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lunedì 13 aprile 2015

Di Jonathan Shedler - La relazione terapeutica nella terapia psicodinamica rispetto a quella CBT (cognitivo-comportamentale)

I primi legami d'attaccamento costituiscono un modello per le relazioni successive.
Come risultato di ciò, ripetiamo questi modelli nelle nostre relazioni per tutta la vita. Poiché sono presenti sin dall'inizio, questi pattern possono essere per noi invisibili come lo è l'acqua per un pesce.
Tuttavia essi danno forma al nostro destino.

La terapia comprende una relazione, e i pazienti portano al suo interno la propria sagoma e i propri pattern. Come terapeuti, entriamo nel campo gravitazionale dei modelli relazionali problematici dei pazienti, facendo esperienza e partecipando ad essi. Attraverso il riconoscimento della nostra inevitabile partecipazione a questi modelli, possiamo aiutare i nostri pazienti a capirli e rielaborarli.

Questa è una terapia che cambia la vita. Questo è il cuore della terapia psicodinamica.

Caroline, una donna sulla trentina, è elegante, colta, di successo. Si presenta con un portamento regale e assomiglia e si veste con abiti simili a quelli di una modella di Vogue. E' corteggiata dal tipo di uomini che la maggior parte delle donne può solo fantasticare di avere. Eppure è sola. Non  è stata capace di mantenere una relazione intima e soffre di attacchi di depressione.
Kate Moss, top model e icona di stile, su una copertina di Vogue Brasile.
Caroline ha fatto diversi tentativi di terapia. Racconta che, purtroppo, non è mai cambiato davvero nulla, e che i terapeuti finiscono sempre per desiderare di ottenere la sua approvazione.

I colleghi addestrati in CBT e altre terapie "evidence-based" raramente attribuiscono un significato al commento di Caroline sulle sue precedenti relazioni terapeutiche. Alcuni azzardano che Caroline può aver bisogno di un terapeuta molto "sicuro" che non si senta intimidito dai suoi sguardi, il suo successo, o il suo status sociale.

Da un punto di vista psicodinamico, è irrilevante se il terapeuta di Caroline è sicuro o insicuro a livello personale. Lei non ha bisogno di un terapeuta sicuro. Ha bisogno di un terapeuta con sufficente consapevolezza di sé e coraggio da notare quella botta di insicurezza che si prova in presenza di Caroline, e gestirla come informazione, utilizzandola al servizio della comprensione.

Tale terapeuta potrebbe dire: "Sai, sei venuta qui per ricevere il mio aiuto eppure in molte delle nostre interazioni, sono consapevole di provare la vaga sensazione di volerti impressionare o guadagnare la tua approvazione, che chiaramente non ti aiuta affatto. Sto cercando di capire che significa, e se potrebbe essere una finestra su cui affacciarsi per comprendere qualcosa di importante a proposito delle tue relazioni, più in generale. Forse questo è qualcosa di familiare per te".

Mr. Quinn, autore della statua raffigurante Kate Moss afferma di averla vista come una "moderna afrodite". Kate ha commentato che la statua sembrerebbe elevarla a mito ma ha anche affermato di amarla particolarmente perchè stabilisce una differenza netta tra com'è realmente e come appare. Per l'intervista vedi: http://www.telegraph.co.uk/news/celebritynews/3122144/Kate-Moss-gold-statue-unveiled-at-British-Museum.html

E lì, la terapia vera e propria può iniziare.

Caroline non avrebbe potuto descrivere cosa è andato storto nelle sue relazioni: ciò che ha fatto per cercare di attirare vicino a sé le persone è proprio ciò che preclude reciprocità e intimità.
Le donne erano invidiose o rispettose. Gli uomini la vedevano come una potenziale conquista, o "out of their league" - al di fuori della loro portata. In entrambi i casi, ogni tipo di legame intimo era impossibile.

Caroline non era in grado di comunicare questo al suo terapeuta; lei lo mostrava.
Ciò che il paziente fa nella stanza con il terapeuta rivela pattern relazionali che durano da tutta una vita.  Nella relazione terapeutica, questi modelli possono essere riconosciuti, compresi, e rielaborati.

