Visualizzazione post con etichetta aggressività. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta aggressività. Mostra tutti i post

venerdì 31 agosto 2018

L'amore non è abbastanza - dimmi come ami, ti dirò: "chi sei?"


Mother! è un film del 2017 scritto e diretto da Darren Aronofsky,
con protagonisti Jennifer Lawrence e Javier Bardem.

Anche il più riuscito dei rapporti ha le sue falle.
Come insegnano i principi della regolazione affettiva delle interazioni umane (Tronick, 1989; Beebe, Lachmann, 2002) è impossibile essere perfettamente sintonizzati con qualcuno la maggior parte del tempo; spesso e a maggior ragione nei momenti di maggiore crisi individuale o svincolo evolutivo. Nell'osservazione diretta dell'interazione madre-bambino è possibile osservare che i momenti di "rottura" o anche "pausa" sono essenzialmente più frequenti rispetto a quelli di "incontro" e tali disgiunzioni attese vengono considerate parte del normale processo interattivo, cui segue una forma riparativa - più o meno funzionale a seconda della specifica diade. Tali principi sono stati applicati con successo allo studio delle relazioni adulte. E' infatti possibile prevedere sin dall'osservazione delle interazioni infantili una linea evolutiva che segnerà l'orientamento regolativo generale dell'individuo verso una sicurezza o insicurezza dell'attaccamento (Bowlby, 1969, 1972, 1980; Ainsworth et al., 1978).

I conflitti esistenti nell'ambito delle relazioni affettive familiari e intime possono avere un impatto generalmente sottovalutato ma di enorme portata per la salute mentale, lasciando la persona ripetutamente ansiosa, scossa, paurosa, triste o impotente, fino a sentirsi bloccata; oppure con un costante vissuto di essere sbagliata, in difetto o inadeguata. I maggiori danni sostenuti - sia dal soggetto che le mette in atto, sia da chi le riceve - solitamente riguardano le strategie di difesa di basso livello rispetto all'esame di realtà, quali ad esempio l'aggressività passiva, ovverosia un comportamento celato e socialmente accettabile o giustificabile che nasconde effettivamente un danno inferto, ma anche e soprattutto la rabbia narcisistica, con i difetti empatici che ne consegue; la manipolazione emotiva istericoforme, e le dinamiche di squilibrio di potere (schiavo-padrone e dipendenze). A livello nevrotico più alto sono invece facilmente riscontrabili colpa e vergogna.

Le dinamiche succitate sono in bassa percentuale e occasionalmente vissute anche nella maggiorparte delle interazioni, ma aumentando in frequenza e pervasività descrivono i più comuni circoli disfunzionali delle relazioni apertamente e storicamente conflittuali. Si osserverà, in queste ultime più frequentemente, un'organizzazione del tono emotivo focalizzato sul negativo, piuttosto che sul positivo, e un basso livello di capacità di accettazione, comprensione e reciprocità.

Possiamo sviluppare relazioni dannose con chiunque nel corso della vita – la relazione dannosa con un partner ad esempio (oppure un dirigente, un amico, etc.). Ciò che è utile osservare in termini clinici è che spesso questo genere di rapporti consiste in uno specchio o ripetizione di antiche dinamiche familiari, relative ai rapporti originari con genitori, fratelli, figure di riferimento primarie, etc.
I rapporti dannosi con i caregiver in particolare, sono particolarmente comuni, e soprattutto difficili da affrontare e gestire perché legati a un dogma sociale e culturale estremamente radicato, specialmente nella cultura italiana.
Uno degli elementi meno considerati in merito, ad esempio, è la continuità dell’influenza invalidante che ne deriva. Questo perchè non si può “lasciare” un genitore e andare a cercarsene uno nuovo, come si fa più spesso con gli amici o con un partner. Il senso di colpa e la disapprovazione che la società impone sulle spalle di chi vive problemi di questo tipo possono spesso essere una motivazione sufficiente ad una sofferenza silenziosa, taciuta e nascosta.

