclusi o immaturi.

3) Un risultato aspecifico dell’analisi sistematica del narcisismo è anche l’accresciuta capacità di amore oggettuale dovuta alla maggiore forza del Sé, ovverosia alla maggiore coesione e delimitazione dei confini del Sé al di là dei suoi investimenti. Così come l’Io accresce la sua capacità di gestire una varietà di compiti professionali alla maggiore coesione del Sé, l’Io diventa centro esecutore della maggiore capacità di amore oggettuale. Dice Kohut (1971, p. 286): “Quanto più sicura è una persona riguardo alla possibilità di essere accettata, quanto più certo è il suo senso di chi egli sia, e quanto più interiorizzato è il suo sistema di valori, tanto più egli riuscirà ad offrire il suo amore con fiducia e in maniera efficace (a estendere cioè i suoi investimenti libidico-oggettuali) senza un’indebita paura di essere rifiutato e umiliato”. 

Sviluppi progressivi e integrativi dell’ambito narcisistico

Kohut si riferisce ai risultati del trattamento psicoanalitico dei disturbi narcisistici affermando che è in quest’ambito che avvengono i risultati più significativi e determinanti. Essi riguardano:
1)             L’imago parentale idealizzata che viene integrata nelle strutture dell’Io e del Super-io: a) man mano che gli aspetti pre-edipici precoci arcaici sono abbandonati vengono interiorizzati in forma neutralizzata e diventano parte della struttura dell’Io che resta adibita a tali funzioni (neutralizzazione, controllo e incanalamento). Il paziente infatti inizialmente è in grado di svolgere queste funzioni solo se si sente fuso e unito all’analista idealizzato; b) gli aspetti preedipici tardi ed edipici dell’imago parentale idealizzata vengono quindi abbandonati, interiorizzati e depositati nel Super-io. Il Super-io diventa una fonte di comando e guida interna, di approvazione stimolante, di maggiore integrazione dell’Io e dell’omeostasi narcisistica, che il paziente in precedenza godeva solo se si sentiva legato all’analista idealizzato e corrisposto.
2)             Il Sé grandioso che produce un’integrazione sia della grandiosità infantile che della libido esibizionistica arcaica: a) la prima viene integrata nelle ambizioni e negli scopi della personalità conferendo vigore ai moti maturi della personalità e sensazione di avere diritto al successo. Questo sentire da conquistatore (Freud 1917, p. 14; 1953, p. 29) è un derivato addomesticato dell’assolutismo solipsistico della psiche infantile; b) la seconda viene anch’essa neutralizzata dalle mete infantili di soddisfacimento per fluire nelle mete adattate e socialmente importanti della realtà adulta. L’esibizionismo che era causa di vergogna diventa fonte di autostima e di piacere sintonico all’Io.
3)             L’elaborazione della traslazione narcisistica è dunque una conquista che riguarda la personalità totale, ma dipende dalla mobilitazione delle posizioni narcisistiche arcaiche.

Empatia

E’ descritta da Kohut come una modalità conoscitiva adatta alla percezione di configurazioni psicologiche complesse.
L’Io utilizza l’empatia quando deve raccogliere dati psicologici, mentre usa modalità non empatiche per raccogliere dati di differente natura, ovverosia non inerenti la vita interiore dell’uomo (vedi Freud 1915c per differenza tra campo psicologico e non psicologico). Ci sono diversi tipi di disturbi che riguardano l’uso dell’empatia alcuni più gravi, altri minori.

I disturbi gravi dell’empatia sono distinti da Kohut in due gruppi:
1)             Uso improprio dell’empatia nell’osservazione di aree esterne al campo dei dati psicologici complessi. Utilizzare l’empatia per osservare dati non psicologici porta ad una percezione erronea della realtà, prerazionale, animistica, manifestazione di infantilismo percettivo e conoscitivo. Anche nella psicologia scientifica l’empatia non conduce da sola alla spiegazione dei dati psicologici. Bisogna analizzare le interconnessioni causali in termini lontani dall’osservazione (Hartmann, 1927). Se l’empatia si espandesse dalla raccolta di dati alla fase esplicativa della psicologia scientifica – definita verstehend ovvero comprensiva (Dilthey, 1924; Jaspers, 1913) e non erklärend cioè esplicativa – ciò equivarrebbe a una regressione sentimentaleggiante alla soggettività ovverosia un infantilismo conoscitivo nell’ambito delle attività scientifiche umane.
2)             Uso improprio dell’empatia nell’osservazione di aree riguardanti il campo dei dati psicologici complessi. Non utilizzando l’empatia in questi casi la realtà psicologica viene letta in senso meccanicistico ed inanimato. In questa categoria cadono i difetti più gravi dell’empatia ovvero quelli di natura primaria, dovuti a fissazioni o regressioni narcisistiche, nell’area degli stadi arcaici dello sviluppo del Sé. Quest’ultimo genere di mancanza di empatia è ricondotto da Kohut a disturbi precoci del rapporto madre-bambino, dovuti a freddezza emotiva della madre o insensibilità congenita del bambino o ancora, mancanza di coerenza nel rapporto. Questo tipo di problematica porta anche al fallimento nell’istaurarsi dell’imago parentale idealizzata, al blocco delle prime fasi di relazione empatica tra madre e bambino e all’iperinvestimento degli stadi primitivi del Sé corporeo (autoerotico) e del Sé grandioso, anch’esso bloccato per carenza delle necessarie risposte di ammirazione da parte della madre.

Ci sono poi una serie di disturbi minori o secondari dell’empatia. Kohut fa l’esempio dell’incapacità da parte di allievi in fase di training psicoanalitico di essere empatici nei confronti dei loro pazienti. Questa mancanza di empatia si configura come un’inibizione difensiva ed è una formazione reattiva contro la percezione animistica del mondo che viene rimossa oppure più frequentemente isolata e scissa. Secondo Kohut essa, ed è tipica delle personalità ossessive.

