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giovedì 16 giugno 2016

'L'abisso della follia' di George Atwood - dal giudizio sulla malattia mentale alla comprensione dell'unicità umana



Le forme più gravi di sofferenza psichica non sono deviazioni da una norma prestabilita, ma il risultato di contesti relazionali traumatici, privi di responsività affettiva, comprensione ed empatia. Forte di cinquant’anni di esperienza clinica con i pazienti comunemente considerati “gravi”, Atwood tenta d’illustrare tale prospettiva – il contestualismo fenomenologico della psicoanalisi post-cartesiana – attraverso i suoi appassionati racconti di successi e fallimenti nella psicoterapia di individui comunemente sottoposti a diagnosi e trattamento psichiatrico. La barriera che divide la salute dalla cosiddetta malattia mentale è spazzata via da Atwood proprio attraverso la comprensione dei mondi personali nascosti da queste diagnosi, che si rivelano risposte umane a contesti soggettivi che spingono verso il ciglio dell’abisso. La cosiddetta “malattia mentale” è quindi uno sforzo per la risalita, ed è proprio attraverso la comprensione del senso soggettivo di fenomeni umani che si celano dietro termini come depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, sogni e deliri che la cura è possibile. L’umanità è un ingrediente fondamentale per la terapia. Ciò che rende umana la possibilità di comprensione è proprio la capacità del clinico di riconoscere quanto la follia sia una possibilità che riguarda tutti noi.

George Atwood, PhD, è professore emerito di Psicologia Clinica presso la Rutgers University, membro fondatore e analista supervisore dell’Institute for the Psychoanalytic Study of Subjectivity di New York, membro onorario APA (American Psychoanalytic Association), autore di numerosi articoli e libri, tra cui Volti nelle nuvole, I contesti dell’essere, Psicopatologia intersoggettiva, Intersoggettività e lavoro clinico, La prospettiva intersoggettiva, che prendono in esame gli approcci terapeutici agli stati psicotici. I suoi principali interessi comprendono la teoria della personalità, l’analisi delle fonti psicologiche dei sistemi filosofici e l’esplorazione della complessa relazione tra follia e genio creativo.


Atwood, G., (2012). L'abisso della follia. Giovanni Fioriti Editore

martedì 11 giugno 2013

La ricerca del Sé. Introspezione, empatia e psicoanalisi:rapporto tra modalità di osservazione e teoria (Kohut, H., 1959)

(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)


Alcuni concetti chiave:
Psicologia del Sé: sottolinea che sono le relazioni esterne, le relazioni con gli altri avente origine nelle cure genitoriali a fare in modo che l’individuo acquisisca e mantenga una adeguata autostima e coesione del Sé, garantendo la sua sopravvivenza emotiva nel corso della intera vita. L’investimento libidico del Sé è il fondamento della salute psichica; è al centro dell’apparato psichico primitivo e la sua coesione risulta fondamentale per lo sviluppo successivo dell’Io. Il Sé è anche il centro della personalità e consente all’individuo di viversi come un polo autonomo. Il Sé è alimentato dalla relazione con gli altri, dalla relazione materna. Pertanto una inadeguata relazione madre-bambino conduce il Sé a ripiegarsi su se stesso e a fissarsi su una posizione narcisistica; in tal modo l’esperienza del Sé si disintegra ed origina un Sé “grandioso”. C’è un fisiologico sviluppo narcisistico della personalità a partire da una grandiosità arcaica che sfocia in un narcisismo sano e costruttivo, base dell’autostima. Qualità del narcisismo evoluto sono la creatività, la produttività, l’umorismo e la saggezza.

Metodo Introspettivo: “Assumere utilmente un vertice di osservazione di tipo empatico significa tentare di cogliere, nel modo più coerente possibile, l’esperienza soggettiva del paziente, inclusi i sentimenti che egli prova nei confronti dell’analista, dalla prospettiva propria del paziente stesso. Una delle conseguenze più importanti di questo cambiamento del metodo di osservazione è il fatto che il focus analitico principale non è più costituito dalla sottolineatura della discrepanza tra l’esperienza interna del paziente e la realtà, ma dalla necessità di catturare (cioè di comprendere e spiegare) la logica arcaica dell’esperienza interna, senza giudicarla dalla prospettiva di realtà propria dell’analista” (Ornstein, 1998, p. 135).

