venerdì 13 novembre 2015

Wilfred Bion: la funzione alfa

Wilfred Bion
Wilfred Bion psicoanalista inglese, nato in India, si trasferì in Inghilterra, dove si laureò in storia e in medicina. Fu paziente e allievo di Melanie Klein e uno dei maggiori studiosi della sua teoria (Andreassi, 2010).
Nel 1933 approfondì, al Tavistock Institute, i meccanismi di insorgenza delle psicosi. L’interesse per la schizofrenia lo indusse a studiare la nascita e lo sviluppo dei processi di pensiero.
Secondo Bion (1962) il pensare è una funzione della personalità. La funzione, nell’accezione bioniana, riguarda tutto ciò che concerne la mente, dunque non solo cognizione, ma, in senso cartesiano, tutti gli strumenti dell’elaborazione psicoanalitica, dunque anche sensazioni ed affetti (Bion, 1962). 
Bion (1963) spiega che gli elementi α (emotional experience) riguardano i pensieri onirici e i miti, le preconcezioni, le concezioni, i concetti, il sistema scientifico deduttivo, il calcolo algebrico. Gli elementi β (sense impressions) sono invece le afferenze sensoriali ed emotive elementari (ovvero non elaborate). Entrambi gli elementi compongono il pensiero. Mediante la funzione α è possibile metabolizzare sensazioni ed emozioni elementari, secondo Bion, come avviene durante la digestione.
In questo modo l’autore prefigura uno scenario di “preconcezioni” e “concezioni”. Le prime sono forme di “pensiero consistente in un’aspettativa, una sorta di schema che prefigura l’oggetto soddisfacitorio” (Lis, Stella, Zavattini, 1999, p. 280); mentre le seconde riguardano gli oggetti che, essendo pensati, vengono riempiti di impressioni sensoriali tali da saturare le preconcezioni.
Bion ritiene che lo sviluppo del pensiero è riconducibile al momento in cui il bambino sperimenta l’assenza dell’oggetto. Per Bion, a differenza di Freud, il bambino che è in possesso di una certa tolleranza alla frustrazione riesce a rappresentarsi l’oggetto come assente e gratificante.
Se invece il bambino non è in grado di tollerare la frustrazione, rappresenterà l’oggetto come irreale, cattivo, no-thing (Bion, 1962). L’oggetto così configurato deriva dall’accumulo di elementi beta, che devono essere eliminati. Dice Bion: “I pensieri, ovverosia quei primitivi elementi che sono i protopensieri, sono oggetti cattivi, di cui si ha bisogno e di cui, dato che sono cattivi, bisogna liberarsi. E’ possibile liberarsi di essi o evitandoli o modificandoli, e se la personalità è dominata dall’impulso ad evadere la frustrazione tale problema è risolto per mezzo dell’evacuazione; invece se si tratta di una personalità dominata dall’impulso a modificare la frustrazione, il problema viene risolto col pensare gli oggetti” (Bion, 1962, p. 146).
Bion dunque, in maniera discordante rispetto a ciò che affermava la Klein, non ritiene che l’assenza di un oggetto gratificante venga immediatamente trasformata in una sensazione, da parte del bambino, dell’oggetto vissuto come cattivo e persecutorio.
L’autore approfondisce la sua teoria sulla funzione alfa, affermando che la madre partecipa allo sviluppo della capacità del bambino di dare una risposta emotiva corretta. Ella funge da contenitore: elaborando gli elementi beta del bambino, proietta in lui le strutture mentali adatte ad elaborare la sensazione di frustrazione, paura e angoscia. Il bambino in questo modo introietta la funzione di contenitore della madre (la funzione alfa); dunque fornisce l’introiezione dell’oggetto buono (Bion, 1962).
La funzione della madre in grado di metabolizzare gli elementi beta è chiamata da Bion rêverie materna: essa consente al bambino di digerire il vissuto non pensato, ovvero tutto ciò che concerne le sensazioni presimboliche e viscerali.
Bion fa anche riferimento al mito; che partecipa al processo di sviluppo del pensiero del bambino: il mito concerne una conoscenza primordiale “che può essere compreso indipendentemente dal suo rapporto con gli altri elementi” (Bion, 1962, p. 61). In tal senso l’Edipo, secondo Bion, è “l’apparato mediante il quale l’Io prende contatto con la realtà” (ibidem, p. 115).
Il genere di interazione precedentemente descritta definisce il modello di Bion contenitore-contenuto; questa, insieme all’oscillazione descritta dalla Klein (1932) tra PS↔D – posizione schizoparanoide e depressiva – determina il modello di sviluppo psicologico bioniano.

domenica 8 novembre 2015

Sándor Ferenczi: il terzo viaggiatore



Il viaggio del 1909 verso verso la Clark University di Worcester vedeva insieme a Freud e Jung, presi dalla loro vicariante interpretazione dei sogni, anche un terzo viaggiatore: Sándor Ferenczi. 