La società impone intorno a nucleo familiare una serie di “convenzioni” basate su assunzioni essenzialmente false: la neo-mamma che deve essere per forza eternamente felice e instancabile, e soprattutto volta al sacrificio della sua identità distinta dall'essere madre; i “genitori che sono sempre i genitori” quindi intoccabili e nel giusto per definizione etc. Ma ce ne sarebbero tante altre parte dell'esperienza comune che resta tuttavia come dissociata. 
La realtà degli eventi però ci mostra in modo irrefutabile che vivere in un ambiente con dinamiche disfunzionali, o di negazione/diniego, genera a lungo termine un logorio che determina una serie di problemi che richiedono un successivo inevitabile lavoro di emancipazione ed attenzione costante. Ciò che non si osserva, si ripete, con le conseguenze del caso.

Sacrificare continuamente il proprio benessere per il quieto vivere con un parente distruttivo, intrusivo o invalidante ad esempio, significa “fare la cosa giusta”? Ci sono molte opzioni tra il soffrire costantemente le problematiche che presenta un caregiver e il tagliarlo completamente fuori.
Tagliare fuori un caregiver estremamente dannoso, tuttavia, nei casi in cui questo è strettamente necessario, ovvero in tutti quei casi in cui il soggetto diventa vittima di soprusi, violenze, sviluppa sintomi fisici o psicopatologici, problemi comportamentali etc., non è una tragedia, ma un effettivo diritto e una necessità. In questi casi diventa più evidente come il dogma sociale condiviso si attiene, in realtà, alla maggioranza di persone che fortunatamente non ha una misura di cosa implichi un contesto simile. Oppure a chi ha dolorosamente internalizzato un sistema di diniego tale che si è conformato al proprio ambiente, pagandone tuttavia un caro prezzo consapevolmente o meno.

Quali sono i segni più insidiosi, nascosti e comuni di una relazione "originaria" o "ripetuta" dannosa?
Innanzitutto, una mancata capacità di rispettare gli spazi e i bisogni dell'altro, figlio, partner, amico etc. Tali meccanismi originano spesso dal comportamento di un genitore che vive l'identità separata del figlio come un rifiuto verso di lui (vedi invertimento dei ruoli genitore-figlio, invischiamento e responsabilità per la felicità dell'altro vissuto come incompleto, o parte mancante di sè).
In secondo luogo, l'evitamento dei momenti affettivi autentici, anche quelli negativi
. Un evitamento del riconoscimento della parte emotiva dell'esperienza, nella sua totalità. Sviluppare un adeguato livello di accettazione e compassione, verso se stessi e verso gli altri, può essere molto complicato quando chi avrebbe dovuto prendersi cura di noi ha ignorato i nostri bisogni più profondi e basilari, ponendoci di fronte ai propri. La sensazione può essere quella di essere invisibili (inesistenti, non importanti), o come se i propri sentimenti o bisogni emotivi costituiscano un fastidio, pertanto debbano essere nascosti (in questi contesti viene promosso un alto tasso di vergogna - mancata accettazione, o senso di indegnità che si trasmetterà non solo nelle relazioni "ripetute" ma anche spesso a livello trans-generazionale nella successiva prole).

Un pensiero molto comune può essere: “In fin dei conti ho avuto un tetto sopra la testa e del cibo. Non dovrei lamentarmi”. La sofferenza che si sperimenta in questo genere di trascuratezza emotiva tuttavia è reale, nonostante il fatto che per altri possa essere andata peggio.
Gli abusi fisici reiterati causano un danno più evidente, ma l’abuso e l’abbandono emotivo (anche solo minacciato) può creare profonde cicatrici.
L’entità del trauma sperimentato non dovrebbe essere misurata su una scala che prevede una legittimazione soltanto sulla base della gravità evidente e marcata (esteriore o tangibile) del danno. Un danno emotivo può essere invisibile e tuttavia continuare ad essere invalidante per il resto della vita.

In essenza vivere la propria vita occupando un posto nel mondo significa affrancarsi dalla storia, osservandola come distinta da un destino disegnato. Ovverosia apprendere una nuova libertà emotiva e relazionale dalle ripetizioni del passato, acquisendo consapevolezza e padronanza sulla propria storia e le proprie modalità, e mettendo in atto le nuove capacità apprese in contesti più accoglienti.

venerdì 7 marzo 2014

Identità in adolescenza e comportamenti a rischio



Immagine tratta dal film "Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" (in tedesco Wir Kinder vom Bahnhof Zoo) Al concerto di David Bowie, insieme a due amici, Pollo e Bernd, Christiane decide di sniffare eroina per la prima volta. Ha 13 anni. Il film è tratto dalla vera storia di Christiane Vera Felscherinow.


