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lunedì 4 maggio 2020

Unicità e acrobazia. Sindrome da impostore, pseudologia fantastica, mitomania. Il millantatore o bugiardo patologico e le caratteristiche dell'identità diffusa

Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen, conosciuto come il Barone di Münchhausen (Bodenwerder, 11 maggio 1720 – Bodenwerder, 22 febbraio 1797), è stato un militare tedesco. È il personaggio a cui si è ispirato Rudolf Erich Raspe per il protagonista del romanzo "Le avventure del barone di Münchhausen". Il vero barone era infatti divenuto famoso per i suoi inverosimili racconti: tra questi, un viaggio sulla Luna, un viaggio a cavallo di una palla di cannone e il suo uscire incolume dalle sabbie mobili tirandosi fuori per i propri capelli.
Ed io sempre ho preferito originale 
anche tristo ad ottima copia. 
(Vittorio Alfieri)

 È una malattia che Jung identificò quando studiava Hitler, e chiamò pseudologia fantastica. Consiste nell'inventarsi una bugia e finire col credere che sia una verità.
(Federico Orlando)

I caratteri nevrotici ne soffrono in senso fruttuoso, basato cioè su una colpa dimensionata, ovverosia che corrisponde a un certo senso di inadeguatezza utile e non invalidante; consapevole dei propri limiti e potenzialità, che può aiutarli spronandoli a crescere e migliorare, proprio basandosi su un senso di realtà adeguato. I narcisisti maligni invece come illustrato nelle vignette di Kernberg (1984), possono creare facilmente un'ideazione patologica e ripetuta che fondamentalmente pone le basi per sfiorare la psicosi (un certo scollamento dalla realtà ancora nell'ambito tuttavia della fantasia). Può capitare che, come si dice in inglese, alcuni di questi personaggi tornino a casa con il cadavere ("going away with murder" espressione idiomatica che sta a significare - "farla franca"), in poche parole che di fatto essi riescano a vendersi per ciò che non sono neppure. Presentano agli altri, cioè, un ideale grandioso che di fatto non corrisponde a una concretezza raggiunta. Sono personaggi tragici, vuoti, assetati dello stesso veleno che alimentano in una corsa verso un podio inesistente, un nulla cosmico, sostenuto fortemente tra traumi infantili di mancato riconoscimento e sintonizzazione e una consistente e inesauribile vergogna. I più, li elogeranno anche, non rintracciando nei loro toni altisonanti il tipico gonfiore inconsistente. In queste circostanze connotate sempre da un sentore verso il "più", l' "alto", il "migliore" (e chi più ne ha più ne metta in tal senso) si salva solo chi scappa. Scappare quindi, da chiunque si presenti con toni altisonanti in genere è l'unica via d'uscita al meccanismo delle somme e sottrazioni - l'unico linguaggio che questi soggetti conoscono e sono in grado di proporre e riproporre in tante salse diverse della stessa solfa. La grandezza reale, o anche un'autostima equilibrata non manca mai di umiltà; l'originalità è la capacità di essere chi si è, senza bisogno di crearsi un'identità fantastica o fotocopiata. Dunque fuggite dai re del tutto io (un tutto io non so essere). Così ne parla Alice Miller: "Ho conosciuto una donna che a carnevale si dava alle più sfrenate follie, perchè ciò significava per lei l'unica possibilità di essere libera e creativa. Ma più tardi, quando essa fu in grado di mostrare l'altra faccia di sè stessa tramite la creatività, invece che mettendosi in maschera, il suo interesse per il Carnevale si limità alla realizzazione di decorazioni e costumi. Lei personalmente non volle più indossare costumi mascherati, perchè ciò le ricordava tutta la triste dissimulazione della sua vita precedente. Simili e analoghe esperienze mi hanno portato a pensare se un giorno non sarà possibile far crescere i bambini in maniera tale che essi in seguito possano apprezzare di più tutti i lati della loro natura, senza essere invece costretti a reprimere i lati proibiti con tanta intensità, da doverli poi sfogare in forma violenta e oscena. ... Il falso Sé "buono" è il risultato della cosiddetta socializzazione, delle norme sociali che i genitori ci hanno trsmesso in maniera consapevole e intenzionale, e il Sé "cattivo" pure lui falso, trova le sue radici nelle primissime percezioni del comportamento dei genitori, visibile solo dal loro figlio usato come valvola di sfogo. Esso viene considerato come la "natura umana. E' senza dubbio offensivo e scomodo per la gente venire a sapere che le valvole di sfogo, finora ben nascoste che si credeva aver trovato nell'educare i propri figli dimostrino di avere un effetto venefico sulla generazione futura. (Miller, 1989, p. 199)