Ferenczi era un medico ungherese. Intraprese l’attività di psichiatra e lavorò in particolare con gli omosessuali (Bokanowski, 1997). Come psichiatra si era interessato all’ipnosi e ai meccanismi eziologici della nevrosi. Aveva letto le opere di Freud e Breuer sull’isteria, e anche L’Interpretazione dei sogni, ma non ritenne le idee di Freud eccezionali, fin quando non si avvicinò a Jung, grazie al suo interesse per i meccanismi di associazione sincronizzati. Jung invitò Ferenczi ad una rilettura dell’opera di Freud sul sogno, principalmente per l’interesse comune relativo ai fenomeni della rimozione, di cui Freud parlava nell’ultimo capitolo del suo lavoro.
Fu così che Ferenczi rivalutò l’opera e nel 1908 chiese un incontro a Freud (Bokanowski, 1997). Freud dimostrò interesse per il lavoro di Ferenczi e lo invitò al Primo Congresso di Psicoanalisi di Salisburgo. Alla conferenza parteciparono tra gli altri, Jung con il suo lavoro sulla dementia praecox, e Freud con la presentazione del caso clinico dell’uomo dei topi. Da quel momento in poi ebbe inizio una lunga collaborazione. 

Secondo Bokanowski (1997), Ferenczi partecipò durante il viaggio verso Worcester all’analisi dei sogni di Freud e Jung e alla fine del viaggio l’amicizia tra Freud e Ferenczi ne risultò rinsaldata – al contrario di quella tra Freud e Jung.
Tuttavia in un successivo viaggio in Italia sembrerebbe che Ferenczi si sia mostrato eccessivamente bisognoso e dipendente dall’approvazione di Freud, che associò la situazione alla precoce morte del padre di Ferenczi. Un altro episodio spiacevole tra i due riguarda le vicende sentimentali di Ferenczi, che s’invaghì prima di una donna sposata, poi della figlia di questa donna, che prese anche in analisi mettendo sé stesso e Freud in una posizione scomoda. 
 
Ferenczi, anticipò temi fondamentali quali l’introiezione, la scissione, e la frammentazione che verranno successivamente ripresi ed ampliati da Melanie Klein, di cui fu analista. Ferenczi analizzò anche Jones, sebbene questi, nella sua opera sulla vita di Freud, lo abbia accusato di instabilità emotiva (Jones, 1953). L’autore anticipò anche il concetto di oggetto transizionale, approfondito in seguito da Winnicott, e in generale i temi della relazione

Il sogno, per Ferenczi può essere considerato un ponte tra intrapsichico e intersoggettivo (Bolognini, 2000). Rispetto a questo tema, la grande innovazione dell’approccio di Ferenczi è data infatti dall’attenzione a temi meno “metapsicologici” o “topografici”, per focalizzarsi sul vissuto del paziente.
Ferenczi introduce anche dei cambiamenti fondamentali nella tecnica psicoanalitica, che tengono primariamente in considerazione l’analista in quanto persona che partecipa allo scambio con il paziente, e non più unicamente come schermo speculare attraverso cui si analizza soltanto il materiale proveniente dal paziente (Ferenczi, Rank, 1924). Queste innovazioni costeranno a Ferenczi l’esclusione dalla Società Psicoanalitica Viennese. 

Il sogno come elemento psichico dotato di senso psicodinamico, viene preso in considerazione da Ferenczi intorno al 1909. In quell’anno l’autore pubblica L’interpretazione scientifica dei sogni, un saggio in cui prende in esame, a partire dall’idea freudiana di sogno come elemento dotato di significato e appagamento di un desiderio represso, una serie di sogni di alcuni suoi pazienti, di cui analizza il significato. In quegli stessi anni anche Jung scrisse un lavoro analogo (L’analisi dei sogni), probabilmente questi scritti avevano lo scopo di divulgare la teoria freudiana nei paesi d’origine dei due autori