Nel corso del ciclo di vita l’individuo sperimenta momenti di continuità e cambiamento volti a  favorire il processo di costruzione dell’identità. Tale sviluppo avviene per stadi. Ogni stadio è caratterizzato da uno specifico compito evolutivo che potrà produrre un esito positivo o negativo, a seconda di come verrà gestito. Durante l’adolescenza l’identità inizia a stabilirsi nel momento di crisi normativa, caratterizzato solitamente da un certo grado di confusione che, una volta risolta, lascerà il posto all’identità nucleare definita (Erickson, 1982).

Adolescenza e trasgressione sono dunque intimamente legate: per crescere un adolescente deve sfidare e mettere in discussione le regole che gli adulti gli hanno insegnato; per poterle fare proprie, modificarle o rifiutarle. Le norme si configurano come abitudini impartite dai genitori sin dall’infanzia nel corso delle interazioni volte alla regolazione degli stati fisiologici di fame/sonno/attivazione/interazione (Stern, 1985). Con la crescita la regolazione dello stato fisiologico si estende all’area del comportamento sociale e l’adulto trasmette, a questo punto anche verbalmente, delle regole di condotta. In ogni sistema regolamentare, sono impliciti ideali e valori di appartenenza ad un gruppo sociale: l’etica.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un incremento del tasso di disagio nei minori di 18 anni, individuati come "a rischio psicosociale". L’età dei minori che presentano tali problematiche tende ad abbassarsi sempre di più. La trasgressività è una componente fondamentale dell’adolescenza; tuttavia la possibilità di differenziare tra la ricerca di affermazione della propria autonomia e identità, e il segnale di uno stato di disagio permette di capire come poter rispondere in modo utile a tali condotte. E' importante che i genitori siano sensibili rispetto ai segnali lanciati dai figli adolescenti. Adolescenti che presentano disturbi del comportamento hanno maggiore probabilità di incorrere in una serie di ulteriori difficoltà future.
Vengono definiti comportamenti a rischio, quelle condotte che vanno contro le norme, i valori ed i principi della comunità sociale di appartenenza e che sono indici di disadattamento (violenza a scuola, violenze sull’ambiente, uso di droga e spaccio, piccoli reati). 
Il termine rischio si riferisce quindi ad un insieme eterogeneo di comportamenti accomunati dalla loro valenza trasgressiva e possono distinguersi in ordine di gravità.

•Trasgressioni in generale
•Comportamenti aggressivi
•Violazione delle norme
•Abuso di sostanze e alcool
•Attività delinquenziali

Le caratteristiche psicologiche maggiormente legate alle condotte a rischio riguardano:

1)Aggressività, scarso autocontrollo, disturbi della condotta in età scolare e da comportamento delinquenziale, disturbo antisociale di personalità in adolescenza e in età adulta,
2)Insicurezza, ansia, isolamento sociale, bassa autostima nel periodo scolare; sintomi successivi di depressione, scarsa autostima in età adolescenziale ed adulta.

Le teorie psicoanalitiche hanno fornito una serie di possibili letture rispetto alle condotte a rischio: un inadeguato sviluppo dell’Io e Super-Io, in favore dell’Es; la ribellione verso l’autorità; il desiderio inconscio di punizione; l’aggressività legata alla paura e alla frustrazione. Per Winnicott (1984) il comportamento antisociale è il risultato di una carenza affettiva. L'adolescente mediante il comportamento a rischio mira con rabbia ad ottenere ciò che ritiene gli sia mancato, pertanto è un/a bambino/a deprivato che è diventato un/a ragazzo/a deviante in seguito all’esposizione ad un ambiente traumatico e privo di contenimento affettivo. Numerose ricerche hanno sottolineato la continuità evolutiva tra trauma, maltrattamento, disturbi psicopatologici e condotte violente, abuso di droga e alcool, come esito di un senso del Sé inaridito e frammentato.