Risposte emotive e soggettive ai sentimenti altrui e valutazione oggettiva ovvero scientifica dei dati psicologici. L’empatia è a volte considerata simile all’intuizione, ciò porta a stabilire un illegittimo contrasto tra risposte emotive e soggettive ai sentimenti altrui e valutazione oggettiva. L’intuizione tuttavia non è strettamente correlata all’empatia: essa riguarda una serie di operazioni che vengono svolte molto velocemente da un medico, così come da come un computer che vaglia in breve tempo diverse combinazioni; tuttavia essa si differenzia dai giudizi non intuitivi soltanto per la sua velocità. La psicoanalisi ha consentito di utilizzare l’empatia intuitiva degli artisti e dei poeti nel campo della ricerca scientifica. Tuttavia lo psicoanalista deve essere capace di comprensione empatica così come di abbandonare tale tipo di comprensione, questo tipo di capacità di oscillazione tra le due posizioni consente di raccogliere i dati psicologici utili e di poterli poi analizzare per spiegarli. Questo tipo di oscillazione rispecchia la configurazione pratica/teoria: c’è bisogno di insight e dell’ampiezza dell’esperienza emotiva umana così come del lavoro teorico.
Un compito specifico dell’analisi didattica è pertanto quello di sciogliere le posizioni narcisistiche dell’analizzando nei settori legati alle capacità empatiche, fino a raggiungere un dominio dell’Io per il quale egli ha acquisito la capacità autonoma di adoperare o abbandonare la posizione empatica a seconda delle esigenze professionali.
La capacità empatica aumenta in conseguenza alla mobilitazione del narcisismo arcaico congelato, mentre diminuisce la capacità intuitiva che è una sostituzione del desiderio di onniscienza e del pensiero magico con la logica. La possibilità di abbandonare il dominio dell’intuizione implica la possibilità di sopportare i ritardi imposti dall’osservazione attenta dei dati. Eccezione a questo processo riguarda le personalità che avevano opposto forti formazioni reattive contro il pensiero magico e la propria onniscienza (due caratteristiche tipiche del narcisismo arcaico): esse diverranno maggiormente razionali ma più veloci, e si baseranno maggiormente sul preconscio invece di elaborare lungamente e faticosamente i dati.

La mobilitazione del narcisismo arcaico determina comunque una espansione delle capacità empatiche che è sempre autentica: per quanto riguarda l’oggetto idealizzato, esso aumenta l’empatia nei confronti degli altri, nel caso del Sé grandioso, soprattutto l’empatia nei confronti di sé stessi.
Questo obiettivo dell’analisi può essere oggetto di resistenze che bloccano il progresso analitico oppure lo capovolgono contemporaneamente una volta che esso è stato raggiunto.
Come illustrato da Kohut nel cap. 11, ci sono varie resistenze che si oppongono allo sviluppo dell’empatia nel corso della sua acquisizione. Tali resistenze possono presentarsi allo stesso modo nella situazione analitica.
Nel caso in cui il disturbo empatico è legato ad una mancanza di empatia nei genitori (essa è difettosa o inattendibile) il bambino cerca espedienti per tenere gli altri a distanza in modo da proteggersi dalla delusione di non essere compreso o ricevere risposte adeguate (vedi cap. 1 su personalità schizoide). In questo caso particolare la psiche del paziente si sentirà esposta a due tipi di pericoli:
1)             oltre al piacere il paziente avvertirà una sensazione spiacevole di eccitamento e stimolazione, seguito da un’angoscia suscitata dal timore di fusione regressiva che può manifestarsi sotto forma di illusione temporanea di identità corporea e porta al tentativo di contenere o scaricare le tensioni sessualizzandole in maniera grossolana (vedi cap. 8 su stati traumatici).
2)             Si determinano resistenze legate a paure di passività, specialmente per gli uomini come rischio di sottomissione.
Queste paure nascono dalla comprensione che l’analista è un essere umano capace di reagire con emozioni ed empatia all’analizzando.
La protezione dell’isolamento narcisistico e il pericolo che comporta rinunciare a questa sicurezza vengono descritti da Kohut nel sogno del signor Q. Questo paziente aveva perso la madre nella prima infanzia e a seguire anche altre figure materne.

“Sognò che era solo in casa e che guardava fuori dalla finestra; accanto a sé aveva il suo equipaggiamento da pesca. Attraverso la finestra vedeva numerosi bei pesci, grandi e piccoli, che nuotavano tutt’intorno, e provava il desiderio di andare a pescare. Si rendeva conto però che la sua casa era in fondo al lago e che non appena avesse aperto la finestra per pescare, l’intero lago avrebbe invaso la casa e l’avrebbe sommerso” (Kohut, 1971, p. 295).

Altre resistenze possono manifestarsi come rifiuto della comprensione dell’analista che si suppone piena di condiscendenza: l’empatia accompagnata da un atteggiamento di cura diretta attraverso la comprensione amorevole può essere autoritaria e noiosa ovvero poggiare sulle irrisolte fantasie di onnipotenza dell’analista.
Seppure l’analista sia attento all’uso dello strumento empatico utilizzandolo come forma di comunicazione appropriata, il semplice fatto che il paziente acconsenta ad essere compreso e corrisposto empaticamente lo lascia esposto alla paura arcaica delle delusioni precoci. Egli può pertanto diventare sospettoso, sentirsi manipolato dall’analista etc. Questi atteggiamenti paranoidi in genere durano poco e vengono risolti nell’interpretazione genetica e dinamica. Qualunque sia l’esito delle resistenze ad ogni modo un accrescimento delle capacità empatiche verso gli altri e l’accettazione che anche gli altri possano comprendere maggiormente sentimenti, desideri e bisogni si può osservare con grande regolarità nei pazienti narcisisti.



