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lunedì 31 agosto 2020

Disturbi alimentari: origine e elaborazione della metafora del sintomo in psicoterapia

 

 Dalla pagina Instagram: @disturbialimentari_mentecorpo

L'organizzazione psicofisiologica, é estremamente influenzata dalla regolazione degli affetti (Beebe et al., 1992; Beebe, Lachmann, Jaffe, 1997), e ha un enorme impatto sulla nostra vita a più livelli. Alcuni studi longitudinali sulle rappresentazioni materne in gravidanza hanno dimostrato che é possibile anticipare eventuali esiti psicopatologici sin dalle prime battute, ovverosia già dal rapporto rappresentazionale che la madre stabilisce con il bambino quando é ancora in utero. Il modo in cui bambino viene pensato, infatti, avrà già una prima influenza sul successivo rapporto reale. Altrettanto dopo la nascita, le primissime interazioni possono essere altamente informative rispetto agli esiti adulti. Una madre responsiva e sensibile ai bisogni del bambino sarà in grado di fornirgli aspettative positive sulla possibilità di essere amato e accolto in senso ampio nei suoi bisogni. Nel corso dei primi mesi la psiche si forgia attraverso l'accudimento e il soddisfacimento dei bisogni fisiologici. La gestione dell'alimentazione, dalle poppate al passaggio all'alimentazione solida é un paradigma essenziale di osservazione per la comprensione di come la psiche del bambino potrà insediarsi nel corpo. Il contenimento materno dei bisogni e il rispecchiamento del bambino come essere umano individuale determinerà in maniera decisiva il modo in cui il bambino organizzerà se stesso a livello psicologico nel mondo da adulto (Winnicott, 1945, 1965, 1971). Si può affermare dunque che i disturbi dell'alimentazione molto spesso hanno la loro origine esattamente qui, ovverosia nei modi in cui da neonati abbiamo appreso ad organizzarci rispetto ai bisogni fisiologici e all'ambiente dal caregiver di riferimento.

Diversi studi (Pignatelli et al. 2016) hanno confermato la prevalenza di un vissuto di trascuratezza infantile legato a un esito DCA in età adulta. La trascuratezza o negligenza si manifesta spesso in maniera meno evidente rispetto agli abusi ma può avere esiti cumulativi devastanti principalmente per lo sviluppo dell'identità nucleare, un tema strettamente inerente ai disturbi alimentari: dove c'è il sintomo alimentare possiamo trovare anche una descrizione della personalità e della sua formazione, il più delle volte unica e peculiare cioè che riflette la storia psicologica personale dell'individuo. "Per alcuni è addirittura sconosciuta persino l'esistenza di figure che accudiscano e aiutino; per altri è stato costantemente incerto il luogo dove tali figure potessero trovarsi. Per molti di più la probabilità che una figura che li accudiva reagisse aiutandoli è stata nella migliore delle ipotesi incerta, e nella peggiore nulla. Non vi è da sorprendersi se questi individui, una volta diventati adulti non credono alla possibilità che esista mai una figura veramente disponibile e fidata che si curi di loro. Ai loro occhi il mondo appare sconsolato e imprevedibile; ed essi reagiscono evitandolo e lottando contro di esso" (Bowlby 1973, La separazione dalla madre). I bambini trascurati sopravvivono come adulti con un senso di identità, valore di sè e senso di sicurezza fragile.

Non si tratta solo del cibo: poiché i Disturbi del Comportamento Alimentare sono una malattia psicologica, essi si innescano in un ambiente che favorisce l'instabilità emotiva e ne costituisce una metafora (simbolo). Ecco perché spesso risulta  fallimentare la decisione di semplicemente "smettere" (qualsiasi siano i sintomi); ciò di cui c'è bisogno è curare l'aspetto  emotivo, vale a dire le emozioni non regolate alla base di tutta la manipolazione del cibo. Questa è la prima e più importante cosa da sapere e ricordare sui disturbi alimentari per capire cosa sta succedendo e perché non si riesce a controllarlo. Spesso si cercano soluzioni rapide o semplicemente un nuovo piano dietetico. La psicoterapia aiuta a sciogliere i nodi degli stretti meccanismi di coping che sono stati costruiti emotivamente dal momento dell'insorgenza del disturbo intorno alle proprie metafore. Non esistono infatti soluzioni rapide per i disturbi alimentari, come d'altra parte per tutti gli altri tipi di disturbo psicologico. L'unica fretta che si dovrebbe avere è quella di imparare nuove modalità più salutari di gestire e quindi regolare le emozioni. Questa é possibilità sempre presente in una relazione terapeutica sicura.

Le complicanze fisiche più frequentemente associate ai disturbi alimentari sono quelle cardiovascolari, gastrointestinali e muscolo-scheletrico. Proprio poiché una delle caratteristiche più importanti dei DCA riguarda la scissione mente corpo, il sintomo psicologico viene gestito ed espresso attraverso il soma. Spesso insieme alla dismorfofobia, é presente una scarsa capacità di prendersi cura di sè in senso ampio (spesso associata al neglect infantile), con rigidità e inflessibilità nel giudizio negativo su di sè. I sintomi fisici dunque risultano paradossalmente come subordinati alla sofferenza e al dolore psicologico che in quel momento occupano la vita dell'individuo nella sua interezza, come uno schermo che la attraversa e che prende tutto lo spazio del pensiero. La vita verrà organizzata intorno alla gestione del sintomo perché il sintomo é anche un modo di distrarsi dal dolore e ne costituisce un simbolo. Le complicanze fisiche che si aggravano con il progredire del disturbo vengono poi perlopiù sottovalutate perché il sintomo é funzionale al mantenimento di un equilibrio generale e si inquadrano nell'ambito di una mancanza di cure generalizzata per cui quasi diventano "l'ultimo dei problemi". Per questo motivo insieme al supporto medico é indispensabile una figura psicoterapeutica di riferimento, che spesso potrà coordinarsi in un lavoro congiunto con il nutrizionista e le altre figure che si occupano di stabilizzare la salute del paziente. La richiesta di aiuto é fondamentale ed è il primo modo della persona per interrompere il meccanismo di base di gestione problematica della sofferenza. È il modo sano, diverso di poter dire: "Io mi prendo cura di me oggi, oggi mi prendo cura di me davvero, faccio qualcosa per me e non contro di me".

Le nostre emozioni sono parte integrante del comportamento alimentare. Da sempre il cibo é associato all'idea del conforto e della cura. Quando questi elementi mancano nella nostra vita, il bisogno affettivo può essere esternalizzato in una concretizzazione mediante il cibo del simbolo originario (quello che manca). In questo senso simbolo e metafora sono particolarmente pregnanti per i disturbi alimentari. L'organizzazione del sintomo infatti sarà strettamente correlata al vissuto personale di mancanza. Attorno alla mancanza ci si potrà organizzare con un rifiuto, una protesta, una ribellione, una domanda, una sfida. In linea generale la battaglia del sintomo vuole essere giocata in un rapporto ma finisce per diventare un discorso solitario che ammala la persona. Per questo motivo é necessario un rapporto terapeutico tale che fornendo una lente nuova per osservare insieme il sintomo possa abbracciare e riformulare i significati personali che si stanno mettendo in gioco e che rimangono incastrati nella loro ripetizione. Rispetto al sintomo infatti non é sufficiente una comprensione razionale, la terapia deve agire come una goccia che scava nella pietra delle convinzioni acquisite nelle relazioni passate in tutti gli anni trascorsi, e ripetute nel presente da relazioni traumatiche o che ripetono adattamenti disfunzionali
 
La guarigione avviene nell'ambito relazionale (si sperimenta, non si capisce). La comprensione razionale dura il tempo di questa lettura. La comprensione emotiva modifica le azioni e lo stile di vita perché ha cambiato il modo in cui ci sentiamo con gli altri (le azioni sono diverse perché é cambiato il sentimento e di conseguenza il pensiero, non viceversa). Il sintomo alimentare invece é vissuto tutto in solitudine. La mente isolata é una mente solitamente affaticata, stanca, che tende ad ammalarsi di impoverimento (la fame controllata, gestita, o incontrollabile, su cui ci si ossessiona è data dal vuoto e ciò che sta a indicare) e governa in questa maniera il cibo, così come le relazioni interpersonali.


martedì 29 marzo 2016

Un artista del digiuno (Kafka, 1922)