Questo è fondamentale per la terapia psicodinamica e assente in altri tipi di terapie.

Un importante autore e leader teorico della CBT ha scritto un articolo su miti e realtà della CBT. Un mito, secondo questo autore, è che la CBT minimizza l'importanza della relazione terapeutica. Per mostrare che non è così, ha spiegato che i terapeuti CBT "fanno molte cose per costruire una forte alleanza. Ad esempio, lavorano in collaborazione con i clienti...chiedono un feedback...e si comportano come esseri umani autentici, caldi, empatici, interessati, premurosi".

Questo è il tipo di rapporto che mi aspetterei di ricevere dal mio parrucchiere o dall'intermediario immobiliare. Da uno psicoterapeuta, mi aspetto qualcosa di diverso. L'autore CBT sembrava non avere idea che la relazione terapeutica fornisce una speciale finestra sul mondo interno del paziente, o un laboratorio relazionale e un santuario in cui i pattern di tutta una vita possono essere riconosciuti e compresi, e altri, nuovi, creati.

Alcuni pazienti possono sentirsi soddisfatti con terapeuti che "collaborano" durante lo svolgimento di una terapia seguendo un manuale di istruzioni (si può leggere un blog di Jonathan Shedler sulla terapia "manualizzata" qui). Coloro che vogliono cambiare il loro destino vorranno un terapeuta con consapevolezza di sé, conoscenza, e coraggio per osservare e parlare di ciò che conta.

Jonathan Shedler, Ph.D ( http://jonathanshedler.com/ ) è Professore Associato presso la University of Colorado School of Medicine. Insegna e conduce laboratori per il pubblico professionale nazionale e internazionale e fornisce consulenza clinica e supervisione ( http://jonathanshedler.com/consultation/ ) in teleconferenza a professionisti della salute mentale in tutto il mondo.

fonte: https://www.psychologytoday.com/blog/psychologically-minded/201503/the-therapy-relationship-in-psychodynamic-therapy-versus-cbt

lunedì 5 gennaio 2015

Hans Christian Andersen - Il soldato e la ballerina. Quaranta novelle (XIX secolo) -