Un fattore spesso presente nei soggetti a rischio è l’impulsività. Si tratta di una tendenza ad assumere forme pratiche di condotta in maniera incontrollata per difetto di capacità elaborativa e inibitoria. L'impulsività può essere determinata da fattori temperamentali, non necessariamente patologici, ma si manifesta in maniera spiccata quale sintomo di determinati quadri diagnostici: ADHD, disturbi della condotta, disturbi dell’umore, disturbi dell’alimentazione, dipendenze, epilessia, schizofrenia etc. L’impulsività può essere innescata da diversi meccanismi psicologici che riflettono il funzionamento mentale e l’organizzazione personologica del soggetto, nelle evenienze più frequenti esiste un offuscamento della coscienza o un disturbo della volontà, oppure una spinta affettiva particolarmente intensa.

Le caratteristiche psico-sociali dell’adolescente a rischio possono condurre anche a comportamenti a “limite”, dove vige la necessità di vivere al di là delle norme, quindi con un cattivo rapporto con l’autorità e un rifiuto per le regole. L’atteggiamento svalutativo che assumono questi adolescenti è sintomo di un’immagine di Sé negativa; incapacità di stabilire normali rapporti sociali, cariche aggressive dirette contro i vari componenti del nucleo familiare o contro se stessi, disagio esistenziale, radicale insofferenza nei confronti di sé e del mondo. Spesso ciò si rivela attraverso comportamenti auto-aggressivi, negli attacchi al corpo perpetrati tramite condotte anoressiche o bulimiche, all’integrità fisica e sociale minacciata da comportamenti a rischio, abuso di droghe e di velocità. Tale deficit dell’immagine di Sé, può incidere inoltre su una scarsa capacità progettuale, poiché è più facile identificarsi con ciò che “non si dovrebbe essere”, piuttosto che lottare per conquistare un sentimento di realtà in ruoli accettabili, ma “irraggiungibili con propri mezzi interiori”, conseguentemente avviene, come la chiama Erikson la “scelta di identità negativa”.

Le manifestazioni autoaggressive più allarmanti dell’adolescente riguardano il problema dei tentativi di suicidio, ma si osservano anche altre condotte autoaggressive quali: l'automutilazione impulsiva e gli equivalenti del suicidio. L'automutilazione impulsiva avviene in modo del tutto imprevedibile, dopo una crisi d’angoscia o di agitazione, il giovane attacca il corpo con maggiore o minore violenza. Gli equivalenti del suicidio riguardano quelle condotte nel corso delle quali la vita del soggetto è messa in pericolo dal punto di vista di un osservatore esterno, ma nel corso delle quali il soggetto nega il rischio che si è assunto. Esempi di equivalenti del suicidio sono gli incidenti in motorino o altri comportamenti di irresponsabilità verso la propria incolumità simili. 

L’adolescente usa la tendenza ad agire principalmente per autodefinirsi: elabora la propria realtà interna instabile e in continuo mutamento dinamico mediante una realizzazione concreta verso l’esterno. I comportamenti a rischio possono essere una risposta caratteristica che gli adolescenti mettono in atto rispetto ai compiti evolutivi. Tali comportamenti a rischio diventano allarmanti quando si configurano in un determinato quadro psichico, caratterizzato da rigidità e pervasività del comportamento reiterato.

Bibliografia:
Ammaniti, M. (2002), Manuale di psicopatologia dell’adolescenza. Raffaello Cortina Editore, Roma.
Erickson, E. (1982), I cicli della vita. Armando Editore, Roma 1984.
Marcelli, D., Bracconier, A. (1999), Adolescenza e psicopatologia. Masson, Parigi 1983.
Stern, D. (1985), Il mondo interpersonale del bambino. Bollati Boringhieri, Torino 1987.
Winnicott, D. (1984), Il bambino deprivato. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1986.

domenica 8 settembre 2013

Giornata Mondiale della Prevenzione del Suicidio: come valutare il rischio?


Il 10 settembre di ogni anno si terrà la Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio. Un evento internazionale contro lo stigma sul dolore mentale.
Lo slogan dell'evento è: 'La prevenzione del suicidio è possibile e riguarda tutti, anche te'. 