La gabbia 
In questi ultimi decenni l’interesse pei digiunatori è molto diminuito. Mentre prima meritava metter su spettacoli di questo genere per proprio conto, oggi sarebbe assolutamente impossibile. Erano altri tempi quelli. 
Tutta la città si occupava allora del digiunatore; a ogni giorno di digiuno aumentava l’interesse del pubblico; tutti volevano vedere il digiunatore, almeno una volta al giorno; e negli ultimi giorni c’erano perfino degli abbonati che sedevano intere giornate davanti alla sua piccola gabbia; anche di notte avevano luogo delle visite alla luce delle fiaccole, per aumentare l’effetto; quando il tempo era bello la gabbia veniva trasportata all’aperto, e allora erano specialmente i bambini a cui veniva mostrato il digiunatore; mentre per gli adulti costituiva spesso solo uno spasso, a cui si partecipava perché era di moda, i bimbi lo guardavano ammirati a bocca aperta, tenendosi per precauzione per la mano, mentre egli, pallido, nella sua maglia nera, con le costole esageratamente sporgenti, sdegnando perfino una poltrona, se ne stava seduto sopra paglia sparsa qua e là, facendo a volte un cenno cortese con la testa, a volte rispondendo alle domande con un sorriso sforzato o allungando un braccio attraverso le sbarre per far palpare la sua magrezza; e finiva poi per sprofondarsi in se stesso senza occuparsi più di nessuno, neppure del battito dell’orologio – così importante per lui unico mobile della sua gabbia, per guardare fissamente cogli occhi semichiusi dinanzi a sé, succhiando di quando in quando un sorso d’acqua da un minuscolo bicchierino, per inumidirsi le labbra. 

Gli spettatori del digiunatore secondo il fumettista Crumb)

Oltre agli spettatori consueti e mutevoli c’erano anche dei guardiani fissi, scelti dal pubblico, che per una strana coincidenza eran di solito macellai e, sempre a tre per volta, avevan il compito di sorvegliare il digiunatore giorno e notte, perché, clandestinamente, non riuscisse a nutrirsi in qualche modo. Ma era solo una formalità, adottata per tranquillità della folla, poiché gli iniziati sapevano bene che il digiunatore, durante il periodo, non avrebbe toccato nessuna qualità di cibo, a nessun costo, neppure se vi fosse stato costretto; lo impediva il rispetto verso la sua arte. 
Ma naturalmente, non tutti i guardiani potevano intendere ciò; a volte si formavano dei gruppi di sorveglianti notturni che compivano il loro dovere molto superficialmente, si ritiravano di proposito in un cantuccio lontano, per darsi tutti a giuocar a carte, con l’intenzione evidente di dare al digiunatore il modo di fare un piccolo spuntino che, a loro parere, avrebbe potuto consumare ricorrendo a qualche segreta riserva. 

Per il digiunatore nulla era più penoso di questi guardiani; lo facevano diventare melanconico, gli rendevano terribilmente difficile il digiuno; a volte riusciva a vincere la sua debolezza e cantava durante la veglia finché aveva fiato, per mostrar a quella gente quanto ingiustamente sospettavano di lui, ma serviva a poco, perché quelli invece lo ammiravano per la sua abilità di mangiare perfino mentre cantava. Preferiva di molto quei guardiani che si sedevano proprio vicino alla gabbia e, non contenti della fioca illuminazione notturna della sala, lo illuminavano con lampadine elettriche tascabili, che l’impresario metteva a loro disposizione. 
Quella luce cruda non lo disturbava per nulla; tanto, dormire non poteva, mentre gli riusciva di appisolarsi un poco sempre, con qualsiasi illuminazione e a qualsiasi ora, anche se la sala era piena di gente e di fracasso; egli era dispostissimo a passare la notte con quei guardiani senza dormire mai; era pronto a scherzare con loro, a raccontare loro qualche storia della sua vita errante, ad ascoltare a sua volta i loro racconti, e tutto soltanto per tenerli svegli, per convincerli continuamente che non c’era nulla da mangiare nella gabbia e che egli digiunava come nessuno di loro avrebbe potuto fare. La sua felicità toccava il colmo, però, quando faceva giorno e, a sue spese, veniva portata loro un’abbondantissima colazione, su cui si gettavano con l’appetito proprio delle persone sane dopo una faticosa veglia notturna. 




C’era, è vero, della gente che vedeva in questa colazione una scandalosa circonvenzione dei guardiani da parte sua, ma era un andar troppo oltre, e quando si chiedeva a quelle persone, se fossero disposte ad assumersi la veglia notturna senza colazione, per andare in fondo alla cosa, si dileguavano, pur restando fedeli ai loro sospetti. Questo d’altronde faceva parte di quei sospetti che circondavano comunque l’arte del digiuno. Nessuno infatti, era in condizione di passar tutti quei giorni e quelle notti ininterrottamente come guardiano accanto al digiunatore, e nessuno dunque poteva sapere, per propria esperienza, se il digiuno veniva osservato davvero senza interruzioni, in maniera assoluta; solo il digiunatore in persona era in grado di saperlo e di essere così anche lo spettatore pienamente soddisfatto del suo digiuno.
Egli invece non era soddisfatto mai, per un’altra ragione: forse non era dimagrito per il digiuno tantoché alcune persone, pur dolenti, erano costrette a rinunciare a quello spettacolo perché non sopportavano la sua vista ma piuttosto perché non era soddisfatto di sé. Egli solo sapeva e nessuno iniziato lo sospettava quanto fosse facile il digiunare. Era la cosa più facile del mondo. Non lo nascondeva neanche, ma non gli si prestava fede e, nel migliore dei casi, lo si riteneva modesto, più spesso avido di pubblicità o addirittura un imbroglione, a cui il digiunare certo era facile, perché sapeva renderselo tale, e aveva anche la faccia tosta di lasciarlo intendere. Tutto questo ormai l’aveva dovuto sopportare, e nel corso degli anni ci s’era perfino abituato, ma nell’intimo questo malcontento lo rodeva sempre, tant’è vero che mai, dopo nessun periodo di digiuno questa testimonianza non gli si poteva negare aveva lasciato la gabbia spontaneamente. Come termine massimo del digiuno l’impresario aveva fissato quaranta giorni, non gli permetteva di superare mai quel limite, neppure nelle metropoli ... e non senza ragione. L’esperienza insegnava che sino a quaranta giorni si poteva aumentare gradatamente l’attenzione di una città con una pubblicità sempre più intensa; più a lungo il pubblico non rispondeva più; si notava una sensibile diminuzione dell’affluenza; c’era naturalmente qualche divario, sotto quest’aspetto, tra un paese, tra una città e l’altra, ma la regola era che quaranta giorni costituissero il limite massimo. 


Il quarantesimo giorno la porta della gabbia inghirlandata veniva aperta, una folla di spettatori entusiasmati gremiva l’anfiteatro, una banda militare suonava, due medici entravano nella gabbia per fare le misurazioni di rito al digiunatore, con un megafono venivano diffusi tra la gente i risultati dell’esame medico, e finalmente arrivavano due giovani signore, felici di esser state designate dalla sorte, per aiutare il digiunatore a uscire dalla gabbia, scendere due scalini e arrivare sino al tavolino ove era imbandito un pranzo da malati, preparato con cura. A questo punto il digiunatore si ribellava sempre. Porgeva di buon grado, sì, le braccia scheletriche alle signore chine su di lui, che gli tendevano le mani pronte per aiutarlo, ma non si voleva alzare. 
Il circo rappresentato da Juan Esplandiu

Perché smettere il digiuno proprio ora, dopo quaranta giorni? Avrebbe resistito ancora a lungo per un tempo illimitato; perché farlo smettere proprio ora ch’era nel punto culminante del digiuno, anzi non c’era ancora arrivato? Perché defraudarlo della gloria di continuare ancora a digiunare, di diventare non solo il più grande digiunatore di tutti i tempi questo, forse, lo era già ma di superare perfino se stesso sino a un punto incredibile, perché sentiva che le sue possibilità di digiunare erano addirittura illimitate? Perché quella folla che dimostrava di ammirarlo tanto, aveva tanta poca pazienza con lui? Se resisteva lui a digiunare ancora, perché non voleva resister lei? E levava lo sguardo verso gli occhi di quelle signore, apparentemente così gentili, in realtà così crudeli, scuotendo la testa troppo pesante per il suo debole collo. E poi era stanco, se ne stava bene lì nella paglia e doveva invece rizzarsi in tutta la sua lunghezza, per andare verso quel cibo, il cui solo pensiero gli procurava una nausea, che solo per riguardo alle signore cercava faticosamente di soffocare. Ma poi avveniva quel che capitava sempre. Interveniva l’impresario e senza dir una parola – la musica non permetteva di scambiarne neppure due levava le braccia sul digiunatore, come se invitasse il cielo a guardare una buona volta sulla paglia la sua opera, quel povero martire e questo il digiunatore lo era, ma in tutt’altro senso, - afferrava il poveretto per la esile vita, facendo credere, con un eccesso di precauzione, di aver a che fare con un oggetto molto fragile, per consegnarlo poi non senza averlo di nascosto scosso un poco, facendogli così oscillare in qua e in là senza controllo le gambe e il busto alle signore, che erano intanto mortalmente impallidite. 


