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domenica 8 dicembre 2013

Dio è morto - Nietzsche



L’uomo folle


Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio?" gridò "ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!".
A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto" proseguì "non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni – eppure son loro che l'hanno compiuta!"– .
Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?".


Sole d'autunno e alberi (Egon Schiele, 1912)


Dei predicatori della morte.

Ci sono predicatori della morte: e la terra è piena di uomini cui non si può predicare il distacco dalla vita. Piena è la terra di superflui, corrotta è la vita dei troppi. Si potesse attrarli fuori da questa vita allettandoli con la “vita eterna”! “Gialli”: così si chiamano i predicatori della morte, o “neri”. Ma voglio mostrarveli anche in altri colori. Ci sono dei terribili, che portano dentro l’animale da preda e non hanno altra scelta che tra i piaceri e l’autodilaniarsi. Ma anche i loro piaceri sono un autodilaniarsi. Non sono neppure diventati uomini questi terribili: possano predicare il distacco dalla vita e loro stessi allontanarsi in quella direzione! Ci sono i tisici dell’anima: sono appena nati e già cominciano a morire e sono alla ricerca di dottrine della stanchezza e della rinuncia. Vorrebbero essere morti, e noi dovremmo approvare questa loro volontà! Guardiamoci dal destare questi morti e dal ferire queste bare viventi! Incontrano un malato o un vecchio o un cadavere e subito dicono: “La vita è confutata!”. Ma loro soli sono confutati e il loro occhio che scorge quel solo aspetto dell’esistenza. Avvolti in fitta melanconia e avidi di piccoli casi fortuiti che portino la morte: così essi attendono stringendo i denti. Oppure: prendono dolciumi e deridono la propria puerilità: sono aggrappati alla loro festuca di vita e ridono di essere ancora aggrappati a una festuca. La loro sapienza risuona: “Stolto è chi rimane in vita, ma tanto stolti siamo anche noi! E questo è appunto ciò che ha di più stolto la vita!” – “La vita è solo sofferenza” – così dicono altri e non mentono: ma allora fate in modo di cessare voi di esistere. Allora fate in modo che cessi la vita che è solo dolore!
E così suona la dottrina della vostra virtù: “Devi uccidere te stesso! Devi sottrarti a te stesso!” “Voluttà è peccato”, dicono gli uni che predicano la morte “tiriamoci in disparte e non generiamo figli!”
“Generare è fatica”, dicono gli altri “perché partorire ancora? Non si partoriscono che infelici!” E anche loro sono predicatori della morte. “La comprensione è necessaria” dicono i terzi. “Prendete quel che ho! Prendete quel che sono! Tanto meno mi legherà a sé per la vita!” Se fossero compassionevoli fino in fondo, rovinerebbero la vita al loro prossimo. Essere cattivi – sarebbe la loro vera bontà. Ma essi vogliono disfarsi della vita: che cosa gli importa se con le loro catene e i loro regali legano altri più saldamente alla vita? – E anche voi, cui la vita è selvaggio lavoro e inquietudine: non siete molto stanchi della vita? Non siete molto maturi per la predica della morte?
Voi tutti, cui è caro il selvaggio lavoro e ciò che è rapido, nuovo, estraneo, – voi che sopportate male voi stessi, la vostra diligenza è maledizione e volontà di dimenticare voi stessi.
Se voi credeste di più alla vita, vi dareste meno in preda all’attimo. Ma per attendere non avete in voi stessi sufficiente contenuto: nemmeno per essere pigri! Al di sopra di tutto risuona la voce di quelli che predicano la morte: e la terra è piena di quelli cui non si può non predicare la morte. O “la vita eterna”: per me è lo stesso, – purché essi ci vadano al più presto!
Così parlò Zarathustra.






Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno. Adelphi

domenica 8 settembre 2013

Giornata Mondiale della Prevenzione del Suicidio: come valutare il rischio?


Il 10 settembre di ogni anno si terrà la Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio. Un evento internazionale contro lo stigma sul dolore mentale.
Lo slogan dell'evento è: 'La prevenzione del suicidio è possibile e riguarda tutti, anche te'. 

Fattori di rischio

Disturbi mentali, in particolare disturbi dell’umore, schizofrenia, ansia grave e alcuni disturbi di personalità
Alcol ed altri disturbi da abuso di sostanze
Hopelessness
Tendenze impulsive e/o aggressive
Storia di trauma ed abusi
Alcune patologie mediche gravi
Precedenti tentativi di suicidio
Storia familiare di suicidio
Perdita di lavoro o perdita finanziaria
Perdite relazionali o sociali
Facile accesso ad armi letali
Eventi locali di suicidio che possono indurre fenomeni di contagio
Mancanza di sostegno sociale e senso di isolamento
Stigma associato con necessità di aiuto
Ostacoli nell’accedere alle cure mediche, soprattutto relative alla salute mentale e all’abuso di sostanze
Alcune credenze culturali e religiose
L’essere esposti ad atti di suicidio, anche attraverso i mass media

Valutazione del rischio

Identificazione dei fattori che contribuiscono alla crisi
Condurre una valutazione psichica completa, identificando i fattori di rischio e fattori di protezione, distinguendo quelli modificabili e quelli non modificabili
Domandare direttamente sul suicidio
Determinare il livello di rischio: basso, medio, alto
Determinare un luogo e un piano terapeutico
Indagare l’ideazione suicidaria presente e passata così come gli intenti, gesti o comportamenti suicidari
Indagare sui metodi usati
Determinare il livello di hopelessness, anedonia, sintomi ansiosi, motivi per vivere, abuso di sostanze, ideazione omicida

Segnali d’allarme

Esprimere sentimenti suicidi o riferirsi al tema del suicidio
Disfarsi di cose di valore, sistemare affari in sospeso da tempo, fare un testamento