Fattori di rischio

Disturbi mentali, in particolare disturbi dell’umore, schizofrenia, ansia grave e alcuni disturbi di personalità
Alcol ed altri disturbi da abuso di sostanze
Hopelessness
Tendenze impulsive e/o aggressive
Storia di trauma ed abusi
Alcune patologie mediche gravi
Precedenti tentativi di suicidio
Storia familiare di suicidio
Perdita di lavoro o perdita finanziaria
Perdite relazionali o sociali
Facile accesso ad armi letali
Eventi locali di suicidio che possono indurre fenomeni di contagio
Mancanza di sostegno sociale e senso di isolamento
Stigma associato con necessità di aiuto
Ostacoli nell’accedere alle cure mediche, soprattutto relative alla salute mentale e all’abuso di sostanze
Alcune credenze culturali e religiose
L’essere esposti ad atti di suicidio, anche attraverso i mass media

Valutazione del rischio

Identificazione dei fattori che contribuiscono alla crisi
Condurre una valutazione psichica completa, identificando i fattori di rischio e fattori di protezione, distinguendo quelli modificabili e quelli non modificabili
Domandare direttamente sul suicidio
Determinare il livello di rischio: basso, medio, alto
Determinare un luogo e un piano terapeutico
Indagare l’ideazione suicidaria presente e passata così come gli intenti, gesti o comportamenti suicidari
Indagare sui metodi usati
Determinare il livello di hopelessness, anedonia, sintomi ansiosi, motivi per vivere, abuso di sostanze, ideazione omicida

Segnali d’allarme

Esprimere sentimenti suicidi o riferirsi al tema del suicidio
Disfarsi di cose di valore, sistemare affari in sospeso da tempo, fare un testamento

Segni di depressione

Umore triste, alterazione delle abitudini del sonno e dell’appetito
Cambiamento di comportamento (scarso rendimento scolastico o lavorativo)
Comportamento ad alto rischio (high-risk behavior)
Aumento del consumo di alcol o droghe
Perdita di interesse nell’aspetto esteriore
Isolamento sociale
Sviluppare un piano specifico per il suicidio
 
http://www.iasp.info/wspd/2013_wspd_banner.php


martedì 2 luglio 2013

Un caso di disturbo ossessivo-compulsivo - di Bernard Brandchaft.


Il trasloco di A. per arredarsi una casa propria minacciava di renderlo capace di tirarsi fuori dallo squallore al quale l'impegno con suo padre lo aveva condannato. 
Il "contratto", sul quale suo padre aveva contato, stava ora per essere rotto. Un nuovo legame con l'analista stava minacciando di spodestare il vecchio, e stava rendendo A. capace di ristabilirne di precedenti e sperare di liberarsi dalle opprimenti influenze che bloccavano il suo cammino.
Il processo di recupero della sua vita come cosa propria stava al tempo stesso attivando il pensiero arcaico inconscio secondo cui stava eliminando l'unica ragione di vita di suo padre.
Un violento sommovimento nelle profondità del mondo interiore di A. segnalò l'imminente rottura di un legame di attaccamento arcaico al quale A. era arrivato a sentire dipendere la propria sopravvivenza psicologica. 
I sintomi di estraneazione e l'avvicinamento ad uno "stato vegetativo" erano reazioni di paura ad una minaccia mortale che questo fondamentale cambiamento inconsciamente gli stava procurando. 
Metter piede in un mondo strano e alienante fatto da lui stesso fu per A. un'esperienza molto simile ad un salto nel vuoto.