Nell'introduzione al volume La ricerca del Sé Franco Paparo mette in evidenza sostanzialmente due aspetti: il primo aspetto riguarda la descrizione del suo incontro e confronto, nel 1971, come psichiatra e psicoanalista impegnato nella pratica con pazienti gravi - sia essi psicotici, sia affetti da organizzazione a limite - con il contributo teorico di Kohut. Paparo spiega quindi che la teoria di Kohut riguarda nello specifico la formulazione della patologia del Sé; i costrutti riguardanti l'empatia (1959); le forme e le trasformazioni del Narcisismo (1966); la rabbia narcisistica (1972). La portata innovativa dei contributi teorici sollecitarono Paparo a promuovere una raccolta dei saggi da tradurre in italiano; quindi a conoscere ed avviare la collaborazione con Kohut. Da questo lavoro emergeranno contenuti volti a bonificare il concetto di Narcisismo. Tali contenuti, se inizialmente venivano riferiti sottovoce, troveranno nel 1977 una piena affermazione. Per definire cos’è che porta alla cura della patologia del Sé, si rende necessario riesaminare criticamente un ampio spettro di contenuti teorici già stabiliti in precedenza dalla psicoanalisi (Kohut, 1977). Kohut evidenzia subito il carattere introspettivo-empatico dell'esperienza del Sé iscrivendolo nel registro della psicologia del profondo e differenziandolo sia dalle strutture dell'Io, Es e Super-io - con diversa elaborazione concettuale -, sia dai concetti di Personalità e Identità che come dice Kohut (1971) non originano dal registro Psicoanalitico; accanto ad una psicologia del Sé in senso stretto, nel quale il Sé rappresenta un semplice contenuto della mente, va considerata una psicologia del Sé in senso lato, nel quale il Sé costituisce un centro indipendente d'iniziativa.
Il secondo aspetto che viene preso in esame, riguarda la presentazione dei sei capitoli del libro La ricerca del Sé. In questo lavoro, tratteremo il primo capitolo: “Introspezione, empatia e psicoanalisi”. Questo punto di partenza nel pensiero di Kohut, sancisce una prima nozione fondamentale: l’indagine sul mondo esterno attraverso i nostri organi di senso corrisponde all’indagine nel mondo interno attraverso l’introspezione e l’empatia, definita anche introspezione vicariante.


Introspezione, empatia e psicoanalisi

Kohut implementa una definizione circa i fenomeni fisici e psicologici: quando operiamo un’osservazione attraverso gli organi di senso, abbiamo semplicemente un fenomeno fisico. Quando l'osservazione è condotta attraverso l’empatia e l’introspezione abbiamo un fenomeno psicologico. Questa affermazione va intesa in senso ampio: così come vi sono pianeti invisibili a influenzare pianeti direttamente osservabili, così nella Psicoanalisi, le strutture psicologiche dell'inconscio e del preconscio possono essere considerate in un quadro di esperienze di introspezione, vissute o potenziali. Ora la domanda è la seguente: l’introspezione e l’empatia fanno sempre parte di ogni osservazione psicologica? A tale riguardo Kohut porta un esempio: la visione di una persona eccezionalmente alta. Osservare l’attributo fisico dell’altezza da un punto di vista privo di empatia ed introspezione, significa osservare un attributo squisitamente fisico! Ma se proviamo a metterci al posto della persona alta - cioè rivisitiamo nostre esperienze interne nelle quali ci siamo fatti notare per qualche attributo - accadono in noi due cose: una è quella di riconoscere il significato che può avere quella statura, e l'altra è quella di aver osservato un fatto psicologico. Conseguenza di quest'ultimo punto, è che quando osserviamo solo gli aspetti fisici in assenza di empatia ed introspezione non osserviamo il fatto psicologico di un’azione, ma solamente il fatto fisico dei movimenti. Ma cos’è un atto psicologico? La domanda è necessaria perché uno schema di movimenti con un suo fine preciso non basta a definire un atto psicologico.
Possiamo osservare un fenomeno “somatico”, “comportamentale” o “sociale” quando il nostro metodo di osservazione non include in modo prevalente introspezione ed empatia. Quindi possiamo definire i fenomeni come Mentali, Psichici o Psicologici, se la nostra modalità di osservazione include introspezione ed empatia come costituenti essenziali. Il termine essenziale sta a significare che introspezione ed empatia non possono mai mancare ma al contempo possono essere mescolate con altri metodi di osservazione; anche se poi il risultato finale è quello di un atto introspettivo o empatico. L'uso dell'empatia entra nella nostra vita di tutti i giorni e la nostra sensibilità psicologica è facilitata quando osserviamo persone con cui abbiamo qualche radice culturale comune; ma anche quando incontriamo persone che ci sembrano lontane da noi, confidiamo di capirle da un punto di vista Psicologico, attraverso la scoperta di una esperienza comune con la quale empatizzare! I pionieri dell’introspezione e dell’empatia per eccellenza sono stati già Freud e Breuer; tuttavia, altri aspetti dell’inconscio, dei fenomeni psicologici normali e patologici; le libere associazioni, l’analisi delle resistenze etc. hanno oscurato il fatto che il primo passo di questa scienza fosse l’introspezione e l’empatia. L’analisi delle libere associazioni e l’analisi delle resistenze sono da considerarsi strumenti ausiliari a servizio del metodo di osservazione introspettivo ed empatico. Ora la dimostrazione importante è quella di definire come questo metodo di osservazione determini il contenuto e i limiti del campo osservato; ma ancor di più la connessione fra introspezione e teoria psicoanalitica, e come il misconoscimento di quelle aeree ha portato ad omissioni ed errori.