Segni di depressione

Umore triste, alterazione delle abitudini del sonno e dell’appetito
Cambiamento di comportamento (scarso rendimento scolastico o lavorativo)
Comportamento ad alto rischio (high-risk behavior)
Aumento del consumo di alcol o droghe
Perdita di interesse nell’aspetto esteriore
Isolamento sociale
Sviluppare un piano specifico per il suicidio
 
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mercoledì 31 luglio 2013

Il cigno nero (Aronofsky, 2010): la perfezione nella capacità di lasciar andare

Il mio personaggio è ossessionato dalla perfezione, come molte ballerine vere. Io invece, con il mio lavoro, ambisco a trovare soprattutto la bellezza, la quale credo non sia qualcosa di perfetto, anzi spesso ha a che fare con il disordine, il caos e l'imperfezione. 
(Natalie Portman) 

Thomas: In questi quattro anni ti ho vista sempre cercare come un’ossessa la perfezione in ogni singolo passo, ma mai ti ho vista lasciarti andare alle emozioni. Mai. Tutta questa disciplina per cosa?
Nina: Solo essere perfetta.
Thomas: Che hai detto?
Nina: Voglio essere perfetta.
Thomas: La perfezione non è solo un problema di controllo. E’ necessario metterci il cuore. Sorprendi te stessa e sorprenderai chi ti guarda.

Thomas: L'unico vero ostacolo al tuo successo sei tu: liberati da te stessa. Perditi, Nina.

                                     
 
Darren Aronofsky porta in scena per la seconda volta, dopo The wrestler (2008), la storia di un'atleta. In questo caso si tratta di una ballerina, Nina Sayers (Natalie Portman). Il regista lascia immediatamente allo spettatore la possibilità di immergersi nel mondo interno della protagonista, attraverso la rappresentazione di un sogno in cui Nina, vestita di bianco, danza tormentatamente con un ballerino dall'aspetto inquietante e cupo.
Il ritratto della protagonista assume sin dalle prime battute caratteristiche polarizzate. Il bianco e il nero sono i colori maggiormente presenti nel film, a rappresentare il "cigno bianco" e la parte oscura di sé che Nina dovrà fronteggiare sempre più dolorosamente nell'evolvere del film.
Nina è una ballerina che dedica la maggior parte del suo tempo all'esercizio; non vengono presentati altri aspetti della sua realtà.
Il primo incontro con la parte oscura di sé, avviene mediante la conoscenza di Lily, l'antagonista nella corsa verso il ruolo principale, con cui si confronta, scoprendosi immediatamente ai suoi stessi occhi fragile e insicura.

Quindi in metropolitana, quando con maggiore chiarezza, le sembra di osservare la parte più sicura e aggressiva di sé stessa (il "cigno nero"), camminare decisa verso di lei.
La lettura psicologica del personaggio è subito appassionante. Viene presentata una personalità borderline, intesa sia come quadro diagnostico, per le relazioni instabili e intense con idealizzazione e svalutazione, alterazione dell'identità, impulsività, comportamento automutilante, instabilità affettiva ideazione paranoide e gravi sintomi dissociativi, che come organizzazione di personalità secondo Kernberg. 
Ma ciò che realmente caratterizza il personaggio è l'ossessività. La ricerca della perfezione.
Questa ricerca combacia con un estremo autocontrollo e disciplina, che isola la protagonista dal resto della realtà. L'incapacità di Nina di lasciarsi andare riguarda anche un'inibizione e timidezza profonda contro la quale cerca di scagliarsi con difficoltà, quando si accorge di non riuscire ad assolvere al compito fondamentale assegnato dal ruolo: rappresentare il cigno bianco e il cigno nero.
Ma la corsa verso la ricerca della parte oscura di sé porta Nina verso la distruzione. Il cigno nero che è in Nina è distruttivo, carico di invidia e di smania di successo, voglia di affermarsi e godere del trionfo. 
Un tentativo di affrontare questi aspetti più nascosti della sua personalità viene rappresentato nella scena del bar, in cui il personaggio viene arricchito di una nuova sfumatura, più sensuale: Nina prova a lasciarsi andare e assume delle sostanze.
In una serie di scene sfocate viene ritratta magistralmente dal regista la manifestazione che assume l'alterazione della coscienza della protagonista, data in questo caso dall'alcool e dalle droghe, ma che in generale, lungo tutto il corso del film assume le forme di uno stato al confine tra la realtà e la fantasia. Al punto che lo stesso spettatore stenta a differenziare i due aspetti.
Le difficoltà di Nina si aggravano, e con esse la conflittualità interna, che sfocia sempre più in una chiara manifestazione del Sé dissociato.
La protagonista infine, nel momento culminante della sua performance perde il contatto con la realtà, fino a giungere al limite della follia, che trova vincitore il cigno nero, la distruttività.
Nina capisce che sta combattendo in realtà contro nessun altro che la propria ossessione, ma è tardi.
Ciò che le rimane da fare quindi, è raggiungere l'apice dei suoi sforzi, e danzare per l'ultima volta, davanti a tutti, come aveva sempre sognato conquistando l'obiettivo della perfezione.
Il personaggio di Nina Sayers mostra bene gli aspetti della personalità ossessiva: la distruttività, l'incapacità di rinunciare alla perfezione, e l'anancasmo.
In generale il film esaspera i tratti nevrotici femminili per eccellenza: la competizione, l'insicurezza, la ricerca della perfezione e l'insoddisfazione data dall'inevitabile fallimento nel tentativo di conquistare una meta irraggiungibile. In tal senso il personaggio offre una buona opportunità di riflessione sulle manifestazioni della sofferenza psichica declinate al femminile.

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