giovedì 15 agosto 2013

Di Jonathan Shedler - Alcuni consigli su come scegliere un terapeuta



Il Freud Museum di Londra presenta Divan: pezzo di attenzione libera fluttuante, un progetto  dell'artista messicano Santiago Borja. La proposta di Borja mira a favorire nuove letture del lavoro di Freud in relazione alle culture non europee. http://www.freud.org.uk/exhibitions/72952/divan-free-floating-attention-piece/

Dopo aver insegnato a diverse generazioni di psicologi e psichiatri come fare psicoterapia, conosco una vasta gamma di terapie e teorie - per questo non le impongo ai miei pazienti.

Fate attenzione ai terapeuti troppo identificati con un "marchio" di terapia. Hanno già deciso come trattarvi ancor prima di avervi incontrato, figuriamoci ascoltarvi. Fate anche attenzione ai terapeuti che proclamano competenze in diverse forme di psicoterapia. Si può finire con un principiante, o qualcuno che si preoccupa di più di riempire la sua agenda, che della sua integrità.

Attenzione ai terapeuti che enfatizzano una specializzazione in determinate diagnosi o disturbi.
Una diagnosi ci dice poco su come aiutare. Le cause del dolore emotivo sono generalmente intrecciate nel tessuto della nostra vita, come viviamo, come vediamo noi stessi e gli altri, come ci rapportiamo con la gente o non riusciamo a rapportarci, ciò che desideriamo e ciò di cui abbiamo paura, come far fronte alle avversità e al successo, ciò che sappiamo di noi stessi e ciò che non vogliamo sapere.
Una importante competenza del terapeuta consiste nel capire come tale tessuto è intrecciato e come può potenzialmente essere ritessuto, e non nella diagnosi o nel disturbo.

Le prime sedute dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo di una comprensione condivisa rispetto a ciò che costituisce realmente il problema, una comprensione che abbia senso per entrambi.
"Quella che è davvero la questione" non è la vostra depressione, ansia, o disturbo alimentare. Ma quello che sta succedendo psicologicamente, sotto la superficie delle cose, che causa questi problemi. Una visione condivisa di quello che è il problema fornisce un punto di riferimento per la terapia.
Una psicoterapia efficace ha un obiettivo.

Si può sviluppare una visione condivisa nel corso della prima seduta, oppure possono essere necessarie diverse sedute. Tale visione evolverà e cambierà con il progredire della terapia. Essa potrà essere rielaborata più volte: è dinamica, e non statica.
Ci dovrebbe essere un obiettivo tuttavia, fin dall'inizio, una base su cui costruire.

Molti terapeuti parlano di "alleanza terapeutica", ma pochi sembrano capire che cosa sia realmente. Alleanza terapeutica non significa soltanto che paziente e terapeuta vanno d'accordo, o che si trovano bene insieme. Non è un'alleanza basata su una cosa qualunque.
Un'alleanza terapeutica si basa su un comune, mutuo accordo sul compito da svolgere - un'alleanza su tutto il lavoro che c'è da fare.

Una buona alleanza terapeutica riguarda tre elementi:
1) il senso di legame,
2) un reciproco accordo circa l'obiettivo o scopo della psicoterapia,
3) un reciproco accordo sui metodi che paziente e terapeuta useranno a servizio di tale obiettivo.
Tutti e tre gli elementi sono necessari. Spesso riscontro il primo elemento senza gli altri due.

Una comprensione condivisa rispetto al problema deve essere realmente condivisa.
Non può essere soltanto la comprensione del terapeuta, o soltanto la comprensione del paziente.
E' qualcosa che paziente e terapeuta devono creare insieme, e che trascende ciò che ognuno di loro  saprebbe da solo.
Se si potesse raggiungere tale comprensione da soli, probabilmente non si avrebbe bisogno della terapia.
Il compito del terapeuta è quello di aiutare a risolvere il problema in un modo che non è fattibile stando da soli. Quando si arriverà a una comprensione condivisa, si avrà la consapevolezza di aver catturato qualcosa di importante.

Un'immagine di Jonathan Shedler, PhD, tratta dalla sua pagina Facebook, in cui ha postato questo articolo.