Resistenze all’introspezione

La resistenza alla libera associazione è una funzione difensiva della mente, come una sorta di paura da parte del paziente di conoscere contenuti inconsci e i loro derivati. Ci sono altresì ragioni recondite che potrebbero essere ricondotte alla paura di rimanere “sguarniti e nudi” di fronte a tensioni emergenti. Di fatti, è come se fossimo più attrezzati ad un pensiero finalizzato ad un’azione.  L’introspezione si “oppone” a tale dinamica, in quanto la terapia analitica prepara “in toto” alla libertà di azione, e la libera associazione in se stessa prepara ad un rimaneggiamento strutturale attraverso una aumentata capacità a tollerare la tensione. Le apprensioni circa il dispendio di energie sia psichiche sia materiali nel senso di costi economici, sembrerebbero nascondere la paura dell’inattività di fronte al flusso di energia derivante dall’introspezione; come una sorta di evasione dalla realtà (questa può essere presente nelle forme patologiche). Tuttavia, il fatto che se ne possa fare un uso sbagliato, non ci deve distogliere dalla realtà che nei casi migliori essa è attiva, investigativa e intraprendente. Nella sua massima potenza, essa è animata ad ampliare ed approfondire il nostro campo di conoscenza.

Organizzazione mentale precoce
E’ fuori di dubbio che l’attendibilità dell’empatia diminuisca tanto più l’osservatore sia diverso dall’osservato, e in tal senso, gli stati mentali primitivi diventano una sfida alla capacità di empatizzare con una persona (o meglio con un assetto mentale passato). Nelle concettualizzazioni di Freud sulle “nevrosi attuali” l’introspezione non ha portato nessun risultato psicologico, se non angoscia e dolore. Tant’è vero che questi risultati portarono Freud a considerare tale tipo di nevrosi come il risultato di disturbi organici; da indagare pertanto con strumenti biochimici. Di fronte a stati psicopatologici gravi vennero messi in atto degli espedienti operativi. Invece di estendere una forma rudimentale di empatia agli stati primitivi, si confusero le osservazioni ottenute con il metodo introspettivo, con le teorie basate sul metodo dell’osservazione della psicologia sociale (relazione madre-bambino). Questo tipo di processi aldilà dell’empatia e dell’adattamento che ne deriva, sono simili al movimento dell’acqua del ruscello che incontra, i massi prima di confluire nel fiume. All’estremo opposto di questi processi, troviamo gli stati psicologici più vicini alla nostra empatia, al nostro processo logico e alla facoltà di scelta e di decisione.