C’erano una volta venticinque soldatini tutti fratelli, perchè tutti fusi fuor dallo stesso vecchio cucchiaio di stagno. Avevano il fucile in ispalla, la divisa rossa e turchina, proprio bella, e tutti guardavano diritto dinanzi a sè. La prima cosa che udirono al mondo, quando fu tolto il coperchio della scatola, fu il grido: "Soldatini di stagno!" Chi aveva gridato così, battendo le mani, era un ragazzo, e i soldatini gli erano stati regalati per il suo natalizio. Egli li mise tutti sulla tavola: ogni soldato era identico agli altri; soltanto, per quello che era stato fuso l’ultimo, non era rimasto stagno abbastanza, e così gli era venuta una gamba sola; ma egli stava altrettanto saldo sull’unica gamba, quanto gli altri, che ne avevano due; e fu appunto questo soldatino che si distinse.
Sulla tavola, sulla quale si trovavano, c’erano molti altri balocchi; ma quello che più attirava lo sguardo era un grazioso castello di cartone. A traverso alle piccole finestre, si poteva vedere dentro, nella sala. Dinanzi al castello, certi alberelli erano piantati attorno ad un pezzettino di specchio, che doveva raffigurare un limpido lago; e sul lago nuotavano specchiandosi alcuni piccoli cigni di cera. Tutto questo era molto bellino; il più bello di tutto, però, era una piccola signora, ritta vicino al portone aperto del castello; anch’essa di cartone, ma con un vestito di velo leggerissimo, ed un sottile nastrino azzurro sulle spalle, posto a mo’ di sciarpa: nel mezzo del nastro era appuntata una stellina lucente, grande come tutto il suo viso. La signora arrotondava con grazia le braccia al di sopra del capo, perchè era una ballerina, e teneva un piede così alto, per aria, che il soldato, non vedendolo, credette che anche lei avesse una gamba sola.
"Quella mi andrebbe bene per moglie!" - pensò: "Ma è troppo aristocratica per me: abita un castello, ed io non ho che una scatola, che debbo dividere con altri ventiquattro compagni: non sarebbe casa per lei. Voglio vedere, però, se mi riesce di fare la sua conoscenza." - E si distese quant’era lungo dietro ad una tabacchiera, che stava anch’essa sulla tavola. Di lì poteva osservare comodamente la bella donnina, che non si stancava mai di starsene ritta su una gamba sola, senza mai perdere l’equilibrio.
Venuta la sera, gli altri soldatini di stagno furono riposti nella loro scatola, e quelli di casa andarono a letto. Allora i balocchi incominciarono a giocare per conto loro: un po’ facevano è arrivato l’ambasciatore, un po’ il lupo e le pecore, o la festa da ballo. I soldati strepitavano dentro alla scatola, perchè avrebbero voluto unirsi anch’essi al gioco, ma non riuscivano a sollevare il coperchio. Lo schiaccianoci faceva le tombole, e la pietra romana si sbizzarriva in mille ghirigori sulla lavagna. Fecero un chiasso tale, che il canarino si destò ed unì il suo canto all’allegria generale, ma sempre in versi però. I soli che non si mossero dal posto furono il soldatino e la ballerina. Essa rimase ritta come un cero sulla punta d’un piede, con le braccia levate al di sopra del capo; egli, altrettanto imperterrito sull’unica gamba, non le tolse un istante gli occhi di dosso.
Battè la mezzanotte, e tac!... saltò il coperchio della tabacchiera; ma non c’era tabacco dentro, c’era un diavolino nero, perchè era un balocco a sorpresa.
"Soldatino," - disse il diavolo nero: "A forza di guardare, ti consumerai gli occhi!"
Ma il soldatino fece come se non avesse udito.
"Sì, aspetta domani, caro!" - ammonì il diavolino.
Quando venne il mattino e i fanciulli si alzarono, il soldatino di stagno fu posato sul davanzale della finestra, e, fosse il diavolo nero od un colpo di vento, la finestra si spalancò a un tratto, e il soldatino precipitò dal terzo piano a capofitto nel vuoto. Fu una tombola tremenda: tese l’unica gamba all’aria, e rimase a baionetta in giù, con l’elmo fitto tra le pietre del selciato.
La domestica ed il ragazzino corsero subito giù a cercarlo; gli andarono vicino che quasi lo pestavano, e pure non riuscirono a vederlo. Se il soldatino avesse gridato: "Eccomi qui!" - l’avrebbero subito raccattato; ma, essendo in divisa, non gli parve decoroso mettersi a gridare.
Incominciò a piovere; i goccioloni, radi da prima, si fecero sempre più fitti, sin che venne un vero acquazzone. Quando spiovve, capitarono due monelli.
"Guarda, guarda!" - esclamò l’uno: "Un soldatino di stagno! Facciamolo andare a vela!"