Nel lavoro del 1909 Ferenczi riporta gli elementi di base della teoria freudiana del sogno, quindi indica alcuni simboli: la serratura come simbolo della masturbazione femminile, l’armadio come simbolo dei genitali femminili, cadere dall’alto come declino etico o materiale, il corpo umano come una casa, sparare come atto del coito.
A tale proposito Ferenczi ripete la raccomandazione di Freud sull’uso delle libere associazioni e del simbolismo nell’interpretazione: non è possibile rifarsi ad un “libretto dei sogni” in cui trovare subito la spiegazione per ogni piccolo frammento, ma bisogna indagare il significato dei simboli mediante la collaborazione nelle associazioni con il paziente. 
Ferenczi a differenza di Freud – che utilizzò i propri sogni nell’esposizione della Traumdeutung – parte dall’analisi dei sogni dei propri pazienti, e non indugia nell’autoanalisi – perlomeno non pubblicamente – nonostante la ritenga un esercizio indispensabile per chiunque voglia studiare i processi inconsci. 
 
Dall’analisi dei sogni dei pazienti nevrotici Ferenczi ricava una conoscenza circa “il significato patologico e terapeutico dei sogni e della loro interpretazione” (Ferenczi, 1909, p. 58).
Secondo Ferenczi l’analisi di un soggetto nevrotico può essere accelerata da una felice analisi dei sogni. Mediante il sogno infatti possono essere scoperti “complessi” che nelle libere associazioni della veglia potrebbero restare inconsci a causa del regime più alto della censura durante il giorno.
Il sogno può essere in questo modo osservato come una via breve alla scoperta del sintomo nevrotico, che se portato alla consapevolezza può accorciare il percorso verso la guarigione.
Ferenczi propone anche la possibilità, accennata da Freud, di una significatività diagnostica dei sogni che vede realizzata in una futura “psicologia patologica del sogno che tratti sistematicamente le particolarità della formazione onirica nei casi di isteria, nevrosi ossessiva, paranoia, dementia praecox, nevrastenia, nevrosi d’angoscia, alcolismo, epilessia, paralisi, deficienza mentale ecc.” (Ferenczi, 1909, p. 58). 

L’autore dà anche qualche indicazione circa il rapporto tra paziente e analista con il sogno: l’analista non è soltanto un “catalizzatore”, ma un “motivo scatenante” del sogno (Ferenczi, 1909, p. 103). Il sogno infatti nasce dall’interazione tra paziente e analista e torna dal luogo in cui ha avuto origine. In questo senso Ferenczi sembrerebbe accennare al sogno di transfert.
Il contenuto onirico per Ferenczi ha valore non tanto per il suo contenuto, quanto per la qualità umorale e atmosferica che determina. In questo caso Ferenczi intende dire che il sogno dà informazioni fondamentali sulla modalità di funzionamento psicologico del soggetto all’interno di una situazione relazionale che ha determinato il sogno stesso. Ciò è molto evidente in Ferenczi che dà al sogno una valenza traumatolitica.
Il concetto di “traumatolico” (Ferenczi, annotazione del 23 marzo 1931) esprime una ulteriore differenziazione teorica di Ferenczi da Freud. Il significato del sogno, per Freud, riguarda la soddisfazione di un desiderio rimosso. Ferenczi invece rileva che nel sogno è possibile osservare la presenza di elementi sintomatici relativi a traumi vissuti nel passato. Il sogno viene in questo senso concepito da Ferenczi come traumatolitico, ovvero come elemento che costituisce un tentativo di soluzione dell’evento traumatico. 
Nel lavoro onirico l’obiettivo perseguito dall’analista è quindi quello di ripetere mediante l’analisi del sogno la passività che il soggetto ha sperimentato durante l’evento traumatico. Il fine terapeutico dell’analisi del sogno è quello di rendere accessibili le impressioni sensoriali. Ma l’interpretazione del sogno è solo un aspetto formale del lavoro analitico, poiché ciò che è considerato indispensabile è che il paziente riesca a rivivere affettivamente le emozioni, per poterle elaborare.
Ferenczi ritiene infatti che il focalizzarsi sull’eccessiva consapevolezza sia una resistenza all’analisi. 