Conflitto endopsichico e conflitto interpersonale
Kohut mette in evidenza una differenza tra diversi tipi di conflitti, in relazione alla gravità della psicopatologia: essi riguardano le strutture Es, Io e Super-Io per i pazienti nevrotici, mentre l’ambito interpersonale per pazienti più gravi (psicotici o disturbi al limite). I conflitti interpersonali sono relativi alle relazioni arcaiche (il Sé non adeguatamente formato nella relazione oggettuale risulta carente e bisognoso di appoggio per formare la propria identità e il carattere). 
Kohut, che nel 1959 non ha ancora formulato una teoria sistematica per i disturbi narcisistici, parte da una critica opposta alla psicoanalisi: esaminando la convinzione che la psicoanalisi non sia “sufficientemente interpersonale”, rivolge la sua attenzione ai termini “relazione interpersonale”, “interazione”, “transazione”, di solito prese in esame dagli psicologi sociali. In realtà agli occhi del lettore moderno appare già evidente che ciò che l’autore sta proponendo per semplice giustapposizione, è in realtà un radicale cambio di paradigma (Strozier, 2001). Kohut tuttavia cita il modello strutturale di Freud del 1922, facendo riferimento all’autonomia dell’Io (Hartmann, 1939), come modello della mente. Che significato psicoanalitico ha il termine “interpersonale”?  
Conflitto strutturale, nevrosi di traslazione, traslazione.  
Lo stesso Freud si occupò di investigare le psiconevrosi usando l’introspezione e l’empatia. Tuttavia il risultato di questa ricerca si focalizzò principalmente sulla scoperta dell’inconscio e del fenomeno della traslazione. Freud (1899) definì la traslazione come influenza dell’inconscio sul preconscio, al di là della barriera della rimozione. Manifestazioni principali della traslazione sono sogni, sintomi, aspetti del modo in cui l’analizzando percepisce l’analista. La Traslazione indica come l’inconscio influisce sulla parte più accessibile all’introspezione della psiche (vedi cap. 2 Concetti e teorie della psicoanalisi § “il concetto di traslazione”, p. 57). Mediante l’uso dell'introspezione emerse ciò che Freud chiamò conflitto strutturale (endopsichico). Esso riguarda la lotta tra le pulsioni infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (nevrosi di traslazione). (Es.: un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io[1] inconscio dell’analizzando). 
Conflitto interpersonale, psicosi e disturbi al limite, metodo introspettivo. 
La psicoanalisi ha ampliato il proprio campo di indagine fino ad includere la psicosi. Le due prime e più importanti scoperte nel campo della psicosi furono quelle di Freud nel 1914(b) - parla di ipocondria psicotica mediante il riconoscimento empatico o introspettivo - e Tausk che nel 1919 parla del delirio schizofrenico di essere influenzato da una macchina (delirio di riferimento); esso riguarda la riesumazione di una parte primitiva del Sé, ovvero una regressione a esperienze somatiche penose ed angosciose dopo la perdita di contatto con l’esperienza del “Tu”.
I disturbi narcisistici[2] e gli stati limite a differenza delle nevrosi, rivelano mediante l'introspezione prolungata, una psiche non strutturata ovvero una psiche il cui principale sforzo è quello di mantenere un contatto con l’oggetto arcaico, o una tenue separazione da esso (conflitto interpersonale). L’analista in questo caso non funge da schermo per la proiezione della struttura interna dell’analizzando come per le nevrosi, bensì diventa una “continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (p. 17). L'analista è sperimentato introspettivamente nel quadro di una relazione interpersonale arcaia: egli è il vecchio oggetto con il quale l'analizzando cerca di mantenere un contatto, separare la propria identità o trarre un minimo di struttura interna. 
In tal senso il fulcro del conflitto è la relazione, nello specifico la relazione arcaica con i genitori, che non ha permesso un corretto sviluppo delle strutture psichiche e del Sé. Es.: un paziente schizofrenico arriva in seduta in uno stato di freddezza e riserbo. La notte precedente ha sognato un campo innevato e sterile, in cui una donna gli offre il seno, ma lui scopre che il seno era di gomma. La freddezza del paziente e il suo sogno si scoprono essere la reazione ad un rifiuto minimo ma significativo dell’analista (conflitto interpersonale). Traslazione e controtraslazione, afferma inoltre Kohut, denotano nient’altro che relazioni interpersonali nel senso della psicologia sociale. 
I due approcci teorici (strutture/nevrosi e relazione/disturbi narcisistici) possono essere combinati mediante il ricorso al concetto-ponte di osservatore partecipante. Il concetto di osservatore partecipante permette di far svanire la distinzione tra oggetto traslativo delle nevrosi strutturali e oggetto interpersonale arcaico dei disturbi narcisistici. Ma, senza questa differenziazione, afferma Kohut, la psicopatologia potrebbe contenere i più differenti fenomeni clinici come varietà o gradi della schizofrenia (Sullivan, 1940).  
Nelle psicosi e nei disturbi limite, i conflitti interpersonali arcaici occupano una posizione centrale; così come nelle nevrosi, è il conflitto strutturale ad avere importanza strategica. La stessa cosa si applica ai conflitti strutturali nelle psicosi. La scelta è determinata solo in parte dal passato. Mentre è vero che tutte le traslazioni sono ripetizioni, non tutte le ripetizioni sono traslazioni. 
Mediante l'introspezione scientifica prolungata possiamo differenziare: scelte oggettuali non traslative strutturate secondo modelli infantili (es. parte di quanto definito traslazione positiva); dalle vere traslazioni.Le vere traslazioni possono essere risolte da un'introspezione prolungata, le scelte oggettuali non traslative invece, sono al di fuori del conflitto strutturale e non possono essere influenzate dall'introspezione psicoanalitica. 
Kohut riprenderà questo argomento nell’ultimo paragrafo dello scritto, in cui farà più esplicito riferimento al problema del libero arbitrio e del determinismo psichico nella psicoanalisi classica.