Da quel momento il digiunatore tollerava tutto; la testa pendeva sul petto, come se fosse rotolata lì per caso, fermandosi per una qualche ragione inspiegabile; il corpo era tutto incavato; le gambe con le ginocchia serrate per istinto di conservazione, raspavano il suolo come se non fosse quello vero, ma lo stessero, a quel modo, soltanto cercando; e tutto il peso, per quanto modesto del suo corpo, gravava sopra una delle signore, che, cercando aiuto intorno e tutta ansimante – non s’era certo immaginata così quell’incarico onorifico – prima allungava il collo quanto era possibile, per preservare il viso dal contatto col digiunatore, ma poi, vedendo che non ci riusciva e che la sua più fortunata collega, non le veniva in soccorso, ma si contentava di reggere tremando davanti a sé la mano del digiunatore un mucchietto d’ossa – scoppiava in lacrime tra le risate di soddisfazione della sala, per venir subito sostituita da un inserviente pronto già da tempo. Poi veniva il pasto, di cui l’impresario faceva ingerire qualche boccone al digiunatore caduto in un dormiveglia simile a un deliquio, mentre parlava allegramente, per distrarre l’attenzione del pubblico dallo stato pietoso in cui il poveretto si trovava; poi veniva ancora un brindisi al pubblico e l’impresario dava a intendere che glielo aveva sussurrato il digiunatore stesso; la banda sottolineava tutto con una rumorosa fanfara finale, la folla si disperdeva e nessuno aveva più diritto di essere scontento dello spettacolo, tranne il digiunatore, lui soltanto sempre. 


Così aveva vissuto per molti anni con brevi e regolari intervalli di riposo, in mezzo a un apparente benessere, rispettato dal mondo, eppur quasi sempre immerso in una cupa malinconia, che diveniva sempre più cupa perché nessuno riusciva a prenderla sul serio. 
E come, d’altronde, consolarlo? Che poteva ancora desiderare? E se per caso capitava una volta una persona di buon cuore, che lo compativa e gli voleva spiegare come quella malinconia probabilmente venisse dal digiuno, poteva anche accadere, specie quando il digiuno era già molto lungo, che il digiunatore rispondesse con un impeto di furore e, tra lo spavento di tutti, si mettesse a scuotere le sbarre della gabbia come una bestia. 
Ma in casi simili l’impresario ricorreva a una punizione, che usava di preferenza. Scusava il digiunatore dinanzi al pubblico radunato, ammetteva che si poteva perdonare il contegno del digiunatore solo pensando a un’irascibilità, provocata dalla fame, e solo difficilmente immaginabile da chi era sazio; veniva poi, come di conseguenza, a parlare, per spiegarla nello stesso senso, dell’asserzione del digiunatore di poter prolungare il digiuno molto più di quel che già non facesse; lodava il nobile intento, la buona volontà, la grande abnegazione, contenuti certo anche in questa asserzione; ma tentava poi subito di svalutarla mostrando semplicemente delle fotografie, subito messe in vendita, in cui si vedeva il digiunatore giunto al quarantesimo giorno, in un letto, quasi esausto dalla debolezza. 

L'impresario

Questa maniera di storcere la verità, per quanto ben nota al digiunatore, riusciva pur sempre a snervarlo ogni volta ed era veramente troppo per lui. Quello che era la conseguenza di un’anticipata fine del digiuno, veniva presentata qui come la causa! Era impossibile lottare contro una simile incomprensione, contro questa universale incomprensione. Ogni volta era rimasto ad ascoltare ansiosamente e fiducioso, attaccato alle sbarre, l’impresario, ma quando comparivano le fotografie, abbandonava ogni volta la gabbia per ricadere con un sospiro sulla paglia, mente il pubblico tranquillizzato poteva riavvicinarsi e guardarlo. 

I testimoni di queste scene, quando ci ripensavano qualche anno dopo, non riuscivano quasi più a comprender sè stessi, perché nel frattempo era intervenuto quel mutamento cui s’è già accennato; ed era sopraggiunto quasi d’improvviso; ci sarà stata certo qualche ragione profonda; ma chi si prendeva la briga di andar a cercarla? Comunque un bel giorno il digiunatore, così viziato dal pubblico, si vide abbandonato dalla folla desiderosa di divertirsi, che affluiva ormai ad altri spettacoli. 
Un’ultima volta l’impresario se lo trascinò dietro in fretta per mezza Europa, per vedere se qua e là non rispuntasse l’antico entusiasmo; ma tutto fu vano; come per una segreta intesa si era destata una vera avversione per il digiuno come spettacolo. 
Naturalmente questo fenomeno non s’era potuto verificare in realtà da un momento all’altro e ora tornavano in mente, in ritardo, alcuni segni precursori di cui, a suo tempo, nell’ebbrezza del successo, non s’era tenuto abbastanza conto, né sufficientemente ostacolata l’apparizione; ma era troppo tardi ormai per combatterli in qualche modo. Era bensì certo che sarebbe tornato un giorno l’ora fortunata del digiuno, ma non era sufficiente conforto per quelli che vivevano allora. 
Cosa doveva fare il digiunatore? Uno, che s’era visto acclamare da migliaia di persone, non poteva esibirsi nei baracconi delle piccole fiere di campagna; per mettersi a fare un altro mestiere il digiunatore non solo era troppo vecchio, ma soprattutto troppo fanaticamente attaccato alla sua arte. Così egli congedò l’impresario, compagno di una carriera senza pari, e subito si fece scritturare da un gran circo; per riguardo alla sua suscettibilità non volle neppure vedere le clausole del contratto. 


Un gran circo con quella marea di persone, di animali e di arnesi, che si equilibrano e si completano l’un con l’altro, può sempre utilizzare chicchessia, in qualunque momento, anche un digiunatore, naturalmente purché abbia pretese relativamente modeste; inoltre, in questo caso particolare, non era soltanto lui a essere scritturato, ma anche il suo nome da tempo ormai celebre; anzi per la singolarità di quest’arte, che con l’aumentare degli anni non soffriva diminuzioni, non si poteva neanche dire che in questo caso un artista ormai invecchiato, non più nel pieno splendore dei suoi mezzi, si fosse rifugiato nel tranquillo impiego di un circo, ché anzi il digiunatore assicurava, e gli si poteva credere, che avrebbe continuato a digiunare come prima; affermava persino che, se lo lasciavano fare – e gli fu promesso senz’altro – avrebbe proprio ora stupito il mondo e con ragione; un’asserzione, questa, che, considerando l’umore del tempo – e il digiunatore nel suo entusiasmo se ne dimenticava facilmente suscitava nella gente del mestiere solo un sorriso. 


In fondo anche il digiunatore s’era reso conto del reale stato delle cose e considerò quindi naturale che non lo si mettesse con la sua gabbia nel mezzo della pista, come un numero sensazionale, ma fuori, in un posto del resto comodamente accessibile, in vicinanza delle stalle. Grandi cartelli variopinti incorniciavano la gabbia, spiegando al pubblico cosa c’era da vedere in quel luogo. Quando, durante le pause dello spettacolo, la gente s’affollava verso le stalle per vedere le bestie, era quasi inevitabile che passasse davanti al digiunatore e si soffermasse un attimo davanti a lui; forse c’era chi si sarebbe trattenuto ancora più a lungo se non ci fossero stati, nello stretto corridoio, quelli che venivano dietro e non comprendevano la ragione di quell’indugio sulla via che portava alle ambite stalle, rendendo così impossibile una visita più prolungata e pacata. Questa era anche la ragione per cui il digiunatore tremava al pensiero di queste ore di visita, di cui pure era ansioso come dello scopo della sua vita. Nei primi tempi non vedeva l’ora che queste pause dello spettacolo arrivassero; la vista di quella massa ondeggiante di gente, che s’avvicinava, l’aveva incantato, sinché non s’era presto convinto – anche la più tenace, quasi consapevole illusione non aveva resistito all’esperienza – che intenzionalmente erano tutti, senza eccezione, dei visitatori delle stalle. Lo spettacolo della gente che s’avvicinava da lontano, rimase la sensazione migliore, perché appena era giunta vicino a lui, egli veniva come sopraffatto dal gridìo e dalle dispute di due gruppi che si formavano di continuo: uno di coloro, che volevano guardarselo comodamente e presto divenne per il digiunatore il gruppo più sgradito ma non per una vera comprensione, bensì per capriccio e puntiglio; e un altro di coloro, che prima di tutto volevan giungere alle stalle. 