Fecero una barchetta con un pezzo di giornale, ci misero il soldato e lo vararono nel rigagnolo della via. I due ragazzi gli correvano appresso battendo le mani. Cielo, aiutami! Che onde c’erano in quel rigagnolo e che corrente terribile! La pioggia doveva proprio esser caduta a torrenti! La barchetta di carta beccheggiava forte forte, e tal volta girava così rapidamente, che il soldato sussultava. Ma rimaneva intrepido, però, nè mutava colore; guardava sempre fisso davanti a sè e teneva il fucile in ispalla.
Improvvisamente, la barca scivolò in un tombino; e lì poi era buio pesto, come nella sua scatola.
"Dove sarò mai capitato?" - pensava: "Sì, sì, quest’è tutta opera del diavolo nero. Ah, se ci fosse qui, nella barchetta, la donnina del castello, mi sentirei tutto consolato, per buio che fosse!"
In quella, sbucò un vecchio ratto, che nel tombino aveva la sua casa.
"Hai il passaporto?" - domandò il ratto: "Fuori il passaporto!"
Ma il soldato rimase muto e si contentò di tener l’arma ancora più salda. La barchetta seguitava, e il ratto dietro. Uh! come digrignava i denti, e come gridava a tutti i fuscelli, a tutte le pagliuzze: "Fermatelo! fermatelo! Non ha pagato pedaggio, non ha presentato passaporto!"
La corrente divenne sempre più forte: il soldatino incominciava a veder chiaro già prima d’essere fuori del tombino; ma, proprio nel medesimo tempo, sentì uno scroscio tale, che avrebbe fatto tremare anche il cuore dell’uomo più valoroso. Figuratevi che il rigagnolo, appena fuori di quel passaggio, si buttava in un largo canale con un salto altrettanto pericoloso per la barchetta quanto sarebbe per noi la cascata del Niagara.
Oramai, il pericolo era così vicino, che egli non poteva più evitarlo. La barchetta precipitò; il povero soldatino si tenne ritto, alla meglio, perchè nessuno potesse dire d’averlo nemmeno veduto batter palpebra. La barca girò su se stessa tre o quattro volte, si riempì d’acqua sino all’orlo, sì ch’era sul punto di calare al fondo: il soldato era nell’acqua sino al collo, e la barca sprofondava sempre più giù, sempre più giù: la carta inzuppata era lì per isfasciarsi: già l’acqua si richiudeva sopra il capo del soldato... Egli pensò allora alla graziosa ballerina, che non avrebbe mai più riveduto, e un ritornello gli risonò agli orecchi:
Soldato, dove vai?
La morte incontrerai!
La carta si lacerò ed il soldato cadde di sotto; ma proprio in quel momento, un grosso pesce lo inghiottì.
Allora sì, che si trovò al buio davvero! Si stava ben peggio lì che nel tombino, e pigiati poi... Ma il soldato rimase imperterrito, e, anche così lungo disteso, mantenne pur sempre il fucile in ispalla.
Il pesce non si chetava un momento: correva qua e là con certi guizzi terribili; alla fine, si fermò e parve traversato come da un baleno: e allora qualcuno gridò forte: "Oh! il soldato di stagno!"
Il pesce era stato pescato, e poi portato al mercato e venduto, ed era capitato in cucina, dove la cuoca l’aveva aperto con un grande coltello.
Allora la cuoca prese il soldato con due dita a traverso il corpo e lo portò in salotto dove tutti vollero vedere quest’uomo meraviglioso, che aveva viaggiato nel ventre d’un pesce. Ma non per questo egli mise superbia: fu posto sulla tavola, e là... - Davvero che in questo mondo si dànno certi casi meravigliosi!... - Il soldatino di stagno si trovò per l’appunto nello stesso identico salotto di dov’era partito, si vide attorno gli stessi bambini, e vide sulla tavola, tra gli stessi balocchi, lo splendido castello con la bella ballerina, che se ne stava sempre ritta sulla punta di un piede ed alzava l’altro per aria, intrepida anche lei. Il nostro soldatino ne fu tanto commosso, che avrebbe pianto lacrime di stagno, se non gli fosse parso vergogna. Egli la guardò, ed essa guardò lui, ma non si dissero nulla.
A un tratto, uno dei bambini più piccini afferrò il soldato e lo gettò nella stufa, così, proprio senza un perchè al mondo. Anche di ciò doveva aver colpa il diavolo nero della scatola.
Il soldatino si trovò tutto illuminato e sentì un terribile calore: egli stesso non riusciva a distinguere se fosse il fuoco vero e proprio, o l’immenso, ardente suo amore. Non gli era rimasto più un briciolo di colore: fosse poi conseguenza del viaggio o delle emozioni nessuno avrebbe potuto dire. La ballerina lo guardava ed egli guardava lei; e si sentiva struggere, ma rimaneva imperterrito, col fucile in ispalla. In quella, una porta si spalancò; il vento investì la signorina, ed essa, volando come una silfide, andò proprio difilata nel caminetto presso il soldato: una vivida fiamma... e poi, più nulla. Il soldato si strusse sino a diventare un mucchietto informe, e il giorno dopo, quando la domestica venne a portar via la cenere, lo trovò ridotto come un cuoricino di stagno. Della bambolina non rimaneva altro che la piccola stella, ma tutta bruciata, nera come il carbone.