Dipendenza 
Una ulteriore importante differenza introdotta da Kohut riguarda la dicotomia biologia/relazione. Tale genere di differenza determina il metodo di osservazione: alcuni concetti teorici derivano dall’osservazione psicoanalitica, ovverosia dalla considerazione biologica della realtà da cui traiamo per astrazione un modello teorico (teoria dello sviluppo psicosessuale); mentre altri concetti derivano da un altro metodo di osservazione: l’introspezione vicariante (o empatia)
Kohut prende come esempio per spiegare questa differenza la sessualità infantile. 
Quindi domanda se ad es. la dipendenza orale (come astrazione teorica psicoanalitica) potrebbe essere connessa all’osservazione interpersonale della dipendenza prolungata, biologicamente inevitabile dell’infante. 
Secondo Kohut, la risposta è affermativa. Questa è un’ipotesi psicoanalitica? Si può dire di si, perché tale ipotesi non sarebbe neppure esistita, senza la premessa della dipendenza biologicamente determinata. Dunque tutto ciò che è psicoanalisi ha una radice nella biologia (come anche il modello pulsionale di Freud). 
Kohut prende quindi in esame il concetto di dipendenza, e ne analizza l’etimologia individuando tre aspetti; biologico, sociologico, psicologico.
Biologico come rapporto tra due organismi. Il neonato è dipendente dalle cure che riceve dall’adulto. Sociologico come rapporto tra due unità sociali. L’adulto, sviluppa solo certe qualità in quanto membro della società ed è quindi dipendente da essa per la sua sopravvivenza. 
Psicologico:diciamo che alcuni pazienti hanno problemi di dipendenza o che li sviluppano nel corso dell’analisi. Cosa intendiamo con dipendenza psicologica?
Dal punto di vista psicoanalitico, le personalità oralmente dipendenti desiderano perpetuare il rapporto con l’analista. Il termine dipendenza orale deriva dall’osservazione psicoanalitica del paziente e costituisce un’astrazione sul suo stato mentale. Ciò combacia con il concetto di regressione ovvero ritorno ad uno stato psicologico pregresso. Ma non si discute il fatto che il lattante è dipendente dalla madre, bensì se lo stato mentale del lattante corrisponde a quanto troviamo nell'analisi dei desideri rimossi di dipendenza di un analizzando adulto! Ovvero: lo stato mentale del lattante corrisponde allo stato mentale di un analizzando adulto con desideri rimossi di dipendenza? 
Secondo Kohut no, e per dimostrarlo fa l’esempio inverso: lo stato mentale ed emotivo dell’analizzando dipendente non è quello del lattante al seno, in quanto un corrispettivo adulto di tale stato riguarderebbe la situazione di una persona totalmente assorta in un’attività di massima importanza per lei (ad es. lo scatto finale di una corsa di 100 mt., il solista nel punto culminante della sua melodia, l’amante nell’acme dell’unione sessuale). 
Se ipotizziamo che la dipendenza dell’adulto è un ritorno ad una primitiva gestalt psicologica, non abbiamo capito la psicologia dei bambini sani. Dunque per Kohut è solo l’osservazione psicologica (empatia circa lo stato reale) che fornisce la prova finale per qualsiasi scoperta: il principio biologico (teorizzazione psicoanalitica) può solo fornire utili indizi. 
E’ quindi sbagliato estrapolare l’interpretazione di uno specifico stato mentale da principi biologici, specialmente se questi contraddicono le osservazioni psicologiche; ad esempio è inutile effettuare un’interpretazione circa la dipendenza orale del paziente senza capire come sta realmente!
La dipendenza descritta come: tendenza di alcuni pazienti adulti a essere timorosi, aggrapparsi ostinatamente, tenersi stretti, avere resistenze a lasciarsi andare, può quindi essere definita secondo Kohut in quattro modi:
Come regressione alla situazione infantile. In questo caso essa non costituisce una replica di una fase normale dello sviluppo psicologico ovvero la regressione allo stato mentale di un bambino normale di genitori normali, ma è ascrivibile alla patologia infantile; nello specifico a fasi successive dell'infanzia in cui il bambino ha avuto esperienze specifiche di rifiuto (intricati miscugli di rabbia, paura e ritorsione). 
Come reazione del paziente per proteggersi dall'angoscia e dal senso di colpa derivati da conflitti strutturali mediante l’attaccamento al terapeuta, portatore mediante proiezione di fantasie narcisistiche benigne e onnipotenti. Quindi: la dipendenza psicologica non riguarda esclusivamente l’oralità. In taluni casi, questo è vero, ma l’osservazione empatica libera da aspettative di ordine biologico, può essere aperta al riconoscimento che una grande varietà di pulsioni, in stato di inappagamento può creare una sottomissione (Hörigkeit) al terapeuta. E’ dunque l’attaccamento ostinato e non l’associazione ad una pulsione a caratterizzare lo stato mentale in questione. 
Come resistenza al cambiamento o adesività della libido. Ci si dovrebbe rivolgere a questa ipotesi solo dopo aver esaurito le precedenti possibilità o in caso di evidenza psicologica. Es.: uno dei trenta superstiti di un campo di concentramento che aveva visto la morte di centomila persone, non riesce a lasciare il campo prima del trascorrere di quattro lunghi giorni, sebbene le guardie naziste fossero fuggite in seguito all’avanzata russa.