A. un giovane funzionario di un azienda in analisi per 3 o 4 mesi, aveva una storia passata di grave dipendenza da droga che era culminata qualche anno prima in un'ospedalizzazione seguita da un episodio paranoico indotto dalla droga. 
A. era un bambino abbandonato a se stesso, il minore di tre, cresciuto in un'area urbana degradata del Mid-West da una madre lavoratrice che stava fuori tutto il giorno, e da un padre che aveva un'umile occupazione in un grande magazzino. Le discussioni tra i genitori culminavano frequentemente in eruzioni di collera vulcaniche e di terrificante violenza fisica. L'infanzia di A. fu caratterizzata da un'opprimente solitudine e abbandono. Lasciato con un fratello più grande, si sviluppò un'intensa rivalità che inevitabilmente condusse a una selvaggia ripetizione dei rapporti sadomasochistici dei loro genitori. Nell'esperienza infantile di A. ci fu poco spazio per il conforto, poichè secondo il resoconto di A., la fragilità e la vulnerabilità di sua madre all'offesa profonda, la lasciavano apparentemente priva della capacità di confortare perfino se stessa. Suo fratello condivideva la stanza con la madre, mentre A. dormiva in una stanza con il padre e divenne "tutto suo padre".
Il padre trovò nella qualità atletiche del figlio la sua sola fonte di orgoglio "preso in prestito", mentre i due trovavano riparo l'uno nell'altro in questo ambito privo di gioia. 
Il conforto che A. derivava dall'orgoglio del padre comportava dei costi pesanti, comunque poichè egli si sentiva spinto ad alimentarlo continuamente, sorpassando se stesso, non per qualche proposito che gli appartenesse distintamente, poichè non aveva potuto svilupparne alcuno, ma per mantenere lo spirito di suo padre a galla. In un sogno ricorrente, A. si trovava in una palestra, in un'ampia piscina che occupava completamente la stanza. La piscina non aveva bordi, l'acqua era raccolta all'interno di pareti di mattonelle luccicanti che si estendevano fino all'alto soffitto. A. nuotava furiosamente, e capiva che doveva continuare a nuotare per mantenersi in vita.
Il modello della più tarda sintomatologia ossessivo-compulsiva venne posto in questa infanzia solitaria dalle preoccupazioni rituali di A. che batteva senza fine una palla contro un muro o che lanciava monetine contro una linea finchè non ne poteva più. Qui spinto dal suo bisogno di superare sempre se stesso, cominciò i rituali di conteggio e il dubbio spietato, e la masturbazione che sopportava finchè non ce la faceva più. 
Nella sua infanzia, i suoi movimenti erano circoscritti da un insieme di proibizioni geografiche e dalle sanzioni che compulsivamente si infliggeva qualora avesse violato qualcuna di queste regole. Il comportamento ritualizzato continuò a invadere la sua vita successiva, sempre per salvaguardarsi da qualche minaccia mortale alla sua esistenza. Una preoccupazione ossessiva, per ciò che aveva fatto o mancato di fare, innescava interminabili rituali di conteggio ed un rimuginare senza fine su soldi, peso, dati (che aveva e non aveva), e conduceva a stati di presentimento infausto sulla sua sopravvivenza. 
A. cercò presto conforto nella masturbazione dai terrori delle battaglie con suo fratello, dalla sua anticipazione delle sgridate di sua madre, o proprio dalla mancanza di senso dell'esistenza. Avendo scoperto che la fonte di un certo piacevole sollievo, era incapace di liberarsi da una terrificante convinzione dell'onniscente presenza di sua madre e dall'anticipazione delle sue critiche distruttive. Questo circuito interiore si stabilì come un carattere permanente della sua esperienza di sé, tormentata dalla paura, e il suo impatto veniva intensificato ogni qualvolta ella gli assicurasse causticamente in qualunque contesto, che lei sapeva "per cosa si era alzato", o riguardo a cosa egli "pensava di averla fatta franca". Il modello era strutturato in questo modo perchè il dubbio tormentoso  e l'autocondanna assalissero interi segmenti dell'esperienza interiore di A. Ogni sua personale attività piacevole presto cominciò a tormentarlo, per finire inevitabilmente in "un diluvio sempre crescente di indecisione, perdita di energia e limitazione della libertà" (Freud), ed infine in un'orgia di autopunzecchiamenti e auto-disprezzo. Dal momento che questo ciclo non imprigionò la sua sessualità, condusse ad un esaurimento privo di piacere, e pose le premesse per la successiva tossicodipendenza.