Creatività
Sostanzialmente Kohut intende per creatività lo sbocco che si apre agli investimenti narcisistici che vengono trasformati nel corso di un trattamento psicoanalitico.- investimenti narcisistici che prima del trattamento psicoanalitico erano congelati nell’area del Sé grandioso e dell’imago parentale idealizzata.
A riguardo, il primo quesito che Kohut si pone è quale sia il parametro che ci porta ad individuare quali siano le attività creative, se solo quelle artistiche o anche quelle scientifiche.
Una prima netta distinzione è quella di considerare la Scienza come la scoperta di Formazioni già preesistenti e l’Arte come introduzione nel mondo di nuove configurazioni.
Ma questa differenziazione non è poi così netta perché:
1)             Le scoperte scientifiche non descrivono solamente fenomeni esistenti in quanto la successiva operazione dello scienziato è quella di incanalare in una certa direzione specifica lo sviluppo scientifico;
2)             Altresì per il genio artistico che potrà determinare non solo un nuovo stile ma anche la direzione in cui si svilupperà.
Ma dobbiamo tenere presente anche:
1)             Che la scienza si sarebbe potuta svolgere in una direzione diversa, da quella in cui di fatto si è sviluppata - la nostra comune concezione scientifica è quella di credere che la scienza può svilupparsi solo nel modo che di fatto constatiamo ed in merito, gli scritti del fisico Alexander Koyrè ci dimostrano i procedimenti artistici eseguiti nel campo della fisica;
2)             Allo stesso modo non dobbiamo trascurare il fatto che alcune opere artistiche sono il riflesso di qualcosa che è preesistente.
Ma se paragoniamo le opere Artistiche e quelle Scientifiche all’interno di uno schema oggettivo riserveremo l’attributo di creatività solo a quelle artistiche; e solo in senso metaforico a quelle scientifiche.
Ma se proviamo a passare da un discorso generale ad uno più particolare che ci porta ad un confronto tra le due personalità prese  in esame valuteremo che:
1)             La personalità dell’artista (rispetto allo scienziato) in linea generale, possiede investimenti narcisistici che tendono ad essere meno neutralizzati e la sua libido esibizionistica si sposta tra sé e il suo prodotto investito narcisisticamente con una fluidità maggiore che nello scienziato. Sempre in linea generale, possiamo dire che un controllo rigido dell’esibizionismo di un artista potrebbe interferire con la sua performance. D’altra parte invece l’emergere di istanze grandiose ed esibizionistiche di un Sé grandioso ed arcaico sarebbe un forte ostacolo ad una corretta produzione scientifica.
A questo riguardo fa riferimento l’esempio del rapporto epistolare tra Freud e Fliess, in cui traspare l’esibizionismo giovanile di Freud e al contempo il controllo su ogni sua spinta verso il compiacimento, attraverso il rifiuto a partecipare a feste date in suo onore, o alla sua presa di distanza dal  carattere magico ed ipocrita dei messaggi di congratulazioni che gli giungevano.
L’esempio di Freud serve da traccia per osservare la curva di sviluppo di un grande scienziato: essa sembrerebbe rivolta poco alla stimolazione della propria persona, limitandosi all’investimento libidico neutralizzato ed inibito alla meta.
La differenza tra l’artista e lo scienziato diventa ancora più evidente quando osserviamo che un’opera artistica ultimata è intoccabile perché legata strettamente alla personalità dell’autore; mentre se uno scienziato ha formulato  la sua teoria che successivamente viene integrata o revisionata in parte da un altro scienziato non vi sarebbero i margini d’infrazione proprio perché l’opera scientifica porta in se un carattere di indipendenza dal suo ideatore.
Ma al di la di queste considerazioni che hanno un carattere della generalità, è vero anche che ci sono scoperte scientifiche che vengono fuori con il segno di una vera e propria opera d’arte e altresì nel campo dell’arte ci sono capolavori compiuti da anonimi che contraddicono l’affermazione in cui l’operatore è inestricabilmente legato al suo creatore.
A paragone con lo scienziato l’artista investe la sua opera con la libido narcisistica meno neutralizzata e resta identificato con il suo prodotto.
Le attività artistiche e scientifiche che vengono fuori durante il processo analitico di  disordini narcisistici sono comunque fenomeni analoghi e ricoprono un ruolo analogo nel processo psicoanalitico.
L’ondata di attività creative non di rado sopravviene come misura di emergenza perché l’Io deve fronteggiare la libido narcisistica precedentemente rimossa e quindi ha breve durata (vedi Kohut - il caso della signorina F.).
Quando il processo di elaborazione psicoanalitica prosegue in modo corretto si creano nuove configurazioni stabili come l’autostima e la formazione di un ideale.
Man mano che gli investimenti narcisistici vengono rimossi terapeuticamente, essi vanno ad incrementare l’interesse sublimatorio al punto che un hobby insignificante può diventare una vera e propria attività soddisfacente e l’approvazione pubblica diventerà un sostegno all’autostima del paziente.
Portiamo l’esempio del signor E. che nella prima fase dell’esperienza psicoanalitica non riusciva a svolgere le attività artistiche, ma successivamente inizia ad avere attività sublimatorie nell’intervallo del fine settimana in cui rimaneva separato dalle sedute psicoanalitiche. Nato prematuro, viene messo in incubatrice; successivamente portato a casa non viene toccato dai genitori. Sua madre, dopo una malattia, muore quando il paziente aveva sedici anni.
Nella tarda infanzia il paziente si esibiva nelle sue prodezze sull’altalena, ma la madre non rispose empaticamente e con il dovuto sostegno; fu da allora che il bambino iniziò pericolose attività voyeristiche nel bagno di una fiera pubblica come risposta ai suoi desideri esibizionistici.
Con questa perversione, egli esprimeva bisogni arcaici nell’ambito di istanze esibizionistiche frustrate e le attività artistiche gli fornirono una certa visibilità, utile al suo bisogno di contatto alla luce della sua storia nella primissima infanzia.
Il lavoro sublimatorio che trovò un forte slancio negli ultimi anni del suo trattamento analitico non fu soltanto un modo di risolvere i suoi bisogni di contatto e fusione ma divenne una grande fonte di riconoscimento sociale ed economico.
Lo stretto collegamento tra bisogni di contatto frustrati e il desiderio di fusione - che si trasformò successivamente in una modalità di grande sensibilità verso il mondo intero - è un fenomeno che possiamo osservare in molti poeti: John Keats aveva la tendenza ad identificarsi con oggetti inanimati (palle da biliardo). A ciò era associata una profonda e sensibile capacità di comprensione delle cose che si manteneva attiva solo se gli arrivava il calore degli amici.
Il poeta con il suo identificarsi con la palla da biliardo testimoniava la natura narcisistica del suo rapporto creativo con l’ambiente.
Un certo potenziale creativo rientra nella vita di molte persone in cui, problematiche intellettuali ed artistiche irrisolte sono causa di uno squilibrio narcisistico che trovano a loro volta sollievo anche attraverso semplici attività come le parole crociate o lo spostamento di un mobile in una stanza.
Alcune personalità creative durante momenti d’intensa produzione artistica hanno un forte bisogno  di  una relazione empatica.
Tale bisogno è particolarmente intenso tanto più le scoperte conducono in ambiti nuovi ed inesplorati.
Questo sembrerebbe attribuibile al fatto che l’atto creativo porta con se l’isolamento.
Questo se da una parte è esaltante dall’altra costituisce anche un’esperienza terrifica in quanto verrebbe a rappresentare il trauma infantile di essere abbandonato.
In una simile situazione può capitare che anche il genio elegga una persona del suo ambiente ad oggetto onnipotente con cui fondersi.
Questo lascia intravedere un Sé creativo in espansione che ha bisogno di trarre forza da un oggetto idealizzato.
Fliess fu per Freud l’oggetto di traslazione narcisistica durante la sua produzione letteraria più importante ed egli rinunciò al senso illusorio della grandezza di Fliess, quando terminò il suo compito creativo.
Alla Creatività degli analisti Kohut dedica un’attenzione speciale.
Egli afferma che al termine di un’analisi didattica, la trasformazione delle posizioni narcisistiche può apportare non solo una maggiore capacità empatica ma anche un’accresciuta attività ricca di spunti di autentica creatività.
Questa creatività sembra scaturire dal bisogno incessante di indagare su certe aree psicologiche non elaborate nell’analisi personale; nasce quindi il bisogno di superare l’empasse attraverso una nuova analisi.
Ma se il lavoro analitico è incompleto a causa della scienza psicoanalitica che non è progredita, questo stesso fattore diventa lo stimolo che conduce ad altre ricerche. Tuttavia ciò avviene se l’incompletezza dell’analisi didattica è riconosciuta dal ricercatore.
“Proprio come in altre attività scientifiche, la creatività degli analisti è risvegliata da molti stimoli e alimentata da altre fonti, tra cui i conflitti patogeni del ricercatore.” (…) “Io credo che la vera creatività psicoanalitica possa essere motivata dal bisogno imperioso di indagare su certe aeree psicologiche che non sono state completamente chiarite nell’analisi personale” (Kohut, 1971, p. 306).
Per alcuni analisti potenzialmente creativi, gli aspetti irrisolti di una traslazione narcisistica può, durante o al termine, essere spostata su Freud come imago paterna; a riguardo la paura della perdita di fusione narcisistica con l’immagine del padre può innescare sentimenti controfobici di ribellione che in ultima analisi determineranno un forte senso critico della sua opera.
Conseguenza sterile può essere un’incessante polemica teorica che non è sostituita da un contributo positivo finalizzato all’ampliamento della nostra conoscenza psicologica dell’uomo.
Quando invece l’analizzando sta evolvendo verso lo scioglimento del proprio legame narcisistico traslativo con l’analista si possono manifestare attività creative libere da qualsiasi funzione difensiva da parte dell’Io.
Esse costituiscono di frequente vere e proprie riattivazioni di tentativi creativi che risalgono alla latenza  e alla adolescenza.
Kohut cita l’esempio del signor P., un giovane uomo che in prossimità della fine della sua analisi inizia a scrivere racconti brevi e molto interessanti: essi erano imperniati su tematiche di un adolescente pieno di senso di solitudine, senso di estraniamento dal mondo e con attività sessuali alquanto grossolane; è alla ricerca di un amico da cui essere protetto rispetto a tutto ciò.
Tralasciando il significato specifico di fronteggiare nella sua analisi il pericolo della perdita superegoica, quello che è più interessante è il rapporto tra questi racconti e l’elaborazione di problemi simili che si manifestarono in un “sogno bagnato” fatto più di vent’anni prima e che accompagnò la prima polluzione notturna:
“nel sogno il paziente contemplava un paesaggio di grande bellezza e pace…prati ondulanti e ruscelli serpeggianti in cui l’acqua scorreva gaia riflettendo il blu di un cielo senza nuvole. Piccoli gruppi di alberi circondavano le abitazioni di uno stile rustico ed anche se non c’era nessuno vi erano numerose tracce di vita: mucche che pascolavano e pecore bianche che spiccavano nel verde dei prati. Improvvisamente la pace veniva turbata da un rombo lontano. Il paziente alzava lo sguardo e scopriva che il paesaggio da lui contemplato era una vallata ai piedi di un’alta diga. Il rombo minaccioso sembrava provenire da lì e improvvisamente il paziente notava delle fessure profonde nella diga. Tutti i colori del paesaggio mutavano in maniera percettibile ma significativa. Il blu del cielo e dell’acqua diventava nerastro. Il verde dell’erba cambiava in un verde acceso e innaturale e gli alberi sembravano più scuri. Le fenditure nella diga si allargavano e poi tutto ad un tratto un vortice di acqua brutta, brutta e distruttiva ne usciva fuori, inondando la campagna con tutta la sua bellezza , spazzando  via gli alberi, le case e gli animali. L’ultima impressione indimenticabile che il paziente ebbe prima di svegliarsi inorridito fu la vista del bianco delle pecore che si mutava nel bianco dei cavalloni vorticosi che avviluppavano tutto”.
Tralasciando il significato complesso presente in tutto il sogno possiamo dire che esso esprimeva l’esperienza del disturbo narcisistico racchiuso nella sua beatitudine (il paesaggio è il simbolo del corpo del paziente); disturbo causato dall’irrompere di elementi sadici sessuali che sfociavano nella polluzione.
Come si diceva prima, le trasformazioni delle tensioni narcisistiche liberarono l’Io artistico che poté iniziare ad investire oggetti-Se di natura più elevata con la produzione di racconti brevi .
Considerando che possono esserci delle eccezioni, possiamo considerare che molte creazioni artistiche che emergono nella fase finale dell’analisi, sono il risultato delle trasformazioni di vecchie istanze narcisistiche patogene.