Passato il grosso del pubblico, venivano poi i ritardatari e proprio questi, cui nessuno impediva di fermarsi quanto volevano, gli passavano dinanzi, allungando il passo, senza quasi degnarlo di un’occhiata, per arrivare in tempo a veder gli animali. E non era davvero molto frequente il caso fortunato di un padre di famiglia che, arrivando lì coi figlioli, accennava col dito al digiunatore, spiegando loro minuziosamente di che si trattasse, ricordando i tempi andati, in cui aveva assistito a esibizioni simili ma molto più grandiose; i bambini, scarsamente preparati su questo argomento dalla scuola e dalla vita che poteva significare per loro patir la fame? continuavano a starsene lì, senza capire, ma nello splendore dei loro occhi incuriositi pareva di intravedere il riflesso di tempi nuovi, lontani ancora e più caritatevoli. Forse, si diceva a volte il digiunatore, tutto sarebbe andato meglio se non lo avessero collocato tanto vicino alle stalle. Così la gente aveva una scelta troppo facile, per tacere poi che le esalazioni delle stalle, l’irrequietezza delle bestie nella notte, il passaggio dei pezzi di carne cruda per le belve, i ruggiti che ne accompagnavano i pasti lo disturbavano molto e lo deprimevano continuamente. Non osava però rivolgersi alla direzione del circo per protestare; in fondo doveva alla presenza delle bestie quella folla di spettatori, tra cui poteva pur capitarne di quando in quando uno destinato a lui e chissà dove l’avrebbero cacciato, se richiamava l’attenzione della direzione sopra di sé e quindi anche sul fatto che, in conclusione, egli costituiva solo un ostacolo sulla via che conduceva alle stalle. 

E' ancora qui! - Stai ancora digiunando? Non smetti mai? - Perdonatemi...Ho sempre voluto che le persone ammirassero il mio digiunare...  

Un piccolo ostacolo, però, che si faceva sempre più piccolo: ci si abituò alla stranezza, in tempi come i nostri, di reclamare l’attenzione del pubblico sopra un digiunatore, e con questa abitudine il suo destino fu segnato. Poteva digiunare quanto voleva ... ed egli lo faceva; ma nulla lo poteva più salvare, nessuno più si curava di lui. Si provi qualcuno a spiegare l’arte del digiuno! A chi non la conosce, non si può darne un’idea. I bei cartelloni con le iscrizioni divennero sudici e illeggibili; e vennero strappati via e a nessuno venne in mente di sostituirli; la piccola tabella poi, col numero dei giorni di digiuno compiuti, che nei primi tempi veniva rinnovata ogni giorno, rimase per lungo tempo sempre la stessa, poiché dopo le prime settimane al personale del circo anche quella piccola fatica era parsa troppo; e così il digiunatore continuava a digiunare, come aveva sognato un tempo, e gli riusciva senza sforzo come aveva predetto, ma nessuno contava più i giorni, nessuno, nemmeno il digiunatore, sapeva quanto alta era ormai la sua prova e il suo cuore si sentì oppresso. E se una volta, in quel tempo, qualche sfaccendato si fermava dinanzi alla gabbia, considerava con ironia la cifra altissima e parlava di imbroglio, era, in questo senso, la più stupida menzogna che l’indifferenza e un’innata malignità avevan potuto inventare; poiché non era il digiunatore ad ingannare egli lavorava onestamente ma il mondo lo frodava del premio che si meritava. 

E passarono ancora molti giorni ed anche questo finì. Un giorno la gabbia dette nell’occhio a un custode, che chiese agli inservienti perché si tenesse lì quella gabbia ancora buona ad usarsi, senza utilizzarla, con tutta quella paglia fradicia; nessuno lo sapeva, sinché uno, col soccorso dei cartelli, non si ricordò del digiunatore. La paglia venne smossa con delle stanghe e vi si trovò il digiunatore. «Digiuni dunque ancora?» chiese il custode, «quando ti deciderai a smettere?». «Perdonatemi voi tutti» sussurrò il digiunatore; ma soltanto il custode che teneva l’orecchio accosto alle sbarre, lo intese. «Ma certo» disse il custode, toccandosi la fronte con un dito per accennare al personale lo stato in cui si trovava il poveretto, «ti perdoniamo.» «Ho voluto sempre che ammiraste il mio digiuno» continuò il digiunatore. «E noi, infatti, ne siamo ammirati» disse condiscendente il custode. «E invece non dovete ammirarlo» replicò il digiunatore. «E allora non lo ammireremo» rispose il custode, «ma poi perché non dobbiamo farlo?». «Perché sono costretto a digiunare» continuò il digiunatore. «Ma senti un po’» disse il custode «perché non ne puoi fare a meno?». «Perché io» disse il digiunatore, sollevando un poco la sua piccola testa e parlando con le labbra appuntite come per un bacio proprio all’orecchio del custode, «perché non riuscivo a trovar il cibo che mi piacesse. Se l’avessi trovato non avrei fatto tante storie e mi sarei messo a mangiare a quattro palmenti come te e gli altri». Furono le sue ultime parole, ma nei suoi occhi spenti si leggeva ancora la ferma, anche se non più superba convinzione di continuare a digiunare. 
Lo ammiriamo! - Non dovreste. Perchè non ho scelta...Devo digiunare
«E ora fate ordine!» disse il custode; e il digiunatore fu sotterrato insieme alla paglia. Nella gabbia fu messa poi una giovane pantera. E vedere nella gabbia sì a lungo deserta dimenarsi quella fiera fu un sollievo per tutti, anche per gli spettatori più ottusi.
Non le mancava nulla. Il cibo che le piaceva, glielo portavano senza tante storie i guardiani; non sembrava neppure che la belva rimpiangesse la libertà; quel nobile corpo, perfetto e teso in ogni parte sin quasi a scoppiarne, pareva portare con sé anche la libertà; sembrava celarsi in qualche punto della dentatura; e la gioia di vivere emanava con tanta forza dalle fauci, che agli spettatori non era facile resistervi. Ma si dominavano, circondavano la gabbia e non volevano saperne di andar via. 

Racconti, a cura di Ervino Pocar, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970

domenica 5 ottobre 2014

Narcisismo e analisi del Sè. Trasformazioni terapeutiche nell'analisi di personalità narcisistiche (Kohut, H., 1971).


(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)



Alcuni concetti chiave:

Amore oggettuale: c’è differenza tra le dinamiche oggettuali e quelle narcisistiche. La personalità si forma mediante l’interiorizzazione della libido narcisistica investita sull’oggetto-sé. La libido narcisistica svolge un ruolo anche nei rapporti oggettuali ed è un carburante per molte attività socioculturali come la creatività. Un esempio della differenza tra amore narcisistico e oggettuale riguarda il caso emblematico della personalità dipendente, la quale non ricerca l’oggetto della sua dipendenza in quanto tale ma per le funzioni che essa svolge e che non è in grado di adempiere in quanto non si è stabilita una sufficiente struttura superegoica. Gli oggetti ricercati in questo caso non sono dunque né desiderati, né riconosciuti come oggetti in senso pulsionale (ovverosia investiti di libido in sé), bensì essi sono necessari in quanto pezzi del Sé dell’individuo non interiorizzati. I disturbi narcisistici possono essere molto precoci e rivelare una debolezza strutturale massiva, possono riguardare il periodo pre-edipico interferendo con lo sviluppo della struttura di neutralizzazione (Io), o edipici configurandosi sottoforma di una struttura superegoica carente e alla ricerca continua di oggetti esterni di validazione.

Traslazione idealizzante: si parla di traslazione idealizzante in relazione alla perfezione narcisistica totale dell’oggetto-sé arcaico onnipotente e idealizzato e alla sua riattivazione nel contesto analitico. Lo sviluppo psichico non si esaurisce nell’investimento mediante pulsioni: la mente tende a sovrapporre esperienze analoghe di oggetto-sé riattivate nel transfert e le idealizzazioni lasciano un’impronta duratura nella personalità.