Come bisogno, da parte del paziente, del terapeuta per ottenere consolazione e sostegno. Analizzandi con insufficiente struttura psicologica hanno bisogno del terapeuta in quanto hanno realmente necessità di essere consolati e sostenuti. La loro dipendenza non può essere analizzata o ulteriormente ridotta per la comprensione globale: deve essere riconosciuta e accettata. In realtà in questi casi, il compito psicoanalitico maggiore è l’analisi della negazione del bisogno reale: il paziente deve imparare a sostituire le fantasie grandiose mantenute grazie all’isolamento sociale, con l’accettazione per lui penosa, della realtà della sua dipendenza. Ad es.: alcuni tossicodipendenti non hanno acquisito la capacità consolarsi da soli o addormentarsi - non hanno trasformato le antiche esperienze di consolazione e addormentamento in strutture endopsichiche -, pertanto la droga non è il sostituto delle relazioni oggettuali, bensì è un sostituto della struttura psicologica. In psicoterapia questi pazienti presentano la stessa dipendenza che hanno per la droga, per lo psicoterapeuta o la psicoterapia. Tale dipendenza non va confusa con la traslazione: il terapeuta non è uno schermo per la proiezione di strutture psicologiche esistenti, ma un sostituto di esse  
Sessualità, aggressività, pulsioni
In questo caso Kohut prende direttamente in esame il problema della sessualità nella teoria psicoanalitica per darne una definizione. La teorizzazione sulla sessualità ha prodotto una grande quantità di dispute. Secondo Kohut la qualità sessuale di un’esperienza non può essere ben definita né dal contenuto, né dalla zona corporea (rifiuto del modello psicoanalitico classico di sviluppo psicosessuale).  
Una prova dell’effettiva esistenza di desideri sessuali può provenire soltanto da una loro scoperta introspettiva ed empatica. La qualità sessuale dell’esperienza non può essere ulteriormente definita.
Tuttavia gli analisti intendono con il termine sessuale qualcosa di più ampio della sessualità genitale. La sessualità è il residuo di un’esperienza che era nell’infanzia più diffusa (sensualità). Freud (1921a) ha scelto il termine sessuale “a potiori” ovvero dalle più note di questo tipo di esperienze, ha insistito sull’aspetto biologico del termine sessuale per poterne salvaguardare l’aspetto psicologico: usando i termini forza vitale ed energia mentale si creano quindi dei malintesi nel riconoscimento della modalità primaria dell’esperienza, che è stata rifiutata (come per il polo ostilità-aggressività). 
Ciò che noi oggi chiamiamo pulsione, non denota un’energia che funge da motore, ma un’esperienza soggettiva interna con carattere di urgenza, che appare più chiara se messa in relazione alla corrispettiva esperienza interna in termini di investigazione introspettiva. L’esperienza può avere qualità pulsionale (volere, desiderare, tendere) ed è un’astrazione tra innumerevoli esperienze interne; connota una determinata qualità psicologica che non può essere ulteriormente analizzata mediante l’introspezione. 
Pulsione di vita e pulsione di morte pertanto, sono astrazioni teoriche, mentre la psicoanalisi deve concentrarsi sul vissuto reale, e non sulla teoria! Eros e Thanatos non appartengono a una teoria psicologica basata su osservazione introspettiva ed empatica, ma a una teoria biologica basata su un metodo di osservazione diverso. 
Narcisismo e Masochismo primario invece, costituiscono secondo Freud un ritorno a primitive forme di esperienze sessuali e aggressive alle quali corrispondono le forme più recenti (Narcisismo clinico e Masochismo clinico) reattive rispetto alla tensione proveniente dall’ambiente; ciò è coerente ed accettabile per Kohut, in quanto tale concetti trovano espressione nella comprensione psicologica. 
Kohut cita quindi Hartmann, Kris e Loewenstein, (1949) i quali suggeriscono che il biologo trova indizi utili nella psicologia; tuttavia le sue teorie si basano su osservazioni e prove biologiche, e afferma che d’altra parte l’applicazione dell’introspezione a ogni cosa animata non è scientificamente valida (vedi Ferenczi, 1924[3]). 
Kohut ammira l’audacia delle teorie biologiche freudiane, ma i concetti di Eros e Thanatos restano fuori dal quadro della psicologia psicoanalitica. Tuttavia, afferma anche Kohut, Freud rigettava le teorie biologiche se non poteva confermarle mediante l’osservazione psicoanalitica introspettiva. Un esempio lampante di questa posizione è ad es. la concezione freudiana della sessualità femminile (intesa come ritiro da una maschilità delusa) che ha scatenato la questione dell’antifemminismo di Freud. E’ evidente a livello biologico la donna possiede una femminilità primaria[4] e che tale femminilità non si esaurisce nel confronto con la sessualità maschile; tuttavia Freud non cambiò idea sulle sue teorie, in quanto esse trovavano corrispondenza nell’osservazione psicoanalitica: non volle quindi accettare una congettura biologica come un fatto psicologico. La concezione freudiana della sessualità femminile è un esempio della sua adesione al metodo di osservazione introspettiva ed empatica; tuttavia taluni altri concetti rimasero privi di una specificazione basata sulla comprensione empatica. Per quanto riguarda questi ultimi concetti, “accettare il punto di vista dinamico e la concezione di pulsione non è più giustificabile dell’accettare il punto di vista strutturale a livello anatomico”.