Ferenczi postula l’esistenza di due possibilità per il sogno: nella prima si vive un’esperienza puramente emotiva, ovvero priva di contenuti ideativi (ciò è definito sogno primario), nella seconda (sogno secondario, sogno di deformazione) il trauma può giungere ad una soluzione. Il sogno secondario viene infatti deformato in senso ottimistico per poter accedere alla coscienza.
Borgogno (2000) spiega la funzione traumatolitica del sogno in questi termini
“La Traumdeutung di Freud è subito per Ferenczi una sorta di Traume-deutung, dove ciò che è traumatico è la quota di dolore presente in un’esperienza psichica che il paziente può aver registrato senza avere tuttavia gli strumenti adatti per riuscire a metabolizzarla. La funzione ‘traumatolitica’ dei sogni è di riproporre un’esperienza eccessivamente dolorosa nel tentativo di darne creativamente una soluzione migliore: una ripetizione che non è puramente istintuale, ma dell’Io, per questo sforzo di modificare la sofferenza in modo più economico e più vantaggioso. Tale punto di vista sarà prevalente nei suoi ultimi lavori laddove Ferenczi sottolineerà che la censura, nell’imporre una distorsione, “valuta sia l’entità del danno che la misura in cui l’individuo può sopportarlo, e ammette alla percezione solo quel tanto di forma e contenuto del sogno che risulta tollerabile, presentandolo, ove necessario, come adempimento di un desiderio (1931, in 1920-1932, p. 187)” (pp. 85-86). Il sogno è per Ferenczi soprattutto comunicazione della realtà psichica del paziente (Borgogno, 1997). Il sogno infatti risulterà incomprensibile se slegato da tale realtà. 

Le potenzialità del sogno sono quindi quelle di offrire al paziente la possibilità di narrare e integrare la propria storia nell’ambito dell’incontro con l’analista: feeling is believing - sentire è credere (Ferenczi, 1913).
I sogni per Ferenczi non riguardano soltanto un’espressione simbolica di tendenze inconsapevoli, ma il tentativo di working-throught di eventi attuali, i cui resti diurni, chiamati da Ferenczi (1934) “resti di vita” riguardano nello specifico l’analista in quanto egli è in grado di rianimarli. Spesso, infatti, le persone che giungono in analisi hanno bisogno di ritrovare il contatto con gli affetti, e la loro vita relazionale è impoverita a causa di una mancanza di contatto con le emozioni che hanno isolato (Borgogno, 1998).
In questo senso Borgogno (1997), scorge in Ferenczi il germe di una psicoanalisi volta all’intersoggettività. Ferenczi esprime la sua opinione sull’importanza della relazione terapeutica affermando: “si può guarire con tutte le tecniche possibili: con interpretazioni tanto paterne quanto materne, con spiegazioni teoriche, mettendo in rilievo la situazione analitica, e finanche con la vecchia, buona suggestione e l’ipnosi” (Ferenczi, 1926, p. 383); per il suo approccio alla relazione e la sua considerazione del mondo interno, verrà considerato un capostipite degli indipendenti britannici. 

Esempi di analisi di sogni:

Il sogno del “poppante sapiente” (1923)
Spesso i pazienti raccontano sogni in cui dei neonati o bambini piccolissimi o addirittura in fasce, sono in grado di scrivere con perfetto agio, di regalare a chi è a loro vicino parole profonde, di sostenere conversazioni colte, di tenere discorsi e così via. Il contenuto di questi sogni, sembra nascondere qualcosa di caratteristico. Una prima interpretazione superficiale del sogno fa venire fuori un concetto ironico della psicoanalisi, che, come si sa bene, dà più valore ed effetto psichico al vissuto della prima infanzia di quanto non si faccia abitualmente. Questa esagerazione ironica dell’intelligenza del bambino, non farebbe altro che esprimere chiaramente il dubbio sulle comunicazioni psicoanalitiche a questo proposito. Ma poiché fenomeni simili sono molto frequenti nei racconti, nei miti e nella tradizione religiosa, e sono spesso rappresentati concretamente nella pittura (il dibattito della Vergine Maria con i dottori
della Legge), credo che l’ironia qui agisca unicamente da intermediario per evocare ricordi più profondi e più gravi dell’infanzia del soggetto. Il desiderio di divenire sapiente e di superare i “grandi” in saggezza e conoscenza non sarebbe altro che un capovolgimento della situazione in cui si trova il bambino. Una parte dei sogni che rappresentano questo contenuto manifesto e che io ho potuto studiare sono illustrati dalla celebre frase del libertino: “Se soltanto avessi saputo fare un uso migliore dell’allattamento!”. Infine non dimentichiamo che un buon numero di conoscenze sono effettivamente ancora familiari al bambino, conoscenze che in seguito saranno sepolte dalla forza della rimozione. (Ferenczi, 1923 in Bokanowski, 1997, pp. 102-103). 