Io-Sè: una delle maggiori innovazioni teoriche introdotte da Kohut riguarda una differenziazione tra le strutture già note dal lavoro metapsicologico di Freud nella seconda topica e la definizione di un nuovo concetto: il Sé. I due vertici di osservazione psicoanalitici dell’evoluzione psichica non sono alternativi, bensì possono essere considerati in maniera parallela anche se gerarchica. Mentre l’evoluzione dello sviluppo funzionale dell’Io è conseguente a quello del Sé, non si può dire il contrario, in quanto il Sé costituisce una costellazione psicologica organizzata di base che determina in maniera drammatica qualsiasi tipo di esito successivo, anche pulsionale. La focalizzazione analitica dall’aspetto pulsionale a quello narcisistico vira anche l’attenzione dell’osservatore o studioso in senso sociologico: i tempi sono cambiati e ciò a cui assistiamo nella clinica non è più l’Uomo colpevole freudiano che punta alla soddisfazione pulsionale, bensì l’Uomo tragico volto disperatamente alla ricerca e alla realizzazione del proprio Sé.

Nevrosi di traslazione: riguarda la lotta tra le pulsioni infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (Es.: un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io[1] inconscio dell’analizzando).

Sé grandioso: nella concezione dello sviluppo psichico kohutiana, il narcisismo assume valore centrale. Il Sé grandioso è definito contemporaneamente all’IPI come struttura arcaica di quello che sarà poi il Sé maturo. Il rapporto con l’ambiente reale (la madre) determinerà pertanto gli esiti di quello che è stato precedentemente definito da Freud (1914) narcisismo primario. La possibilità del bambino di concentrare su se stesso tutta la perfezione e il potere, consentirà lo sviluppo di un livello libidico narcisistico adeguato allo sviluppo di un Sé vitale e coeso e, in definitiva, di una personalità integra e sana.

Empatia: Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfuhlung. In estetica, il termine indica un tipo di percezione vissuta antropomorficamente di fronte a oggetti: una colonna sottile che regge un grosso capitello può suscitare un senso di disagio, di squilibrio, di sforzo. Questi fenomeni sono stati studiati da T. Lipps (1903) come emozioni estetiche. L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale. Si tratta di un forte legame interpersonale e di un potente mezzo di cambiamento. Il concetto può prestarsi al facile riduttivismo mettersi nei panni dell’altro, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. Essa rappresenta, inoltre la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un’altra persona. L’empatia è dunque un processo: essere con l’altro. L’empatia costituisce un modo di comunicare nel quale il ricevente mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell’interlocutore. È una forma molto profonda di comprensione dell’altro perché si tratta d’immedesimazione negli altrui sentimenti. Ci si sposta da un atteggiamento di mera osservazione esterna (di come l’altro appare all’immaginazione) al come invece si sente interiormente (con quell'esperienza di vita, con quelle origini, cercando di guardare attraverso i suoi occhi).

Traslazione narcisistica: in maniera differente rispetto alla traslazione nevrotica in questo caso l’analista non funge da schermo per la proiezione della struttura interna dell’analizzando come avviene di norma nelle nevrosi, bensì egli diventa una “continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (Kohut, 1959, p. 17). Ovverosia rimette in moto lo sviluppo narcisistico del Sé del paziente, dal livello in cui esso è rimasto bloccato. Una differenza che si osserva nei pazienti con problematiche principalmente narcisistiche rispetto ai pazienti nevrotici – o anche nei pazienti nevrotici stessi che ad ogni modo secondo Kohut devono essere trattati secondo le innovazioni scientifiche della Psicologia del Sé –, è possibile differenziare la qualità conflittuale nevrotica rispetto a quella narcisistica della tematica presentata in analisi mediante il tipo di angoscia manifestata. Quando questa concerne un fatto preciso, delimitato e concreto, essa è manifestazione di nevrosi, mentre quando l’angoscia è diffusa, ciò è indicatore di una maggiore compromissione patologica che riguarda la coesione di base del Sé, e spesso la sensazione che si ha all’ascolto di questi pazienti è di senso di soffocamento e noia.

Kohut fornisce una panoramica rispetto agli effetti specifici e aspecifici dell’elaborazione della traslazione narcisistica.
Il cambiamento aspecifico più importante riguarda la maggiore capacità di amore oggettuale.
I fattori specifici invece riguardano tutti strettamente l’ambito del narcisismo (empatia, creatività, saggezza e umorismo).

Accrescimento ed espansione dell’amore oggettuale

1) Costituisce una mobilitazione libidica secondaria resa possibile in conseguenza della riattivazione dei legami affettivi che erano precedentemente inaccessibili a causa del muro regressivo del narcisismo.
Il Sé si apre al mondo esterno ed esce dall’isolamento in virtù della maggiore libido idealizzante ora disponibile a depositarsi sugli oggetti.

2) L’accresciuta capacità di amore oggettuale del paziente narcisista è collegata anche in maniera diretta all’elaborazione dell’area primaria della psicopatologia, ovverosia del narcisismo. Gli investimenti oggettuali sono più profondi a livello emotivo rispetto a quanto lo fossero in precedenza. L’investimento oggettuale, se non era già presente in precedenza verrà mobilitato dall’analisi.
L’investimento libidico oggettuale è facilitato dalla maggiore libido idealizzante resa disponibile dall’elaborazione del narcisismo.
Tale genere di progresso deriva dall’elaborazione sistematica della traslazione idealizzante.
Il risultato del maggiore investimento oggettuale con cariche idealizzanti, produce una maggiore intensità nell’esperienza erotica del paziente sia che essa riguardi la relazione amorosa con un altro essere umano, che la devozione ai suoi impegni e doveri.
Ora sarà possibile gestire in maniera più equilibrata le cariche libidiche: la componente narcisistica dell’amore totale è relativa, essa contribuirà all’esperienza d’amore del soggetto, ma gli investimenti libidici centrali mobilitati saranno di tipo oggettuale.
La maggiore disponibilità degli investimenti oggettuali non indica comunque che il narcisismo messo in moto dalla situazione analitica (libido sul Sé) si sia trasformato completamente di fatto in amore oggettuale, tutt’al più questa maturazione è dovuta alla libido oggettuale che era già presente, ma che era stata rimossa.
Questo tipo di configurazione riguarda il risultato terapeutico dei settori definiti da Kohut di “psicopatologia secondaria” ovverosia la nevrosi di traslazione, in un paziente che soffre in via primaria di un disordine narcisistico della personalità.
Kohut ribadisce il doppio registro già delineato in precedenza rispetto alla metapsicologia e quindi alle possibilità di cura: da un lato c’è la condizione narcisistica e le vicende del Sé, dall’altro l’Io e il destino delle sue strutture.
L’attenzione alla questione narcisistica tuttavia è centrale e fondamentale e deve essere, secondo Kohut (1971, 1977), prioritaria rispetto alla considerazione dei conflitti pulsionali, in quanto i benefici dell’analisi delle problematiche narcisistiche determinano anche, in conseguenza, il buon esito della strutturazione delle funzioni dell’Io.
La possibilità di amore oggettuale, passa attraverso l’investimento libidico del Sé e la sua coesione. Un sé coeso può investire gli oggetti libidici delle proprie pulsioni, mentre un Sé non integro o frammentato, blocca le proprie capacità di investimento ad un livello tale che i moti oggettuali pulsionali saranno preclusi o immaturi.

3) Un risultato aspecifico dell’analisi sistematica del narcisismo è anche l’accresciuta capacità di amore oggettuale dovuta alla maggiore forza del Sé, ovverosia alla maggiore coesione e delimitazione dei confini del Sé al di là dei suoi investimenti. Così come l’Io accresce la sua capacità di gestire una varietà di compiti professionali alla maggiore coesione del Sé, l’Io diventa centro esecutore della maggiore capacità di amore oggettuale. Dice Kohut (1971, p. 286): “Quanto più sicura è una persona riguardo alla possibilità di essere accettata, quanto più certo è il suo senso di chi egli sia, e quanto più interiorizzato è il suo sistema di valori, tanto più egli riuscirà ad offrire il suo amore con fiducia e in maniera efficace (a estendere cioè i suoi investimenti libidico-oggettuali) senza un’indebita paura di essere rifiutato e umiliato”. 