Umorismo e Saggezza.
Kohut ritiene che il senso umoristico autentico sia un altro risultato delle trasformazioni delle istanze narcisistiche arcaiche e patogene che avviene nel corso del trattamento psicoanalitico.
Ma ancor di più l’umorismo accompagna e completa il rafforzamento dei valori ed ideali.
Bisogna valutare se l’attaccamento ai valori ed ideali è spontaneo e autentico cioè lontano da una sorta di fanatismo e quindi accompagnato da un senso delle proporzioni e soprattutto che le istanze narcisistiche sono neutralizzate ed inibite alla meta. In altre parole sarebbe da accertare clinicamente, il ridimensionamento delle fantasie grandiose e l’abbandono di modalità perfezioniste che fanno emergere un misto equilibrato di ideali e senso dell’umorismo.
L’Io del paziente diventa capace di vedere adesso in proporzioni realistiche le ispirazioni del Sé grandioso infantile e soprattutto di sorridere e divertirsi su quelle configurazioni con ritrovato senso di libertà.
Il commento della sig.na F ne è una prova: “Credo che il crimine che lei ha commesso e per cui non può esservi perdono, è che lei non è me”.  
La conquista della saggezza è una delle vette dello sviluppo umano non tanto e non solo per quanto attiene la trasformazione dei disturbi narcisistici ma in generale in qualsiasi crescita e trasformazione umana.
La saggezza acquisita durante il trattamento psicoanalitico consiste nel passaggio da una semplice informazione dei dati ad una maggiore e più profonda consapevolezza del funzionamento della propria mente. 
L’inizio di questo percorso che porta alla saggezza è contrassegnato, per il paziente, da una buona conoscenza di se stesso ma anche dell’analista; ma soprattutto dall’accettazione da parte del paziente di quel carattere passeggero che connota l’esistenza individuale.
Questo è il prerequisito che favorisce nel paziente il rafforzamento dell’autostima stante la consapevolezza dei propri limiti, conflitti inibizioni e tendenze alla grandiosità che possono permanere ma avvolte da una buona dose di consapevolezza.