Scambio di emozioni nel sogno
Un signore di una certa età fu svegliato durante la notte da sua moglie, preoccupata di sentirlo ridere così smodatamente durante il sonno. Il marito le raccontò di aver fatto un sogno: “Ero a letto; un uomo che conoscevo è entrato in camera; ho cercato di accendere la luce, ma non riuscivo ad arrivarci; provavo e riprovavo, ma invano. Anche mia moglie si era alzata dal letto per venirmi in aiuto, ma neppure lei era riuscita a concludere qualcosa; così vergognandosi di trovarsi in camicia da notte alla presenza di questo signore, aveva finito per rinunciarci ed era tornata a letto. Tutto ciò era così comico che sono stato preso da riso irrefrenabile, mentre mia moglie continuava a ripetermi: “Ma perchè ridi così, cosa c’è da ridere?”. Io non riuscivo a smettere fino a quando lei non mi aveva svegliato”. L’indomani il sognatore era estremamente abbattuto e soffriva di un terribile mal di testa. “Sono state quelle risate incredibili che mi hanno sfinito”, diceva. Dal punto di vista analitico questo sogno sembra molto meno divertente. Il “signore di sua conoscenza” che era entrato, è nel pensiero latente del sogno “l’immagine della morte, evocata la sera precedente sotto il nome di ‘grande sconosciuto’”. Il vecchio signore che soffriva di arteriosclerosi aveva avuto la sera precedente occasione di pensare alla sua morte. Le risate irrefrenabili sostituiscono le lacrime e i singhiozzi all’idea che egli debba morire. La lampada che non riesce ad accendere è la lampada della vita. Questo triste pensiero è in rapporto a un recente tentativo di coito non coronato da successo in cui anche l’aiuto di sua moglie in camicia da notte non era stato di alcun aiuto; allora ha preso coscienza del fatto che ormai era sulla china discendente. Il sogno è riuscito a trasformare quel triste pensiero dell’impotenza e della morte in una scena comica e i singhiozzi in riso. Ugualmente si incontrano scambi di emozioni e scambi di gesti di espressione nelle nevrosi, oltreché nel corso dell’analisi sotto forma di “sintomi transitori”.
(Ferenczi, 1916, pp. 95-96). 

Come è possibile osservare dall’analisi di questi sogni, il modo di procedere di Ferenczi all’interpretazione è differente rispetto a quello freudiano. Esso si avvicina di più invece alle modalità suggerite da Jung e Rank. Ferenczi non suddivide minuziosamente il sogno nelle sue piccole componenti, ma lo considera nella sua interezza. Le associazioni e le informazioni che vengono fornite dal paziente, inoltre sono usate oltre che per essere esplorate, per confermare un significato attribuito, dunque l’attendibilità di un’interpretazione.

Il sogno è definito da Ferenczi memoria stratificata in movimento dinamico. Esso riguarda il presente e la ricerca di un Io vivibile, mediante l’esperienza dell’interazione psicoanalitica (Borgogno, 2000).
Esso è una comunicazione essenziale del paziente e può racchiudere in sé elementi fondamentali rispetto a ciò che viene “non detto” (verbalizzato). Mediante il sogno c’è la possibilità che questo materiale emerga in forma “sensoriale”.
Tutto ciò riveste un grosso valore nel momento dell’incontro tra paziente e analista, poiché, per Ferenczi, è esattamente questo il genere di materiale che costituisce un’analisi “riuscita”. 

Qui Ferenczi fa riferimento ad un approccio basato su un'evoluzione del concetto che Freud chiamava abreazione. Propone cioè un approccio leggermente diverso e quanto mai attuale del transfert: la possibilità di sperimentare emotivamente i contenuti traumatici in un contesto di ripetizione protetto. Secondo Ferenczi, infatti i sogni vengono raccontati alla persona a cui si riferisce il contenuto latente. Nello specifico, la persona dell’analista. L’analista è la sorgente esogena del sogno: il paziente registra tutti i movimenti inconsci dell’analista e li ripropone nel sogno. Un esempio evidente di questo processo è il caso di una paziente di Otto Rank, citata da Ferenczi (1926, p. 381): la paziente di Rank fotografa prontamente il narcisismo del suo analista nel volerle proporre, circa l’interpretazione di un sogno, la propria teoria sulla nascita. 
L’analista deve invece, nella relazione con il paziente, avere tatto nel proporre le sue interpretazioni, in modo che queste possano essere “digeribili” (Borgogno, 2000). Inoltre è necessario, secondo Ferenczi, mantenere un ascolto attento e profondo sul contenuto del sogno, volto ad una comprensione dei contenuti effettivamente affidati dal paziente all’analista; più che concentrarsi sul compito di trovare una conferma narcisistica della propria teoria o modello. E’ immediata, in questo senso, la sensazione che si riceve, dalla lettura delle opere di Ferenzi, di vivacità ed attualità nel modo di lavorare con i pazienti, nello specifico in relazione ai sogni.
L’importanza dell’evoluzione teorica del pensiero di Ferenczi ci viene confermata anche dall’unico passo indietro operato da Freud (1920) nella sua definizione di sogno: ovvero quello relativo alla possibilità che il sogno possa riguardare, oltre che l’appagamento di un desiderio rimosso, anche i contenuti traumatici