Man mano che l'analisi procedeva, A. cautamente descrisse uno schema di comportamento rituale. A tarda notte avrebbe trovato delle prostitute e si sarebbe abbandonato a messe in scena di sculacciamenti e percosse. Questi desideri si erano rivelati tanto irresistibili per lui, nonostante i pericoli a cui lo esponevano, quanto egli sentiva i suoi continui bisogni di masturbazione. Uno schema significativo emerse quando A. cercò di capire il suo comportamento. Aveva imparato che doveva tenere sua madre a distanza se voleva evitare la sua opprimente influenza. Il conforto transitorio che provava nell'evitare o nell'interrompere i contatti con lei, veniva continuamente eroso, e diventò chiaro che le messe in scena stavano diventando gli unici mezzi attraverso i quali poteva metter termine alla sua preoccupazione ruminativa che sempre sembrava seguire le loro conversazioni.
La "cura" che poteva ottenere quando era capace di districarsi, prestare attenzione a ciò che la connessione con lei gli stava facendo, e creare uno spazio per se stesso, conduceva sempre ad un riemergere del disagio nel quale la sua attenzione era completamente assorbita da una spaventevole preoccupazione per ciò che il suo ricorrere al suo proprio centro interiore le stava facendo. Secondo lui, le sgridate e le espressioni ferite di sua madre gli cadevano addosso come un rimprovero in codice, e il tentativo di A. di liberarsi da un legame nocivo era incessantemente seguito da immagini autolaceranti di se stesso come inescusabilmente crudele e ingrato.
Queste interazioni lo facevano sempre sentire desolato e malevolo. In una spirale in caduta sarebbe diventato ossessionato dai suoi desideri erotici e, spinto da ciò, avrebbe trovato una prostituta inesperta e l'avrebbe condotta nel suo appartamento. Una volta lì, egli l'avrebbe incoraggiata a confidarsi con lui come un padre affettuoso, l'avrebbe confortata e consolata. Questo comportamento era finalizzato a rispondere alla spinta anti-piacere che lo accompagnava, secondo cui egli era soltanto egoisticamente interessato al suo piacere e non si preoccupava di nient'altro. Svolti questi preliminari, A. avrebbe confessato di essere stato "cattivo", e che il processo punitivo sarebbe culminato nel rituale dello sculacciamento. 
Via via che la relazione di A. con sua madre venne ad occupare il centro dell'analisi, i suoi sogni rifletterono la permanente esperienza che aveva di lei, una donna i cui lamenti e imprecazioni cadevano su di lui come colpi di frusta. In un sogno, dava ordine ai suoi servi di batterlo. 
Nella sua infanzia, il fratello di A. aveva scoperto che si poteva ingraziare la loro madre che incitava A. a lamentarsi di lei in modo irriverente e poi a picchiarlo. La sera, il fratello avrebbe raccontato queste vicende. Se A. cercava di spiegarsi o di trovare comprensione, lei rispondeva causticamente, "Non ti lamentare con me, te lo sei voluto!". Il suo sogno aveva fatto seguito ad una lettera di rimprovero di lei alla quale si era rifiutato di rispondere.
Successivamente A. divenne - con terrore - consapevole di quanto rigorosamente avesse replicato il modello di precoce abbandono nella sua cura di se stesso. Il suo appartamento rimase tanto nudo e austero quanto la casa della sua infanzia. La sua decisione di arredare l'appartamento condusse ad una raffica di dubbi ossessivi, così mise la cosa nelle mani di un arredatore, ma si sentì spinto a metter fine alla consultazione quando fu sopraffatto dal panico mentre stavano discutendo insieme i progetti. Egli era solo, un periodo di nera disperazione e "la più assoluta solitudine" che avesse mai provato si abbatterono su di lui. Era tutto ciò che poteva fare per resistere ad un rinnovato bisogno di cocaina causato dalla sua paura. Cominciarono degli intervalli di sollievo ed osservò che potevano placare un pò i sentimenti di morte che aveva cominciato a sviluppare, ma per le successive ventiquattro ore non riuscì a trattenere alcun cibo o liquido, e questo aumentò la sua paura. Il giorno dopo era in pessime condizioni e disse che aveva fatto fatica a rispettare il suo appuntamento analitico. Parlò di onde di intollerabile "solitudine" e di aver dovuto combattere contro desideri strapotenti solo per "raggomitolarsi e giacere nel letto e vegetare". Sentiva di essere in pericolo di vita e stava prendendo in considerazione l'idea di farsi visitare in una istituzione psichiatrica. 