Bibliografia
Dilthey, W., (1924), Ideen ubere ine beschreibende und zergliederne Psychologie, in Gesammelte Schriften, vol. 5 (Teubern, Lipsia).
Freud, S., (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale. In Opere. Vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1914b), Introduzione al narcisismo. In Opere. Vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1915-17), Introduzione alla psicoanalisi. In Opere, Vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Hartmann, 1927 Understanding and Explanation in Hartmann (1964) Essays on Ego psychology, Int. Univ. Press, New York.
Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
Kohut, H., (1971), Narcisismo e analisi del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Kohut, H., (1977), La guarigione del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1980.
Jaspers, K., (1913), Psicopatologia gnereale. Pensiero Scientifico, Roma, 1963.




[1] Imago inconscia del padre. Nella nevrosi, a differenza dei disturbi più gravi (narcisistici) ciò avviene in quanto il paziente ha già formato la struttura Superegoica sulla base delle relazioni reali vissute con i genitori.

domenica 15 settembre 2013

David Foster Wallace - Imparare a pensare, la libertà di scegliere


"Questa è l'acqua" (Discorso ai laureati del Kenyon College, 2005)

Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: «Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?». I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: «Che cavolo è l’acqua?».
Negli Stati Uniti un discorso per il conferimento delle lauree non può prescindere dall’impiego di storielle d’impianto parabolico a scopo didascalico. Tra le convenzioni imposte dal genere, questa storiella è una delle migliori e con meno fronzoli… ma non temete: non sono qui nella veste del pesce anziano e saggio che spiega cos’è l’acqua ai pesci più giovani. Non io sono l’anziano pesce saggio. Il succo della storiella dei pesci è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire e da discutere. Detta così sembrerà una banalità bella e buona, ma il fatto è che nelle trincee quotidiane dell’esistenza da adulti le banalità belle e buone possono diventare questione di vita o di morte, ed è su questo che vorrei soffermarmi in questa splendida mattinata tersa.
Certo, un discorso come questo presuppone che vi parli in primo luogo del significato della vostra cultura umanistica, che cerchi di spiegarvi perché la laurea che state per prendere ha un effettivo valore umano e non solo un tornaconto materiale. Vediamo perciò di affrontare il cliché in assoluto più diffuso in questo genere di discorsi, e cioè che lo scopo di una cultura umanistica non è tanto rimpinzarvi di erudizione quanto «insegnarvi a pensare».