Sviluppi progressivi e integrativi dell’ambito narcisistico

Kohut si riferisce ai risultati del trattamento psicoanalitico dei disturbi narcisistici affermando che è in quest’ambito che avvengono i risultati più significativi e determinanti. Essi riguardano:
1)             L’imago parentale idealizzata che viene integrata nelle strutture dell’Io e del Super-io: a) man mano che gli aspetti pre-edipici precoci arcaici sono abbandonati vengono interiorizzati in forma neutralizzata e diventano parte della struttura dell’Io che resta adibita a tali funzioni (neutralizzazione, controllo e incanalamento). Il paziente infatti inizialmente è in grado di svolgere queste funzioni solo se si sente fuso e unito all’analista idealizzato; b) gli aspetti preedipici tardi ed edipici dell’imago parentale idealizzata vengono quindi abbandonati, interiorizzati e depositati nel Super-io. Il Super-io diventa una fonte di comando e guida interna, di approvazione stimolante, di maggiore integrazione dell’Io e dell’omeostasi narcisistica, che il paziente in precedenza godeva solo se si sentiva legato all’analista idealizzato e corrisposto.
2)             Il Sé grandioso che produce un’integrazione sia della grandiosità infantile che della libido esibizionistica arcaica: a) la prima viene integrata nelle ambizioni e negli scopi della personalità conferendo vigore ai moti maturi della personalità e sensazione di avere diritto al successo. Questo sentire da conquistatore (Freud 1917, p. 14; 1953, p. 29) è un derivato addomesticato dell’assolutismo solipsistico della psiche infantile; b) la seconda viene anch’essa neutralizzata dalle mete infantili di soddisfacimento per fluire nelle mete adattate e socialmente importanti della realtà adulta. L’esibizionismo che era causa di vergogna diventa fonte di autostima e di piacere sintonico all’Io.
3)             L’elaborazione della traslazione narcisistica è dunque una conquista che riguarda la personalità totale, ma dipende dalla mobilitazione delle posizioni narcisistiche arcaiche.

Empatia

E’ descritta da Kohut come una modalità conoscitiva adatta alla percezione di configurazioni psicologiche complesse.
L’Io utilizza l’empatia quando deve raccogliere dati psicologici, mentre usa modalità non empatiche per raccogliere dati di differente natura, ovverosia non inerenti la vita interiore dell’uomo (vedi Freud 1915c per differenza tra campo psicologico e non psicologico). Ci sono diversi tipi di disturbi che riguardano l’uso dell’empatia alcuni più gravi, altri minori.

I disturbi gravi dell’empatia sono distinti da Kohut in due gruppi:
1)             Uso improprio dell’empatia nell’osservazione di aree esterne al campo dei dati psicologici complessi. Utilizzare l’empatia per osservare dati non psicologici porta ad una percezione erronea della realtà, prerazionale, animistica, manifestazione di infantilismo percettivo e conoscitivo. Anche nella psicologia scientifica l’empatia non conduce da sola alla spiegazione dei dati psicologici. Bisogna analizzare le interconnessioni causali in termini lontani dall’osservazione (Hartmann, 1927). Se l’empatia si espandesse dalla raccolta di dati alla fase esplicativa della psicologia scientifica – definita verstehend ovvero comprensiva (Dilthey, 1924; Jaspers, 1913) e non erklärend cioè esplicativa – ciò equivarrebbe a una regressione sentimentaleggiante alla soggettività ovverosia un infantilismo conoscitivo nell’ambito delle attività scientifiche umane.
2)             Uso improprio dell’empatia nell’osservazione di aree riguardanti il campo dei dati psicologici complessi. Non utilizzando l’empatia in questi casi la realtà psicologica viene letta in senso meccanicistico ed inanimato. In questa categoria cadono i difetti più gravi dell’empatia ovvero quelli di natura primaria, dovuti a fissazioni o regressioni narcisistiche, nell’area degli stadi arcaici dello sviluppo del Sé. Quest’ultimo genere di mancanza di empatia è ricondotto da Kohut a disturbi precoci del rapporto madre-bambino, dovuti a freddezza emotiva della madre o insensibilità congenita del bambino o ancora, mancanza di coerenza nel rapporto. Questo tipo di problematica porta anche al fallimento nell’istaurarsi dell’imago parentale idealizzata, al blocco delle prime fasi di relazione empatica tra madre e bambino e all’iperinvestimento degli stadi primitivi del Sé corporeo (autoerotico) e del Sé grandioso, anch’esso bloccato per carenza delle necessarie risposte di ammirazione da parte della madre.

Ci sono poi una serie di disturbi minori o secondari dell’empatia. Kohut fa l’esempio dell’incapacità da parte di allievi in fase di training psicoanalitico di essere empatici nei confronti dei loro pazienti. Questa mancanza di empatia si configura come un’inibizione difensiva ed è una formazione reattiva contro la percezione animistica del mondo che viene rimossa oppure più frequentemente isolata e scissa. Secondo Kohut essa, ed è tipica delle personalità ossessive.

Risposte emotive e soggettive ai sentimenti altrui e valutazione oggettiva ovvero scientifica dei dati psicologici. L’empatia è a volte considerata simile all’intuizione, ciò porta a stabilire un illegittimo contrasto tra risposte emotive e soggettive ai sentimenti altrui e valutazione oggettiva. L’intuizione tuttavia non è strettamente correlata all’empatia: essa riguarda una serie di operazioni che vengono svolte molto velocemente da un medico, così come da come un computer che vaglia in breve tempo diverse combinazioni; tuttavia essa si differenzia dai giudizi non intuitivi soltanto per la sua velocità. La psicoanalisi ha consentito di utilizzare l’empatia intuitiva degli artisti e dei poeti nel campo della ricerca scientifica. Tuttavia lo psicoanalista deve essere capace di comprensione empatica così come di abbandonare tale tipo di comprensione, questo tipo di capacità di oscillazione tra le due posizioni consente di raccogliere i dati psicologici utili e di poterli poi analizzare per spiegarli. Questo tipo di oscillazione rispecchia la configurazione pratica/teoria: c’è bisogno di insight e dell’ampiezza dell’esperienza emotiva umana così come del lavoro teorico.
Un compito specifico dell’analisi didattica è pertanto quello di sciogliere le posizioni narcisistiche dell’analizzando nei settori legati alle capacità empatiche, fino a raggiungere un dominio dell’Io per il quale egli ha acquisito la capacità autonoma di adoperare o abbandonare la posizione empatica a seconda delle esigenze professionali.
La capacità empatica aumenta in conseguenza alla mobilitazione del narcisismo arcaico congelato, mentre diminuisce la capacità intuitiva che è una sostituzione del desiderio di onniscienza e del pensiero magico con la logica. La possibilità di abbandonare il dominio dell’intuizione implica la possibilità di sopportare i ritardi imposti dall’osservazione attenta dei dati. Eccezione a questo processo riguarda le personalità che avevano opposto forti formazioni reattive contro il pensiero magico e la propria onniscienza (due caratteristiche tipiche del narcisismo arcaico): esse diverranno maggiormente razionali ma più veloci, e si baseranno maggiormente sul preconscio invece di elaborare lungamente e faticosamente i dati.

La mobilitazione del narcisismo arcaico determina comunque una espansione delle capacità empatiche che è sempre autentica: per quanto riguarda l’oggetto idealizzato, esso aumenta l’empatia nei confronti degli altri, nel caso del Sé grandioso, soprattutto l’empatia nei confronti di sé stessi.
Questo obiettivo dell’analisi può essere oggetto di resistenze che bloccano il progresso analitico oppure lo capovolgono contemporaneamente una volta che esso è stato raggiunto.
Come illustrato da Kohut nel cap. 11, ci sono varie resistenze che si oppongono allo sviluppo dell’empatia nel corso della sua acquisizione. Tali resistenze possono presentarsi allo stesso modo nella situazione analitica.
Nel caso in cui il disturbo empatico è legato ad una mancanza di empatia nei genitori (essa è difettosa o inattendibile) il bambino cerca espedienti per tenere gli altri a distanza in modo da proteggersi dalla delusione di non essere compreso o ricevere risposte adeguate (vedi cap. 1 su personalità schizoide). In questo caso particolare la psiche del paziente si sentirà esposta a due tipi di pericoli:
1)             oltre al piacere il paziente avvertirà una sensazione spiacevole di eccitamento e stimolazione, seguito da un’angoscia suscitata dal timore di fusione regressiva che può manifestarsi sotto forma di illusione temporanea di identità corporea e porta al tentativo di contenere o scaricare le tensioni sessualizzandole in maniera grossolana (vedi cap. 8 su stati traumatici).
2)             Si determinano resistenze legate a paure di passività, specialmente per gli uomini come rischio di sottomissione.
Queste paure nascono dalla comprensione che l’analista è un essere umano capace di reagire con emozioni ed empatia all’analizzando.
La protezione dell’isolamento narcisistico e il pericolo che comporta rinunciare a questa sicurezza vengono descritti da Kohut nel sogno del signor Q. Questo paziente aveva perso la madre nella prima infanzia e a seguire anche altre figure materne.