Heinz Kohut: I diversi tipi di tendenza alla pseudologia fantastica possono essere classificati nel modo seguente: a) può essere dovuta a una pressione del Sé grandioso, nel qual caso le bugie attribuiscono qualche successo importante al Sé del bugiardo b) può essere dovuta alla pressione del bisogno di un oggetto idealizzato, nel qual caso le #bugie attribuiscono importanti risultati, grandi ricchezze, economiche o intellettuali, o elevato status sociale a un'altra persona che occupa uno posizione di #leadership (è cioè una figura parentale) nei confronti del paziente. Nella loro forma relativamente più manifesta le falsificazioni riguardano il padre reale del paziente o altri parenti della generazione dei genitori. (Kohut, 1971, pp. 113) Winnicott: "Il vero sé (noto anche come sé reale, sé autentico, sé originale e sé vulnerabile) e il falso sé (noto anche come sé sociale, sé idealizzato, sé superficiale e pseudo sé) sono concetti psicologici, originariamente introdotti in psicoanalisi nel 1960 da Donald Winnicott . Winnicott ha usato il vero sé per descrivere un senso di sé basato su un'esperienza autentica spontanea e la sensazione di essere vivi, di avere un sé reale. Il falso sé, al contrario, Winnicott vedeva come una facciata difensiva, che, in casi estremi, poteva lasciare i suoi detentori privi di spontaneità e sentirsi morti e vuoti, dietro una mera apparenza di essere reali. I concetti sono spessi citati in relazione al narcisismo" Kernberg: "Vi è (...) un gruppo di pazienti che si colloca tra il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale di personalità; esso è caratterizzato da ciò che io denomino sindrome di narcisismo maligno (1984). Tale sindrome è definita dalla combinazione di: 1) un disturbo narcisistico di personalità; 2) un comportamento antisociale; 3) aggressività egosintonica o sadismo rivolto verso gli altri o espresso mediante un particolare tipo di automutilazione trionfante o tentativi di suicidio; 4) un forte orientamento paranoide". Per pseudologia fantastica (o mitomania o bugia patologica) si intende un'elaborazione intenzionale e dimostrativa di esperienze o eventi molto poco probabili e facilmente confutabili. In un lavoro del 2012 Katie Elizabeth Treanor la definisce "l'abituale, prolungata e ripetuta produzione di mistificazioni, spesso di natura complessa e fantasiosa (...), bugie facilmente mascherabili che non vengono utilizzate per ottenere un tornaconto materiale o qualsivoglia vantaggio sociale, quanto per accrescere la propria autostima o proteggersi dal giudizio altrui". Il paziente fa sue, come vissute, le esperienze che inventa di sana pianta, elabora ricordi come se fossero momenti realmente vissuti. La pseudologia fantastica è una categoria nosografica che è stata discussa in psichiatria, descritta per la prima volta da Anton Delbrück nel 1891, caratterizzata dal ricorso abituale alla bugia. Si ritrova in soggetti narcisistici, istrionici o psicopatici (i cosiddetti "bugiardi patologici") e può riguardare i più disparati eventi o argomenti (luoghi, avventure galanti, situazioni improbabili, etc.), amplificati parossisticamente fino a raggiungere gradi altissimi di inverosimiglianza. Viene considerata un prodotto diretto dell'immaginazione: non dipende pertanto da deficit di memoria e non deve quindi essere confusa con le confabulazioni. Caratteristiche principali della pseudologia fantastica sono le seguenti: Le storie raccontate sono di solito avvincenti e fantasiose, ma non vanno troppo oltre la realtà. La possibilità di verità è la chiave di sopravvivenza del bugiardo patologico. Non sono dovute a manifestazioni di depressione o a una psicosi più ampia: durante il confronto il bugiardo patologico può anche ammettere che le storie non sono vere, anche se controvoglia. La tendenza ad inventare storie è cronica; non è provocata dalla situazione immediata o da pressioni sociali, ma più da un innato tratto della personalità. Un motivo totalmente personale, e non esterno, serve a discernere la patologia clinicamente: es., situazioni pericolose o di stress possono indurre una persona a mentire ripetutamente, senza evidenza di un reale sintomo patologico. Le storie raccontate tendono a dipingere come positiva la persona del narratore. Il bugiardo "decora la sua stessa persona" raccontando storie che lo presentano come eroe o come vittima. Per esempio, la persona si presenta nelle storie come estremamente coraggiosa, dice di conoscere persone importanti e famose, o dice di guadagnare più soldi di quanti ne guadagni in realtà. (Wikipedia) Kernberg, Otto F. (1993). Severe personality disorders: Psychotherapeutic strategies. New Haven, CT: Yale University Press. Kohut, Heinz (1971) The Analysis of the Self: A Systematic Approach to the Psychoanalytic Treatment of Narcissistic Personality Disorders . International Universities Press, New York. Winnicott, D. (1960). Ego Distortion in Terms of True and False Self - The Maturational Processes and the Facilitating Environment. http://www.psicologiapsicoterapiapsicoanalisi.com/2014/10/narcisismo-e-analisi-del-se.html