Venne fuori che A. aveva concluso che l'analista si sarebbe sbarazzato di lui perchè troppo disturbato per un'analisi, e lo avrebbe dirottato verso una cura istituzionale e verso la farmacologia, e questa anticipazione aveva contribuito al suo panico e disperazione. Quando queste paure vennero portate alla superficie e analizzate nelle sedute immediatamente successive, A. finì per sentirsi più sicuro nella sua considerazione che l'analista non sembrava ritenere il disturbo di A. fosse una ragione per sbarazzarsi di lui, ma piuttosto una per un più profondo esame analitico. 
Quando l'agitazione di A. si calmò, fu capace di riconoscere che l'impulso che aveva scatenato la violenta reazione era stato un crescente sentimento di eccitazione alla prospettiva di liberarsi di modi radicati di essere auto-punitivo. Consapevole della peculiarità della successione mentale all'interno della quale un'intenzione apparentemente innocua poteva affrettare una tale irresistibile caos, A. divenne più riflessivo, e ricordò un sogno "notevole" e spaventoso, avuto dopo essersi infine addormentato nella notte fatale.
"Ero in un campo vicino a una palestra. Guardavo verso l'alto e con mio spavento c'era l'aereoplano che stava rapidamente perdendo quota; fui preso da una sensazione di nausea (si stava ricordando dei conati che lo avevano colto il giorno prima) quando vidi l'aereo fuori controllo e ad un passo dallo schiantarsi a terra. Ci fu un sonoro boato quando precipitò e poi ogni cosa fu avvolta dalle fiamme. Mi sentivo malissimo e desideravo nascondermi".
Le associazioni di A. prima si diressero verso la sua incertezza su se c'era lui o suo padre all'interno dell'aereo, prima di convincersi che c'era suo padre, ora morto. Ricordò il disprezzo di sua madre per la mancanza di successo di suo padre. I copiosi elogi che suo padre gli rivolgeva erano spesso costellati di riflessioni depressive e di resoconti auto-denigratori della sua incapacità di avvantaggiarsi dalle occasioni che gli erano passate accanto. Ricordò che il senso di sè di suo padre sembrò sbriciolarsi quando si rese conto che ciò che A. poteva diventare era al tempo stesso una deprimente dimostrazione di ciò che egli, il padre, era stato incapace di essere, e poteva alla fine allontanare A. da lui. Egli ricordò il tentativo di combattere l'auto-denigrazione depressiva di suo padre con dichiarazioni per cui egli era, e sarebbe sempre stato, indispensabile per A., per cui A. non sarebbe stato capace di vivere senza suo padre. I ricordi tornarono ai sogni del loro glorioso futuro insieme, che avrebbe cambiato le loro vite dal disastro al dolce trionfo. Ed A. divenne progressivamente consapevole del suo pensiero per cui l'espansivo amore di suo padre era stato suo solo alla condizione che egli non avesse permesso a se stesso alcuna relazione la cui influenza su di lui avesse superato quella di suo padre, nè avesse preso fiducia nella capacità di trovare la propria strada senza la direzione di suo padre.
Il trasloco di A. per arredarsi una casa propria minacciava di renderlo capace di tirarsi fuori dallo squallore al quale l'impegno con suo padre lo aveva condannato. Il "contratto", sul quale suo padre aveva contato, stava ora per essere rotto. Un nuovo legame con l'analista stava minacciando di spodestare il vecchio, e stava rendendo A. capace di ristabilirne di precedenti e sperare di liberarsi dalle opprimenti influenze che bloccavano il suo cammino. Il processo di recupero della sua vita come cosa propria stava al tempo stesso attivando il pensiero arcaico inconscio secondo cui stava eliminando l'unica ragione di vita di suo padre. Un violento sommovimento nelle profondità del mondo interiore di A. segnalò l'imminente rottura di un legame di attaccamento arcaico al quale A. era arrivato a sentire dipendere la propria sopravvivenza psicologica. I sintomi di estraneazione e l'avvicinamento ad uno "stato vegetativo" erano reazioni di paura ad una minaccia mortale che questo fondamentale cambiamento inconsciamente gli stava procurando.
Metter piede in un mondo strano e alienante fatto da lui stesso fu per A. un'esperienza molto simile ad un salto nel vuoto.

R. Stolorow, B. Brandchaft, G. Atwood, (1999) Psicopatologia intersoggettiva. Quattroventi

Post più popolare

DSM-5: cosa è cambiato nella diagnosi?

I sistemi diagnostici in psichiatria sono basati sull'osservazione della presenza o assenza e della frequenza d...

Post più letti