“Sognò che era solo in casa e che guardava fuori dalla finestra; accanto a sé aveva il suo equipaggiamento da pesca. Attraverso la finestra vedeva numerosi bei pesci, grandi e piccoli, che nuotavano tutt’intorno, e provava il desiderio di andare a pescare. Si rendeva conto però che la sua casa era in fondo al lago e che non appena avesse aperto la finestra per pescare, l’intero lago avrebbe invaso la casa e l’avrebbe sommerso” (Kohut, 1971, p. 295).

Altre resistenze possono manifestarsi come rifiuto della comprensione dell’analista che si suppone piena di condiscendenza: l’empatia accompagnata da un atteggiamento di cura diretta attraverso la comprensione amorevole può essere autoritaria e noiosa ovvero poggiare sulle irrisolte fantasie di onnipotenza dell’analista.
Seppure l’analista sia attento all’uso dello strumento empatico utilizzandolo come forma di comunicazione appropriata, il semplice fatto che il paziente acconsenta ad essere compreso e corrisposto empaticamente lo lascia esposto alla paura arcaica delle delusioni precoci. Egli può pertanto diventare sospettoso, sentirsi manipolato dall’analista etc. Questi atteggiamenti paranoidi in genere durano poco e vengono risolti nell’interpretazione genetica e dinamica. Qualunque sia l’esito delle resistenze ad ogni modo un accrescimento delle capacità empatiche verso gli altri e l’accettazione che anche gli altri possano comprendere maggiormente sentimenti, desideri e bisogni si può osservare con grande regolarità nei pazienti narcisisti.



Creatività
Sostanzialmente Kohut intende per creatività lo sbocco che si apre agli investimenti narcisistici che vengono trasformati nel corso di un trattamento psicoanalitico.- investimenti narcisistici che prima del trattamento psicoanalitico erano congelati nell’area del Sé grandioso e dell’imago parentale idealizzata.
A riguardo, il primo quesito che Kohut si pone è quale sia il parametro che ci porta ad individuare quali siano le attività creative, se solo quelle artistiche o anche quelle scientifiche.
Una prima netta distinzione è quella di considerare la Scienza come la scoperta di Formazioni già preesistenti e l’Arte come introduzione nel mondo di nuove configurazioni.
Ma questa differenziazione non è poi così netta perché:
1)             Le scoperte scientifiche non descrivono solamente fenomeni esistenti in quanto la successiva operazione dello scienziato è quella di incanalare in una certa direzione specifica lo sviluppo scientifico;
2)             Altresì per il genio artistico che potrà determinare non solo un nuovo stile ma anche la direzione in cui si svilupperà.
Ma dobbiamo tenere presente anche:
1)             Che la scienza si sarebbe potuta svolgere in una direzione diversa, da quella in cui di fatto si è sviluppata - la nostra comune concezione scientifica è quella di credere che la scienza può svilupparsi solo nel modo che di fatto constatiamo ed in merito, gli scritti del fisico Alexander Koyrè ci dimostrano i procedimenti artistici eseguiti nel campo della fisica;
2)             Allo stesso modo non dobbiamo trascurare il fatto che alcune opere artistiche sono il riflesso di qualcosa che è preesistente.
Ma se paragoniamo le opere Artistiche e quelle Scientifiche all’interno di uno schema oggettivo riserveremo l’attributo di creatività solo a quelle artistiche; e solo in senso metaforico a quelle scientifiche.
Ma se proviamo a passare da un discorso generale ad uno più particolare che ci porta ad un confronto tra le due personalità prese  in esame valuteremo che:
1)             La personalità dell’artista (rispetto allo scienziato) in linea generale, possiede investimenti narcisistici che tendono ad essere meno neutralizzati e la sua libido esibizionistica si sposta tra sé e il suo prodotto investito narcisisticamente con una fluidità maggiore che nello scienziato. Sempre in linea generale, possiamo dire che un controllo rigido dell’esibizionismo di un artista potrebbe interferire con la sua performance. D’altra parte invece l’emergere di istanze grandiose ed esibizionistiche di un Sé grandioso ed arcaico sarebbe un forte ostacolo ad una corretta produzione scientifica.
A questo riguardo fa riferimento l’esempio del rapporto epistolare tra Freud e Fliess, in cui traspare l’esibizionismo giovanile di Freud e al contempo il controllo su ogni sua spinta verso il compiacimento, attraverso il rifiuto a partecipare a feste date in suo onore, o alla sua presa di distanza dal  carattere magico ed ipocrita dei messaggi di congratulazioni che gli giungevano.
L’esempio di Freud serve da traccia per osservare la curva di sviluppo di un grande scienziato: essa sembrerebbe rivolta poco alla stimolazione della propria persona, limitandosi all’investimento libidico neutralizzato ed inibito alla meta.
La differenza tra l’artista e lo scienziato diventa ancora più evidente quando osserviamo che un’opera artistica ultimata è intoccabile perché legata strettamente alla personalità dell’autore; mentre se uno scienziato ha formulato  la sua teoria che successivamente viene integrata o revisionata in parte da un altro scienziato non vi sarebbero i margini d’infrazione proprio perché l’opera scientifica porta in se un carattere di indipendenza dal suo ideatore.
Ma al di la di queste considerazioni che hanno un carattere della generalità, è vero anche che ci sono scoperte scientifiche che vengono fuori con il segno di una vera e propria opera d’arte e altresì nel campo dell’arte ci sono capolavori compiuti da anonimi che contraddicono l’affermazione in cui l’operatore è inestricabilmente legato al suo creatore.
A paragone con lo scienziato l’artista investe la sua opera con la libido narcisistica meno neutralizzata e resta identificato con il suo prodotto.
Le attività artistiche e scientifiche che vengono fuori durante il processo analitico di  disordini narcisistici sono comunque fenomeni analoghi e ricoprono un ruolo analogo nel processo psicoanalitico.
L’ondata di attività creative non di rado sopravviene come misura di emergenza perché l’Io deve fronteggiare la libido narcisistica precedentemente rimossa e quindi ha breve durata (vedi Kohut - il caso della signorina F.).
Quando il processo di elaborazione psicoanalitica prosegue in modo corretto si creano nuove configurazioni stabili come l’autostima e la formazione di un ideale.
Man mano che gli investimenti narcisistici vengono rimossi terapeuticamente, essi vanno ad incrementare l’interesse sublimatorio al punto che un hobby insignificante può diventare una vera e propria attività soddisfacente e l’approvazione pubblica diventerà un sostegno all’autostima del paziente.
Portiamo l’esempio del signor E. che nella prima fase dell’esperienza psicoanalitica non riusciva a svolgere le attività artistiche, ma successivamente inizia ad avere attività sublimatorie nell’intervallo del fine settimana in cui rimaneva separato dalle sedute psicoanalitiche. Nato prematuro, viene messo in incubatrice; successivamente portato a casa non viene toccato dai genitori. Sua madre, dopo una malattia, muore quando il paziente aveva sedici anni.
Nella tarda infanzia il paziente si esibiva nelle sue prodezze sull’altalena, ma la madre non rispose empaticamente e con il dovuto sostegno; fu da allora che il bambino iniziò pericolose attività voyeristiche nel bagno di una fiera pubblica come risposta ai suoi desideri esibizionistici.
Con questa perversione, egli esprimeva bisogni arcaici nell’ambito di istanze esibizionistiche frustrate e le attività artistiche gli fornirono una certa visibilità, utile al suo bisogno di contatto alla luce della sua storia nella primissima infanzia.
Il lavoro sublimatorio che trovò un forte slancio negli ultimi anni del suo trattamento analitico non fu soltanto un modo di risolvere i suoi bisogni di contatto e fusione ma divenne una grande fonte di riconoscimento sociale ed economico.
Lo stretto collegamento tra bisogni di contatto frustrati e il desiderio di fusione - che si trasformò successivamente in una modalità di grande sensibilità verso il mondo intero - è un fenomeno che possiamo osservare in molti poeti: John Keats aveva la tendenza ad identificarsi con oggetti inanimati (palle da biliardo). A ciò era associata una profonda e sensibile capacità di comprensione delle cose che si manteneva attiva solo se gli arrivava il calore degli amici.
Il poeta con il suo identificarsi con la palla da biliardo testimoniava la natura narcisistica del suo rapporto creativo con l’ambiente.
Un certo potenziale creativo rientra nella vita di molte persone in cui, problematiche intellettuali ed artistiche irrisolte sono causa di uno squilibrio narcisistico che trovano a loro volta sollievo anche attraverso semplici attività come le parole crociate o lo spostamento di un mobile in una stanza.
Alcune personalità creative durante momenti d’intensa produzione artistica hanno un forte bisogno  di  una relazione empatica.
Tale bisogno è particolarmente intenso tanto più le scoperte conducono in ambiti nuovi ed inesplorati.
Questo sembrerebbe attribuibile al fatto che l’atto creativo porta con se l’isolamento.
Questo se da una parte è esaltante dall’altra costituisce anche un’esperienza terrifica in quanto verrebbe a rappresentare il trauma infantile di essere abbandonato.
In una simile situazione può capitare che anche il genio elegga una persona del suo ambiente ad oggetto onnipotente con cui fondersi.
Questo lascia intravedere un Sé creativo in espansione che ha bisogno di trarre forza da un oggetto idealizzato.
Fliess fu per Freud l’oggetto di traslazione narcisistica durante la sua produzione letteraria più importante ed egli rinunciò al senso illusorio della grandezza di Fliess, quando terminò il suo compito creativo.
Alla Creatività degli analisti Kohut dedica un’attenzione speciale.
Egli afferma che al termine di un’analisi didattica, la trasformazione delle posizioni narcisistiche può apportare non solo una maggiore capacità empatica ma anche un’accresciuta attività ricca di spunti di autentica creatività.
Questa creatività sembra scaturire dal bisogno incessante di indagare su certe aree psicologiche non elaborate nell’analisi personale; nasce quindi il bisogno di superare l’empasse attraverso una nuova analisi.
Ma se il lavoro analitico è incompleto a causa della scienza psicoanalitica che non è progredita, questo stesso fattore diventa lo stimolo che conduce ad altre ricerche. Tuttavia ciò avviene se l’incompletezza dell’analisi didattica è riconosciuta dal ricercatore.
“Proprio come in altre attività scientifiche, la creatività degli analisti è risvegliata da molti stimoli e alimentata da altre fonti, tra cui i conflitti patogeni del ricercatore.” (…) “Io credo che la vera creatività psicoanalitica possa essere motivata dal bisogno imperioso di indagare su certe aeree psicologiche che non sono state completamente chiarite nell’analisi personale” (Kohut, 1971, p. 306).
Per alcuni analisti potenzialmente creativi, gli aspetti irrisolti di una traslazione narcisistica può, durante o al termine, essere spostata su Freud come imago paterna; a riguardo la paura della perdita di fusione narcisistica con l’immagine del padre può innescare sentimenti controfobici di ribellione che in ultima analisi determineranno un forte senso critico della sua opera.
Conseguenza sterile può essere un’incessante polemica teorica che non è sostituita da un contributo positivo finalizzato all’ampliamento della nostra conoscenza psicologica dell’uomo.
Quando invece l’analizzando sta evolvendo verso lo scioglimento del proprio legame narcisistico traslativo con l’analista si possono manifestare attività creative libere da qualsiasi funzione difensiva da parte dell’Io.
Esse costituiscono di frequente vere e proprie riattivazioni di tentativi creativi che risalgono alla latenza  e alla adolescenza.
Kohut cita l’esempio del signor P., un giovane uomo che in prossimità della fine della sua analisi inizia a scrivere racconti brevi e molto interessanti: essi erano imperniati su tematiche di un adolescente pieno di senso di solitudine, senso di estraniamento dal mondo e con attività sessuali alquanto grossolane; è alla ricerca di un amico da cui essere protetto rispetto a tutto ciò.
Tralasciando il significato specifico di fronteggiare nella sua analisi il pericolo della perdita superegoica, quello che è più interessante è il rapporto tra questi racconti e l’elaborazione di problemi simili che si manifestarono in un “sogno bagnato” fatto più di vent’anni prima e che accompagnò la prima polluzione notturna:
“nel sogno il paziente contemplava un paesaggio di grande bellezza e pace…prati ondulanti e ruscelli serpeggianti in cui l’acqua scorreva gaia riflettendo il blu di un cielo senza nuvole. Piccoli gruppi di alberi circondavano le abitazioni di uno stile rustico ed anche se non c’era nessuno vi erano numerose tracce di vita: mucche che pascolavano e pecore bianche che spiccavano nel verde dei prati. Improvvisamente la pace veniva turbata da un rombo lontano. Il paziente alzava lo sguardo e scopriva che il paesaggio da lui contemplato era una vallata ai piedi di un’alta diga. Il rombo minaccioso sembrava provenire da lì e improvvisamente il paziente notava delle fessure profonde nella diga. Tutti i colori del paesaggio mutavano in maniera percettibile ma significativa. Il blu del cielo e dell’acqua diventava nerastro. Il verde dell’erba cambiava in un verde acceso e innaturale e gli alberi sembravano più scuri. Le fenditure nella diga si allargavano e poi tutto ad un tratto un vortice di acqua brutta, brutta e distruttiva ne usciva fuori, inondando la campagna con tutta la sua bellezza , spazzando  via gli alberi, le case e gli animali. L’ultima impressione indimenticabile che il paziente ebbe prima di svegliarsi inorridito fu la vista del bianco delle pecore che si mutava nel bianco dei cavalloni vorticosi che avviluppavano tutto”.
Tralasciando il significato complesso presente in tutto il sogno possiamo dire che esso esprimeva l’esperienza del disturbo narcisistico racchiuso nella sua beatitudine (il paesaggio è il simbolo del corpo del paziente); disturbo causato dall’irrompere di elementi sadici sessuali che sfociavano nella polluzione.
Come si diceva prima, le trasformazioni delle tensioni narcisistiche liberarono l’Io artistico che poté iniziare ad investire oggetti-Se di natura più elevata con la produzione di racconti brevi .
Considerando che possono esserci delle eccezioni, possiamo considerare che molte creazioni artistiche che emergono nella fase finale dell’analisi, sono il risultato delle trasformazioni di vecchie istanze narcisistiche patogene.