                                         


Se siete come ero io ai tempi dell’università, sentirvi dire una cosa del genere non vi sarà mai piaciuto, e anzi troverete un po’offensivo che qualcuno pretenda di insegnarvi come si pensa, visto che il solo fatto di essere entrati in un’università così prestigiosa dimostra che ne siete capaci. Ma partirò dal presupposto che il cliché degli studi umanistici non abbia niente di offensivo, perché la vera, fondamentale educazione a pensare che dovremmo ricevere in un luogo come questo non riguarda tanto la capacità di pensare, quanto semmai la facoltà di scegliere a cosa pensare. Se la vostra totale libertà di scegliere a cosa pensare sembra fin troppo ovvia per sprecare il fiato a parlarne, vi chiederei di pensare ai pesci e all’acqua mettendo da parte, solo per qualche istante, ogni scetticismo sul valore delle perfette ovvietà.

Eccovi un’altra storiella didascalica. Ci sono due tizi seduti in un bar nel cuore selvaggio dell’Alaska. Uno è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo l’esistenza di Dio con quella foga tutta speciale che viene fuori dopo la quarta birra. L’ateo dice: «Guarda che ho le mie buone ragioni per non credere in Dio. Ne so qualcosa anch’io di Dio e della preghiera. Appena un mese fa mi sono lasciato sorprendere da quella spaventosa tormenta di neve lontano dall’accampamento, non vedevo niente, non sapevo più dov’ero, c’erano quarantacinque gradi sottozero e così ho fatto un tentativo: mi sono inginocchiato nella neve e ho urlato: “Dio, sempre ammesso che Tu esista, mi sono perso nella tormenta e morirò se non mi aiuti!”». A quel punto il credente guarda l’ateo confuso: «Allora non hai più scuse per non credere – dice -, sei qui vivo e vegeto». L’ateo sbuffa come se il credente sia uno scemo integrale: «Non è successo un bel niente, a parte il fatto che due eschimesi di passaggio mi hanno indicato la strada per l’accampamento».

È facile analizzare questa storiella secondo i criteri classici delle scienze umanistiche: la stessa identica esperienza può significare due cose completamente diverse per due persone diverse che abbiano due diverse impostazioni ideologiche e due diversi modi di attribuire un significato all’esperienza. Siccome diamo grande valore alla tolleranza e alla diversità ideologica, la nostra analisi di stampo umanistico non ci consente nel modo più assoluto di dire che l’interpretazione dell’uno è vera e quella dell’altro è falsa o disdicevole. Il che va benissimo, solo che così facendo trascuriamo puntualmente l’origine di tali impostazioni e credenze individuali, la loro origine, cioè, all’interno di quei due tizi. Quasi che l’orientamento di fondo di una persona rispetto al mondo e al significato della sua esperienza sia cablato in automatico, come l’altezza o il numero di scarpa, o assorbito dalla cultura come la lingua. Quasi che il nostro modo di attribuire un significato non sia questione di scelta personale e deliberata, di decisione consapevole.

C’è poi la questione dell’arroganza. Il non credente liquida con estrema petulanza e sicumera l’eventualità che gli eschimesi avessero qualcosa a che fare con la preghiera di aiuto. D’altro canto i credenti che mostrano un’arrogante sicurezza nelle loro interpretazioni non si contano nemmeno. E forse sono anche peggio degli atei, almeno per la maggior parte di noi qui riuniti, ma il fatto è che il problema dei dogmatici religiosi è identico a quello dell’ateo della storiella: arroganza, convinzione cieca, una ristrettezza di idee che si traduce in una prigionia completa al punto che il prigioniero non sa nemmeno di essere sotto chiave. Il punto, secondo me, è che il mantra delle scienze umanistiche – «insegnami a pensare» – in parte dovrebbe significare proprio questo: essere appena un po’meno arrogante, avere un minimo di «consapevolezza critica» riguardo a me stesso e alle mie certezze… perché un’enorme percentuale delle cose di cui tendo a essere automaticamente certo risultano, a ben vedere, del tutto erronee e illusorie. Io l’ho imparato a mie spese e altrettanto, ho il sospetto, toccherà a voi.

Ecco un esempio dell’erroneità assoluta di una cosa della quale tendo a essere automaticamente certo. Tutto nella mia esperienza diretta corrobora la convinzione profonda che io sono il centro esatto dell’universo, la persona più reale, concreta e importante che esista. Affrontiamo raramente questa forma di naturale e basilare egocentrismo perché socialmente parlando è disgustosa anche se, sotto sotto, ci accomuna tutti. È la nostra modalità predefinita, inserita nei circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non avete vissuto una sola esperienza che non vi vedesse al suo centro esatto. Per voi il mondo è una cosa che vi sta davanti o dietro, a sinistra o a destra, sullo schermo del televisore o su quello del computer. I pensieri e i sentimenti degli altri devono esservi comunque comunicati, i vostri invece sono così vicini, pressanti, reali. Insomma, ci siamo capiti. Ma state tranquilli, non mi preparo a tenervi una predica sulla compassione, l’eterodirezione o tutte le altre cosiddette «virtù». Non è questione di virtù quanto della scelta di impegnarmi a modificare o a tenere a freno la mia naturale modalità predefinita, che è per forza di cose profondamente e letteralmente egocentrica, e vede e interpreta tutto attraverso la lente dell’io. Le persone capaci di adattare a tal punto la loro modalità predefinita sono spesso considerate l’esatto opposto dei «disadattati», termine che, vi posso assicurare, non ha niente di casuale.