Il libero arbitrio e i limiti dell’introspezione
La nostra facoltà di fare una scelta o prendere una decisione è compatibile con la legge del determinismo psichico[5]? (Knight, 1946; Lipton, 1955). Secondo la psicoanalisi non esiste una libera scelta: siamo tutti spinti da forze irrazionali (inconscio) che possiamo solo razionalizzare (tentare di capire); inoltre, tendiamo a ipervalutare narcisisticamente le nostre funzioni psichiche.
Freud sostituisce quanto in precedenza affermato circa l’esistenza di un’area di libertà psichica. Tale esitazione emerge nella nota a piè di pagina in L’Io e L’Es (1922, p. 512) in cui afferma che la psicoanalisi si propone “di creare per l’Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l’altra”. Inoltre, il concetto di Ichtriebe (pulsioni dell’Io), l’affermazione che l’Io si sviluppa dall’Es o che il principio di realtà non è che una modificazione del principio di piacere sono tutte tesi a dimostrazione dell’esitazione di Freud. Le successive teorizzazioni freudiane incorporeranno in maniera implicita il convincimento di una qualche libertà di scelta: l’enfasi sull’Io, i commenti sulla genesi indipendente dell’Io in Analisi terminabile e interminabile (Freud, 1937) sono precursori di quanto noi conosciamo come autonomia dell’Io (Hartmann, 1939). 
Kohut si domanda quindi se in base allo strumento di osservazione introspettivo è possibile operare una riformulazione della questione, per chiarire come avviene la libera scelta. Secondo Kohut l'esperienza di essere obbligati e l'esperienza di indecisione e dubbio possono essere dipanate dall'introspezione. Quando mediante l'introspezione ristabiliamo le motivazioni alla base delle nostre scelte, diventiamo nuovamente consapevoli e ripristiniamo la libera scelta e la capacità di decisione. Possiamo allora risolvere l'esperienza di coazione. Inoltre, l'introspezione non può ulteriormente indagare lo stato della libera scelta, in quanto essa non è scomponibile. 
Ogni scienza ha un numero ottimale di concetti basilari: i limiti della psicoanalisi sono dati dai limiti della possibilità di introspezione e di empatia. Nel campo osservato regna il determinismo psichico. L'introspezione sottoforma di libere associazioni e analisi delle resistenze è potenzialmente capace di rivelare motivazioni e desideri, decisioni, scelte, atti. Tuttavia è necessario riconoscere i limiti oltre i quali lo strumento di osservazione non arriva, e bisogna accettare il fatto che certe esperienze non possono essere allo stato attuale delle conoscenze, ulteriormente chiarite. Ciò che sperimentiamo come libera scelta è l'esperienza dell'Io che non può essere divisa in ulteriori componenti mediante il metodo introspettivo (vedi p. 17).