Umorismo e Saggezza.
Kohut ritiene che il senso umoristico autentico sia un altro risultato delle trasformazioni delle istanze narcisistiche arcaiche e patogene che avviene nel corso del trattamento psicoanalitico.
Ma ancor di più l’umorismo accompagna e completa il rafforzamento dei valori ed ideali.
Bisogna valutare se l’attaccamento ai valori ed ideali è spontaneo e autentico cioè lontano da una sorta di fanatismo e quindi accompagnato da un senso delle proporzioni e soprattutto che le istanze narcisistiche sono neutralizzate ed inibite alla meta. In altre parole sarebbe da accertare clinicamente, il ridimensionamento delle fantasie grandiose e l’abbandono di modalità perfezioniste che fanno emergere un misto equilibrato di ideali e senso dell’umorismo.
L’Io del paziente diventa capace di vedere adesso in proporzioni realistiche le ispirazioni del Sé grandioso infantile e soprattutto di sorridere e divertirsi su quelle configurazioni con ritrovato senso di libertà.
Il commento della sig.na F ne è una prova: “Credo che il crimine che lei ha commesso e per cui non può esservi perdono, è che lei non è me”.  
La conquista della saggezza è una delle vette dello sviluppo umano non tanto e non solo per quanto attiene la trasformazione dei disturbi narcisistici ma in generale in qualsiasi crescita e trasformazione umana.
La saggezza acquisita durante il trattamento psicoanalitico consiste nel passaggio da una semplice informazione dei dati ad una maggiore e più profonda consapevolezza del funzionamento della propria mente. 
L’inizio di questo percorso che porta alla saggezza è contrassegnato, per il paziente, da una buona conoscenza di se stesso ma anche dell’analista; ma soprattutto dall’accettazione da parte del paziente di quel carattere passeggero che connota l’esistenza individuale.
Questo è il prerequisito che favorisce nel paziente il rafforzamento dell’autostima stante la consapevolezza dei propri limiti, conflitti inibizioni e tendenze alla grandiosità che possono permanere ma avvolte da una buona dose di consapevolezza.

Bibliografia
Dilthey, W., (1924), Ideen ubere ine beschreibende und zergliederne Psychologie, in Gesammelte Schriften, vol. 5 (Teubern, Lipsia).
Freud, S., (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale. In Opere. Vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1914b), Introduzione al narcisismo. In Opere. Vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1915-17), Introduzione alla psicoanalisi. In Opere, Vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Hartmann, 1927 Understanding and Explanation in Hartmann (1964) Essays on Ego psychology, Int. Univ. Press, New York.
Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
Kohut, H., (1971), Narcisismo e analisi del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Kohut, H., (1977), La guarigione del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1980.
Jaspers, K., (1913), Psicopatologia gnereale. Pensiero Scientifico, Roma, 1963.




[1] Imago inconscia del padre. Nella nevrosi, a differenza dei disturbi più gravi (narcisistici) ciò avviene in quanto il paziente ha già formato la struttura Superegoica sulla base delle relazioni reali vissute con i genitori.

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