Dato il contesto accademico è naturale domandarsi fino a che punto questo adattamento della modalità predefinita coinvolga il sapere o l’intelletto. La risposta, com’è prevedibile, è che dipende da che cosa intendiamo sapere. La conseguenza forse più pericolosa di una cultura accademica, almeno nel mio caso, è che legittima la mia tendenza a essere cerebrale, a perdermi nelle astrazioni anziché prestare semplicemente attenzione a quello che mi succede davanti agli occhi. Anziché prestare attenzione a quello che mi succede dentro. Sono sicuro che ormai sapremo quanto sia difficile tenere alta la soglia di attenzione e non farsi ipnotizzare dall’ininterrotto monologo che si svolge dentro la testa. Quello che ancora non sapete è quanto sia alta la posta in gioco.

Sono passati vent’anni da quando mi sono laureato e nel frattempo ho capito poco alla volta che il cliché secondo il quale le scienze umanistiche «insegnano a pensare» in realtà sintetizza una verità molto profonda e importante. «Imparare a pensare» di fatto significa imparare a esercitare un certo controllo su come e su cosa pensare. Significa avere quel minimo di consapevolezza che permette di scegliere a cosa prestare attenzione e di scegliere come attribuire un significato all’esperienza. Perché se non sapete o non volete esercitare questo tipo di scelta nella vita da adulti, sarete fregati. Un vecchio cliché vuole che la mente sia un ottimo servo ma un pessimo padrone. Questo, come molti altri cliché in apparenza fiacchi e banali, in realtà esprime una grande, terribile verità. Non è certo un caso che gli adulti che si suicidano con armi da fuoco si sparino quasi sempre… alla testa. E la verità è che erano quasi tutti già morti da un pezzo quando hanno premuto il grilletto. E date retta a me, il valore reale e schietto della vostra cultura umanistica dovrebbe essere proprio questo: impedire di trascorrere la vostra comoda vita da adulti da morti, inconsapevoli, schiavi della vostra testa e della vostra naturale modalità predefinita che vi impone una solitudine unica, completa e imperiale giorno dopo giorno.
Potrà sembrare un’iperbole, o un’astrazione priva di senso. Perciò mettiamola sul piano pratico.       

                                     

Il fatto è che voi laureandi non avete ancora ben chiaro che cosa significhi realmente “giorno dopo giorno”. Ci sono interi aspetti della vita americana da adulti che vengono bellamente ignorati da chi tiene discorsi come questo. I genitori e le persone di una certa età qui presenti sanno benissimo a cosa mi riferisco. Mettiamo, per dire, che sia una normale giornata nella vostra vita da adulti: la mattina vi alzate, andate al vostro impegnativo lavoro impiegatizio da laureati, sgobbate per nove o dieci ore e alla fine della giornata siete stanchi, siete stressati e volete solo tornare a casa, fare una bella cenetta, magari rilassarvi un paio d’ore e poi andare a letto presto perchè il giorno dopo dovete alzarvi e ripartire daccapo. Ma a quel punto vi ricordate che a casa non c’è niente da mangiare - questa settimana il vostro lavoro impegnativo vi ha impedito di fare la spesa - e così dopo il lavoro vi tocca prendere la macchina e andare al supermercato. A quell’ora escono tutti dal lavoro, c’è un traffico mostruoso e il tragitto richiede molto più del necessario e, quando finalmente arrivate, scoprite che il supermercato è strapieno di gente perchè a quell’ora tutti gli altri che come voi lavorano cercano di ficcarsi nei negozi di alimentari, e il supermercato è orribile, illuminato al neon e pervaso da quelle musichette e canzoncine capaci solo di abbruttire e voi dareste qualsiasi cosa per non essere lì, ma non potete limitarvi a entrare e uscire; vi tocca girare tutti i reparti enormi, iperilluminati e caotici per trovare quello che vi serve, manovrare il carrello scassato in mezzo a tutte le altre persone stanche e trafelate col carrello, e ovviamente ci sono i vecchi di una lentezza glaciale, gli strafatti e i bambini iperattivi che bloccano la corsia e a voi tocca stringere i denti e sforzarvi di chiedere permesso in tono gentile ma poi, quando finalmente avete tutto l’occorrente per la cena, scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte anche se è l’ora di punta, e dovete fare una fila chilometrica, il che è assurdo e vi manda in bestia, ma non potete prendervela con la cassiera isterica, oberata com’è quotidianamente da un lavoro così noioso e insensato che tutti noi qui riuniti in questa prestigiosa università nemmeno ce lo immaginiamo…fatto sta che finalmente arriva il vostro turno alla cassa, pagate il vostro cibo, aspettate che una macchinetta autentichi il vostro assegno o la vostra carta di credito e vi sentite augurare “buona giornata” con una voce che è esattamente la voce della morte, dopodichè mettete quelle raccapriccianti buste di plastica sottilissima nell’esasperante carrello dalla ruota impazzita che tira a sinistra, attraversate tutto il parcheggio intasato, pieno di buche e di rifiuti, e cercate di caricare la spesa in macchina in modo che non esca dalle buste rotolando per tutto il bagagliaio lungo il tragitto, in mezzo al traffico lento, congestionato, strapieno di Suv dell’ora di punta, eccetera, eccetera.