Traduzione dal danese di Maria Pezzè Pascolato (1903)

venerdì 8 novembre 2013

DOC - Il Disturbo Ossessivo Compulsivo nella poesia di Neil Hilborn (Rustbelt 2013)




La prima volta che l'ho vista...
Tutto nella mia testa si è calmato.
Tutti i tic, tutte le immagini in continua successione sono semplicemente scomparse.
Quando soffri di disturbo ossessivo compulsivo, non puoi avere veramente momenti di tranquillità.
Anche nel letto, penso:
Ho chiuso la porta? Si.
Mi sono lavato le mani? Si.  
Ho chiuso la porta? Sì.
Mi sono lavato le mani? Sì.
Ma quando l'ho vista, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la curva delle sue labbra..
O un ciglio sulla sua guancia -
un ciglio sulla sua guancia -
un ciglio sulla sua guancia.

Sapevo che dovevo parlare con lei.
Le ho chiesto di uscire sei volte in trenta secondi.
Ha detto di sì dopo la terza, ma nessuna di loro mi sembrava giusta, così ho dovuto continuare.
Al nostro primo appuntamento, ho passato più tempo a organizzare il mio pasto per colore che a mangiare, o a parlare con lei...
Ma lei lo amava.
Amava il fatto che le davo il bacio della buonanotte sedici volte o ventiquattro volte se era Mercoledì.
Le piaceva che mi ci voleva una vita per arrivare a casa a piedi, perché ci sono un sacco di crepe sul nostro marciapiede.

Quando ci siamo trasferiti per vivere insieme, ha detto che si sentiva al sicuro, perché nessuno avrebbe mai potuto derubarci dal momento che avevo  ​​
chiuso la porta sicuramente almeno diciotto volte.
Avrei guardato la sua bocca mentre parlava
per sempre -
quando parlava
quando parlava
quando parlava
quando parlava 
quando mi ha detto che mi amava, la sua bocca si è curvata ai bordi.   
Di notte, si stendeva a letto e mi guardava spegnere tutte le luci accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente, e accese, e spente.

Ha chiuso gli occhi e ha immaginato che i giorni e le notti stessero passando di fronte a lei.
La mattina, volevo iniziare a baciarla per il buongiorno ma lei se n’è andata perché le stavo solo facendo fare ritardo al lavoro...
Quando mi sono fermato davanti a una crepa del marciapiede, lei ha continuato a camminare...
Quando ha detto che mi amava, la sua bocca era una linea retta.

Mi ha detto che stavo prendendo troppo del suo tempo.
La settimana scorsa ha iniziato a dormire a casa di sua madre.

Mi ha detto che non avrebbe dovuto lasciare che mi attaccassi così tanto a lei, che tutta questa storia è stata un errore, ma...
Come può essere un errore che io non devo lavarmi le mani dopo averla toccata?
L'amore non è un errore, e mi sta uccidendo che lei possa scappare via da questo e io semplicemente non posso.
Non posso - Non posso uscire e trovare qualcuno di nuovo, perché penso sempre a lei.
Di solito, quando mi ossessiono sulle cose, vedo germi brulicare sulla mia pelle.
Mi vedo schiacciato da una successione infinita di auto...
E lei è stata la cosa più bella che abbia mai avuto su cui rimanere fissato.

Voglio svegliarmi ogni mattina pensando al modo in cui si tiene al volante..
Come gira le manopole della doccia come se stesse aprendo una cassetta di sicurezza.
Come soffia le candeline -
soffia le candeline -
soffia le candeline -
soffia le candeline -
soffia le candeline -
soffia le...

Adesso, penso solo a chi altro la sta baciando.
Non riesco a respirare, perché lui la bacia solo una volta - non gli importa se è perfetto!

La rivoglio indietro così tanto..
Lascio la porta aperta.
Lascio la luce accesa.

Neil Hilborn è College National Poetry Slam champion, e laureato nel 2011 con lode al Macalester College in Creative Writing.
The first time I saw her...
Everything in my head went quiet.
All the tics, all the constantly refreshing images just disappeared.

When you have Obsessive Compulsive Disorder, you don’t really get quiet moments.
Even in bed, I’m thinking:
Did I lock the doors? Yes.
Did I wash my hands? Yes.
Did I lock the doors? Yes.
Did I wash my hands? Yes.