E’ possibile che l’attenzione sull’aspetto del trauma abbia fatto seguito agli avvenimenti storici che anche la psicoanalisi come disciplina, nella sua evoluzione, ha vissuto direttamente sulla propria pelle: ci riferiamo alle brutture della prima guerra mondiale; le discriminazioni razziali e i molti soldati e civili morti e feriti in guerra.
Questi eventi hanno sicuramente messo in evidenza l’urgenza di contenuti conflittuali che avevano a che fare più con la realtà, così come indica acutamente Ferenczi, rispetto alla considerazione di contenuti più strettamente intrapsichici, relativi all’infanzia e allo sviluppo di un funzionamento psicologico peculiare in adattamento – in maniera più circoscritta – alle circostanze familiari

Ferenczi in questo senso parla di frammentazione e nello specifico di scissione
La scissione non è prerogativa del sognatore, perchè è l’ambiente ad aver contribuito a determinarla e a continuare a favorirla impedendo agli eventi traumatici di essere rivissuti (Borgogno, 2000). Il sogno che per Ferenczi è memoria sepolta o revenants relativa anche alla propria storia familiare, è invece l’accadimento psichico principale in cui si determina la dissociazione: Ferenczi ne parla come di morte psichica e affettiva, in cui il contatto umano con l’esperienza traumatica è allontanato per mezzo di difese autistiche estreme (Borgogno, 2000). Come risposta a queste formazioni psichiche di blocco, Ferenczi propone un maggior calore e una maggiore partecipazione da parte dell’analista, così come una maggiore fiducia nella “reversibilità dei processi psichici” (1932, p. 279). 
Nella nota del 10 agosto 1930 Ferenczi indica come la dissociazione si manifesta nel paziente: dalla sensazione di aver reciso o perduto la testa, alla vertigine, dall'essere travolti da un ciclone, alla proiezione su oggetti non umani. La scissione è descritta invece come una lacerazione subita. 

Secondo Borgogno (2000) l’analisi deve offrire un contenitore al sognatore in modo da poterlo scongelare, farlo rientrare nella sua pelle, superare la passività e l’anestesia. L’analista deve accogliere la regressione del paziente e assumersi la responsabilità del suo dolore psichico, aumentando l’ascolto e il coinvolgimento e indossando i suoi stessi panni prima di lui (Borgogno, 2000). Egli deve credere alle percezioni del sogno del paziente ed esplorarle soprattutto emotivamente. In questo modo, si consentirà al paziente di risperimentare il trauma, e trovare quindi una connotazione più consona a tale vissuto nel bagaglio della propria esperienza di vita. 

Per Ferenczi in tal senso, l’analista si pone “alla pari” del paziente e non in posizione gerarchica (superiore). Il suo ruolo consiste nell’avvicinare il paziente con sensibilità e rispetto, e discernere tra le identificazioni portate dal paziente. 
Sugli elementi della personalità del paziente in relazione “a chi sta parlando” dentro di lui, si può ravvisare anche un’anticipazione dei temi cari ai teorici delle relazioni oggettuali: l’introiezione e proiezione nella costruzione dell’identità (Borgogno, 2000). 

I temi introdotti da Ferenczi anticipano i paradigmi teorici di molti autori a venire. I limiti del suo approccio appaiono sostanzialmente legati alle sue stesse questioni irrisolte: nella mutua analisi forse Ferenczi cercava un appoggio per sé stesso e una risoluzione ai conflitti di dipendenza che rimanevano aperti in lui. 
Tale richiesta non venne esaudita da Freud in seguito alla richiesta di aiuto personale di Ferenczi

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