Ci siamo passati tutti, certo: ma non rientra ancora nella routine di voi laureati, giorno dopo settimana dopo mese dopo anno. Pero’ finirà col rientrarci, insieme a tante altre squallide, fastidiose routine apparentemente inutili…
Ma non è questo il punto. Il punto è che la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa. Perchè il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il tempo per pensare, e se non decido consapevolmente come pensare e a cosa prestare attenzione, saro’ incazzato e giù di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perchè la mia modalità predefinita naturale dà per scontato che situazioni come questa contemplino davvero esclusivamente ME. La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, e avro’ la netta impressione che tutti gli altri mi intralcino.

E chi sono tutti questi che mi intralciano? Guardali là, fanno quasi tutti schifo mentre se ne stanno in fila alla cassa come tanti stupidi pecoroni con l’occhio smorto e niente di umano; e che odiosi poi quei cafoni che parlano al forte al cellulare in mezzo alla fila. Certo che è proprio un’ingiustizia: ho sgobbato tutto il santo giorno, muoio di fame, sono stanco e non posso nemmeno andare a casa a mangiare un boccone e a distendermi un po’ per colpa di tutte queste stupide, stramaledette persone. Oppure, se gli studi umanistici fanno propendere la mia modalità predefinita verso una maggiore coscienza sociale, posso trascorrere il tempo imbottigliato nel traffico di fine giornata a inorridire per tutti gli enormi, stupidi Suv, Hummer e pickup con motore da 12 valvole che bloccano la corsia bruciando tutti e centottanta i litri di benzina che hanno in quei loro serbatoi spreconi e egoisti, posso riflettere sul fatto che gli adesivi patriottici o religiosi sembrano sempre appiccicati sui veicoli più grossi e schifosamente egoisti, guidati dagli autisti più osceni, spericolati e aggressivi, che di norma parlando al cellulare mentre ti tagliano la strada per guadagnare sei stupidi metri nel traffico congestionato, e posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sperperato tutto il carburante del futuro, mandando in malora il clima, e a quanto siamo viziati, stupidi, egoisti e ripugnanti, e a come fa tutto veramente schifo e chi più ne ha più ne metta…


Guardate che se scegliete di pensarla così non c’è niente di male, lo facciamo in tanti, solo che pensarla così diventa talmente facile e automatico che non richiede una scelta. Pensarla così è la mia modalità predefinita naturale. E’ il mio modo automatico e inconsapevole di affrontare le parti noiose, frustranti e caotiche della mia vita da adulto quando agisco in base alla convinzione automatica e inconsapevole che sono io il centro del mondo, e che sono le mie sensazioni e i miei bisogni immediati a stabilire l’ordine di importanza delle cose. Il fatto è che in frangenti come questo si puo’ pensare in tanti modi diversi. Nel traffico, con tutti i veicoli che mi si piazzano davanti e mi intralciano, non è da escludere che a bordo dei Suv ci sia qualcuno che in passato ha avuto uno spaventoso incidente e ora ha un tale terrore di guidare che il suo analista gli ha ordinato di farsi un Suv mastodontico per sentirsi più sicuro alla guida; o che al volante dell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada ci sia un padre che cerca di portare di corsa in ospedale il figlioletto ferito o malato che gli siede accanto, e la sua fretta è maggiore e più legittima della mia: anzi, sono io a intralciarlo. Oppure posso scegliere di prendere mio malgrado in considerazione l’eventualità che tutti gli altri in fila alla cassa del supermercato siano annoiati e frustrati almeno quanto me, e che qualcuno magari abbia una vita nel complesso più difficile, tediosa e sofferta della mia. Vi prego ancora una volta di non pensare che voglia darvi dei consigli morali, o che vi stia dicendo che “dovreste” pensarla così, o che qualcuno si aspetta che lo facciate automaticamente, perchè è difficile, richiede forza di volontà e impegno mentale e, se siete come me, certi giorni non ci riuscirete proprio, o semplicemente non ne avrete nessuna voglia.

Ma quasi tutti gli altri giorni, se siete abbastanza consapevoli da offrirvi una scelta, potrete scegliere di guardare in modo diverso quella signora grassa con l’occhio smorto e il trucco pesante in fila in cassa che ha appena sgridato il figlio: forse non è sempre così; forse è stata sveglia tre notti di seguito a stringere la mano al marito che sta morendo di cancro alle ossa. O forse è quella stessa impiegata assunta alla Motorizzazione col minimo salariale che soltanto ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un problema burocratico da incubo facendole una piccola gentilezza di ordine amministrativo. Non è molto verosimile, d’accordo, ma non è nemmeno da escludere: dipende solo da cosa volete prendere in considerazione.

Se siete automaticamente certi di sapere cosa sia la realtà e chi e che cosa siano davvero importanti - se volete operare in modalità predefinita - allora anche voi, come me, probabilmente trascurerete tutte le eventualità che non siano inutili o fastidiose. Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative non mancano. Avrete davvero la facoltà di affrontare una situazione caotica, chiassosa, lenta, iperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unità sottesa a tutte le cose. Misticherie non necessariamente vere. L’unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla. Questa, a mio avviso, è la libertà che viene dalla vera cultura, dall’aver imparato a non essere disadattati; riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no.

Riuscire a decidere che cosa venerare…
Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale - che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili - è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. E’ questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva.  Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.


Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono inconsapevoli. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno ben conto di farlo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perchè il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Cio’ non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione.

Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.
So che questa roba forse non vi sembrerà divertente, leggera o altamente ispirata come invece dovrebbe essere nella sostanza un discorso per il conferimento delle lauree. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche. Ovvio che potete prenderla come vi pare. Ma vi pregherei di non liquidarlo come uno di quei sermoni che la dottoressa Laura impartisce agitando il dito. Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte non c’entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di cio’ che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua; dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra”. Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia…adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco.


Wallace D. F. (2010),"Questa è l'acqua". Einaudi Editore.

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