But when I saw her, the only thing I could think about was the hairpin curve of her lips..
Or the eyelash on her cheek—
the eyelash on her cheek—
the eyelash on her cheek.

I knew I had to talk to her.
I asked her out six times in thirty seconds.
She said yes after the third one, but none of them felt right, so I had to keep going.
On our first date, I spent more time organizing my meal by color than I did eating it, or fucking talking to her...
But she loved it.
She loved that I had to kiss her goodbye sixteen times or twenty-four times if it was Wednesday.
She loved that it took me forever to walk home because there are lots of cracks on our sidewalk.
When we moved in together, she said she felt safe, like no one would ever rob us because I definitely locked the door eighteen times.
I’d always watch her mouth when she talked—
when she talked—
when she talked—
when she talked
when she talked;

when she said she loved me, her mouth would curl up at the edges.
At night, she’d lay in bed and watch me turn all the lights off.. And on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off, and on, and off.
She’d close her eyes and imagine that the days and nights were passing in front of her.
Some mornings I’d start kissing her goodbye but she’d just leave cause I was
just making her late for work...

When I stopped in front of a crack in the sidewalk, she just kept walking...
When she said she loved me her mouth was a straight line.

She told me that I was taking up too much of her time.
Last week she started sleeping at her mother’s place.
She told me that she shouldn’t have let me get so attached to her; that this whole thing was a mistake, but...
How can it be a mistake that I don’t have to wash my hands after I touched her?
Love is not a mistake, and it’s killing me that she can run away from this and I just can’t.
I can’t – I can’t go out and find someone new because I always think of her.
Usually, when I obsess over things, I see germs sneaking into my skin.
I see myself crushed by an endless succession of cars...
And she was the first beautiful thing I ever got stuck on.

I want to wake up every morning thinking about the way she holds her steering wheel..
How she turns shower knobs like she's opening a safe.
How she blows out candles—
blows out candles—
blows out candles—
blows out candles—
blows out candles—
blows out…

Now, I just think about who else is kissing her.
I can’t breathe because he only kisses her once — he doesn’t care if it’s perfect!
I want her back so bad...
I leave the door unlocked.
I leave the lights on.


http://poetry.rapgenius.com/Neil-hilborn-ocd-lyrics
http://neilhilborn.tumblr.com/ 
https://www.facebook.com/neilhilborn
https://twitter.com/Neilicorn

giovedì 13 giugno 2013

Famiglie e terapia della famiglia. La terapia strutturale di Salvador Minuchin (1974)