I miei studenti mi chiedono sempre cosa fare quando i pazienti non hanno idea di quale sia il problema.
Il paziente sa che c'è qualcosa che non va, ma non sa dire che cosa.
Sente un vuoto interiore, si sente perduto o bloccato, ma non ha idea del perché.
E' in questo caso che l'aiuto del terapeuta è essenziale, perché il terapeuta è in grado di offrire una prospettiva che il paziente non potrebbe avere da solo. Ad esempio il terapeuta può offrire il proprio punto di vista, cioè che il problema potrebbe essere che il paziente è estraneo rispetto a se stesso.
In questi casi si può dire al paziente: "Sente che qualcosa va molto male, ma non trova le parole per dirlo. Forse potrebbe aiutarla riuscire a trovare delle parole per descrivere ciò che va male. Se riusciamo insieme a trovare delle parole, saremo in grado di vedere le cose in modo più chiaro. Quando vediamo le cose più chiaramente, possiamo essere in grado di trovare una via d'uscita".

Poi si può chiedere, ed è fondamentale affinchè la comprensione sia realmente condivisa: "Pensa che sarebbe utile se riuscissimo a trovare delle parole per ciò che non va?".
Se il paziente entra in risonanza con questo - se sente anche lui che la ricerca di parole lo aiuterà - allora abbiamo un focus iniziale per il nostro lavoro.
Il compito condiviso è quello di trovare le parole. Il paziente non riesce a trovare le parole giuste da solo, e anche il terapeuta non può trovare le parole giuste senza l'aiuto del paziente; ma insieme sarà possibile trovarle.
Il focus del trattamento evolverà nel tempo, ma ora si ha un punto di partenza.

Se il paziente non è in sintonia con l'idea che la ricerca di parole potrà aiutarlo, bisogna tornare indietro e continuare a esplorare finchè non si trova un obiettivo sul quale entrambi siano d'accordo, e che sia per entrambi fruttuoso, da cui poter ripartire.

Non sempre un "sì" è la vera risposta.
Se il paziente è d'accordo con una particolare visione del trattamento proposta, ma si impegna nella terapia in un modo che suggerisce accondiscendenza, non c'è una visione condivisa. E' solo una  comprensione parziale del problema, e non condivisa.
Se il paziente è d'accordo soltanto perché presume che il terapeuta ne saprà più di lui perché è l'"esperto", non c'è una comprensione condivisa.
Anche in questo caso, bisogna tornare indietro e continuare ad esplorare.
(Ma ora abbiamo anche una nuova ipotesi su ciò che potrebbe costituire il problema. Se il paziente ha l'abitudine di delegare ad altri ciò che è giusto per lui, invece di padroneggiare i propri pensieri e sentimenti, questo potrebbe essere la causa di ciò che non va e del perché non trova delle parole per dirlo. Si solleverà quindi la questione al fine di porla in considerazione).

Quando scrivo di psicoterapia, divento più consapevole della terminologia. Per questo motivo avverto la necessità di spendere qualche parola a proposito dell'utilizzo del termine 'paziente' rispetto al termine 'cliente'.
Molti terapeuti, e diversi psichiatri, definiscono i loro assistiti come "clienti".
Personalmente ho dubbi su entrambe le parole.
Le persone che vengono da me per un trattamento hanno bisogno di aiuto, a volte con urgenza. Alcuni sentono di avermi affidato letteralmente la loro vita.
Il lavoro che facciamo ha profonde conseguenze, spesso permanenti (se non non fosse così, non sarebbe psicoterapia).
Ad ogni modo dal mio punto di vista, la metafora medica ('paziente') appare più congrua con quanto  è in gioco rispetto alla metafora commerciale ('cliente').

E allora, come si fa a scegliere un terapeuta?
Evitate gli ideologi e gli esperti-di-tutto.
Non cercate in lungo e in largo qualcuno specializzato nel trattamento di persone che hanno esattamente il vostro identico problema, perché non esistono altre persone che hanno esattamente il vostro problema.
Quando incontrate il terapeuta scelto, osservate se sembra più interessato a voi o a diagnosticarvi un disturbo.
Osservate se lo psicoterapeuta vi invita a riflettere insieme su quello che è realmente il problema. Notate se insieme siete in grado di sviluppare una comprensione condivisa rispetto a ciò che costituisce il problema, una comprensione che suona vera per voi.
Questa parte di lavoro potrebbe richiedere più sedute, ma il percorso da intraprendere dovrebbe procedere fin dall'inizio in questa direzione.
Se tutti questi ingredienti sono presenti, probabilmente ne avete trovato uno buono!

Jonathan Shedler, Ph.D ( http://jonathanshedler.com/ ) è Professore Associato presso la University of Colorado School of Medicine. Insegna e conduce laboratori per il pubblico professionale nazionale e internazionale e fornisce consulenza clinica e supervisione ( http://jonathanshedler.com/consultation/ ) in teleconferenza a professionisti della salute mentale in tutto il mondo.


fonte: https://www.facebook.com/jonathan.shedler

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