giovedì 16 giugno 2016

'L'abisso della follia' di George Atwood - dal giudizio sulla malattia mentale alla comprensione dell'unicità umana



Le forme più gravi di sofferenza psichica non sono deviazioni da una norma prestabilita, ma il risultato di contesti relazionali traumatici, privi di responsività affettiva, comprensione ed empatia. Forte di cinquant’anni di esperienza clinica con i pazienti comunemente considerati “gravi”, Atwood tenta d’illustrare tale prospettiva – il contestualismo fenomenologico della psicoanalisi post-cartesiana – attraverso i suoi appassionati racconti di successi e fallimenti nella psicoterapia di individui comunemente sottoposti a diagnosi e trattamento psichiatrico. La barriera che divide la salute dalla cosiddetta malattia mentale è spazzata via da Atwood proprio attraverso la comprensione dei mondi personali nascosti da queste diagnosi, che si rivelano risposte umane a contesti soggettivi che spingono verso il ciglio dell’abisso. La cosiddetta “malattia mentale” è quindi uno sforzo per la risalita, ed è proprio attraverso la comprensione del senso soggettivo di fenomeni umani che si celano dietro termini come depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, sogni e deliri che la cura è possibile. L’umanità è un ingrediente fondamentale per la terapia. Ciò che rende umana la possibilità di comprensione è proprio la capacità del clinico di riconoscere quanto la follia sia una possibilità che riguarda tutti noi.

George Atwood, PhD, è professore emerito di Psicologia Clinica presso la Rutgers University, membro fondatore e analista supervisore dell’Institute for the Psychoanalytic Study of Subjectivity di New York, membro onorario APA (American Psychoanalytic Association), autore di numerosi articoli e libri, tra cui Volti nelle nuvole, I contesti dell’essere, Psicopatologia intersoggettiva, Intersoggettività e lavoro clinico, La prospettiva intersoggettiva, che prendono in esame gli approcci terapeutici agli stati psicotici. I suoi principali interessi comprendono la teoria della personalità, l’analisi delle fonti psicologiche dei sistemi filosofici e l’esplorazione della complessa relazione tra follia e genio creativo.


Atwood, G., (2012). L'abisso della follia. Giovanni Fioriti Editore

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