Nel 1914 Ortega y Gasset scriveva "Io sono me stesso più le mie circostanze, e se non le salvo, non posso salvare me stesso" (Minuchin, 1974, p. 13). Per dare un'immagine a questa affermazione Ortega y Gasset si avvalse di una storia: il comandante Peary raccontava che nel suo viaggio verso il polo, si diresse tutta la notte verso nord, facendo correre vivacemente i suoi cani da slitta. La sera controllò le sue bussole e si accorse che era molto più a sud del mattino precedente. Tutta la giornata aveva viaggiato faticosamente verso il nord camminando sulla superficie di un enorme iceberg trascinato a sud dalla corrente oceanica.
Secondo Minuchin, l'esperienza umana è determinata dall'interazione con l'ambiente; l'uomo non è se stesso senza i fatti che condizionano il suo destino.
Il caso di Alice nel paese delle meraviglie
Nel famoso film della Disney, Alice cresce a dismisura fino a occupare, con il suo corpo, tutta la casa. Minuchin paragona la terapia intrapsichica al cambiare Alice, e la terapia strutturale al cambiare Alice all'interno della sua stanza.
"Alice" è una paziente con disturbi del pensiero paranoidi, vissuta per venticinque anni nello stesso appartamento. 
Un giorno la donna tornò a casa e trovò l'appartamento svaligiato. Decise quindi di trasferirsi e chiamò una compagnia di traslochi. Di lì in poi iniziò il suo incubo: le persone che l'aiutavano con il trasloco spostavano ciò che le apparteneva mettendo gli oggetti nei posti sbagliati, perdevano gli oggetti preziosi e cercavano di controllare dove andava, scambiandosi segni di nascosto. 
La donna ricevette dallo psichiatra dei tranquillanti, ma la sua esperienza non cambiò. Fu visitata allora da un altro psichiatra che lasciò di proposito davanti a lei delle bottiglie. La donna pensò subito che fossero pericolose, e il medico raccomandò il ricovero. Ma la donna rifiutò.
Un altro terapeuta i cui interventi erano basati sulla comprensione dell'ambiente dei vecchi e delle persone sole le spiegò che aveva perduto il suo guscio: la casa precedente della quale conosceva ogni oggetto, il circondario e i vicini. A questo punto come ogni crostaceo che perde il suo guscio era vulnerabile. La realtà aveva un diverso effetto su di lei. Il terapeuta la rassicurò dicendo che i problemi sarebbero scomparsi quando le fosse cresciuto un nuovo guscio.
Quanto tempo ci sarebbe voluto?
Doveva togliere dall'imballaggio tutto ciò che le apparteneva, appendere i quadri che avevano abbellito il suo precedente appartamento, mettere i libri negli scaffali, sistemare il suo appartamento affinchè diventasse familiare. 
Tutti i suoi movimenti dovevano essere fatti sistematicamente. Doveva alzarsi a una certa ora, far compere a un tempo prestabilito, andare negli stessi negozi, pagare alla stessa cassa, etc. Non doveva provare a fare nuove amicizie nel quartiere per due settimane. Doveva andare nella zona dove aveva abitato e far visita ai vecchi amici, ma per non gravare sugli amici e sulla famiglia non avrebbe dovuto descrivere nessuna delle sue esperienze. Se qualcuno le avesse chiesto che problemi aveva, doveva rispondere che si trattava unicamente di sciocchi problemi da vecchi paurosi. 
Questo intervento aiutava la paziente a stabilire una routine per accrescere il senso di familiarità con il nuovo territorio. Doveva esplorare ed esaminare la nuova strana zona in cui viveva, allo stesso modo degli animali. La paurosa esperienza di non familiarità con l'ambiente era stata interpretata, da questa donna sola come una cospirazione alle sue spalle. 
Nella misura in cui aveva cercato di comunicare le sue esperienze, la risposta dell'ambiente era stata quella di amplificare la sua percezione di essere anormale e psicopatica. Amici e parenti si erano spaventati e l'avevano spaventata con cospirazioni di segretezza. Due psichiatri le avevano diagnosticato una psicosi con allucinazioni paranoiche e avevano proposto il suo internamento. Una comunità paranoica si era sviluppata intorno a lei.
Un terapeuta comportamentale aveva interpretato il suo trasferimento come una crisi ambientale. 
Seguendo la metafora di Alice nella stanza, aveva percepito che la donna stava cambiando più lentamente del mondo che la circondava. Il suo intervento implicava un cambiamento della donna all'interno del suo mondo dandole un controllo sull'ambiente finchè non le fosse divenuto familiare. Il terapeuta aveva così protetto la donna prendendo in mano la situazione e guidandola "mentre le cresceva il nuovo guscio". Al contempo aveva bloccato i processi di risposta che amplificavano la patologia della paziente. Man mano che il suo intervento cambiava l'esperienza che la donna aveva del proprio ambiente, i sintomi sparivano. 
Ella continuò a vivere nel nuovo appartamento, con l'indipendenza desiderata. Il cambiamento non era avvenuto all'interno o all'esterno della paziente, ma nel modo di porsi in relazione con l'ambiente.
L'intervento strutturale opera sul processo di risposta tra l'ambiente e la persona che lo sperimenta, sui cambiamenti imposti da una persona sull'ambiente e sul modo in cui la risposta a questi cambiamenti influenza ogni suo conseguente movimento. Uno spostamento di posizione di una persona messa di fronte al suo ambiente costituisce anche una svolta nell'ambito della sua esperienza. Cambiando il rapporto tra una persona e il contesto in cui funziona, si cambia la sua esperienza di soggetto.

Bibliografia
Minuchin, S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma.

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