Bibliografia
Ferenczi, S., (1924), “Thalassa. Psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi”, Tr. it. in Fondamenti di psicoanalisi vol. I Guaraldi, Firenze, 1972.
Freud, S., (1899), L’interpretazione dei sogni. In Opere. Vol. III, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1914b), Introduzione al narcisismo. In Opere. Vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1915-17), Introduzione alla psicoanalisi. In Opere, Vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Freud, S., (1921a), Psicologia delle masse e analisi dell’Io. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1922), L’Io e l’Es. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1937), Analisi terminabile e interminabile, In Opere, Vol. XI Bollati Boringhieri, Torino
Hartmann, H., (1939), Psicologia dell’Io e il problema dell’adattamento. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1966.
Hartmann, H., Kris, E., Loewenstein, R. M., (1949), “Note sulla teoria dell’aggressività” in Scritti di psicologia psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
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[1] Imago inconscia del padre. Nella nevrosi, a differenza dei disturbi più gravi ciò avviene in quanto il paziente ha già formato la struttura Superegoica sulla base delle relazioni reali vissute con i genitori.
[2] Kohut fa riferimento alle psicosi e agli stati limite, in quanto all’epoca dello scritto non si era ancora giunti alla classificazione concettuale e clinica dei disturbi narcisistici della personalità analizzabili (p. 16).
[3] Nello scritto Thalassa, Ferenczi affronta il tema dell’ontogenesi e filogenesi, collegando sessualità e psicologia.
[4] Freud osservava nelle sue pazienti una lotta incentrata su desideri fallici e mentre accettava la bisessualità biologica, rifiutava l’idea di una precedente fase psicologica di femminilità senza una conferma a livello psicologico.
[5] Ogni avvenimento psicologico è determinato dal fattore inconscio.

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