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mercoledì 5 luglio 2017

Fluttuazioni narcisistiche e compassione nello sviluppo e decorso dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare)



Searching all directions with your awareness, 
you find no one dearer than yourself. 
In the same way, others are thickly dear to themselves. 
So you shouldn't hurt others if you love yourself.

(TheravadaUdana 47 - Rajan Sutta)

Viruncamban, uno dei dodici giganti demoni guardiani Ramayana all'aereoporto Suvarnabhumi (Bangkok, Thailand). La statua riproduce lo stesso gigante del Temple of the Emerald Buddha (Wat Phra Kaew). Viruncamban, dal volto blu e gli occhi da coccodrillo, aveva il potere di rendersi invisibile. Fu eletto da Tosakanth dopo che la meditazione del demone era stata interrotta. Dopo aver assistito alla morte dell'amico stretto Satasoon per mano di Hanuman, Viruncamban si rese invisibile a sé stesso e al suo esercito, e scurì il cielo per facilitare la sua fuga nell'oceano, mentre la sua falsa immagine combatteva instancabilmente. Sotto suggerimento di una fanciulla celeste denominata Wanarin, Viruncamban si nascose sotto il letto dell'oceano vicino al Monte Akatkiree.

Un recente articolo pubblicato sulla rivista Eating Behaviours ha esaminato il ruolo della compassione verso di sé, nelle problematiche relative all’immagine corporea e allo stile alimentare.
Cos’è la compassione per sé stessi? Essa riguarda un atteggiamento di cura e gentilezza verso di sé, piuttosto che di giudizio; la capacità di riflettere sul proprio dolore con umanità, piuttosto che rifugiarsi nell’isolamento; la consapevolezza dei propri limiti, piuttosto che rimuginare sui fallimenti (Neff, 2003a). 
Quali sono i rapporti tra autostima e compassione per sé stessi? L’autostima può essere definita come una valutazione complessiva positiva di sé (Rosenberg, 1965); la compassione riguarda invece una forma più stabile e incondizionata di cura di sé, che si differenzia dalle fluttuazioni narcisistiche (ad esempio assumere un atteggiamento rigidamente difensivo verso l’ottimismo o il pessimismo). In tal senso la differenza tra autostima e compassione per sé stessi consiste nell’espressione di un giudizio perentorio (polarizzato, fisso) riguardante il proprio valore, rispetto alla possibilità di accettarsi semplicemente per quel che si è nella propria unicità, cioè proprio perché “sé stessi”. 
La compassione verso di sé, ha comunque un’influenza significativa sull’equilibrio narcisistico: un sano livello di autostima infatti, prevede il riconoscimento delle proprie qualità e dei propri limiti in maniera bilanciata. Tale costrutto come aspetto basilare della compassione psicologica in senso più ampio (rivolta agli altri), è stata associato anche alla possibilità di riconoscere il proprio ruolo in situazioni di crisi, imparare dai propri errori, e alla capacità di riconoscere e accettare parti di sé (positive o meno) per ciò che sono.
In che modo la compassione verso di sé incide nello sviluppo dei DCA? Kelly, Vimalakhantan e Carter (2014) hanno trovato che il miglior predittore per lo sviluppo di disturbi alimentari consisteva in un basso livello di compassione verso di sé. Pazienti con problematiche alimentari che riuscivano a sviluppare la capacità di essere compassionevoli verso di sé durante il trattamento, mostravano una risposta migliore alle cure, nel corso di 12 settimane (Kelly, Carter, e Borairi, 2014). 
Questi dati suggeriscono che la possibilità di accettare sé stessi gioca un ruolo importante nella gestione dell’immagine corporea e nella gestione dell’alimentazione in relazione alle problematiche narcisistiche legate al piacersi fisicamente, e al “sentirsi abbastanza”. 
I ricercatori Kelly, Vimalakhantan e Carter (2014) hanno anche evidenziato un altro aspetto relativo alla compassione verso sé stessi: il timore di provarla oppure di ricevere compassione dagli altri risultava essere il miglior predittore rispetto al mantenimento della problematica alimentare. Come vengono letti questi risultati clinicamente? Ricevere compassione dagli altri o provare compassione verso di , può rappresentare un’esperienza relativamente spaventosa per alcuni individui in quanto essa implica un’ammissione di vulnerabilità (cioè della propria umanità rispetto a un’illusoria onnipotenza), che può essere negativamente letta come debolezza o fallibilità. Tale livello di perfettibilità in questi casi si scontrerà con le difese narcisistiche più resistenti (“devo essere perfetto/a o non sono niente”). 
Secondo Gilbert et al., (2011) le persone che temono di più la compassione in realtà sono convinte di non meritarla; oppure sono eccessivamente (irrealisticamente) preoccupate di abbassare i propri standard e apparire deboli agli altri (quindi in maniera amplificata a sé stessi). E’ stato visto che queste persone mostrano in media un livello più alto di psicopatologia rispetto alla popolazione totale.  
In conclusione, la capacità di ricevere e provare compassione è un importante fattore protettivo contro lo sviluppo di disturbi alimentari (così come altri tipi di dipendenze compulsive) e può facilitare la remissione dei sintomi quando il disturbo è già presente. Essa può quindi essere considerata un importante obiettivo terapeutico nel corso del trattamento dei DCA, e di altri tipi di disturbi in generale.
Bibliografia

Kelly, A.C., Carter, J.C., Borairi, S. (2014), Are improvements in shame and self-compassion early in eating disorders treatment associated with better patient outcomes? International Journal of Eating Disorders, 47(1),54-64.

Kelly, Vimalakhantan, Carter (2014), Understanding the role of self-esteem, self-compassion, and fear of self-compassion in eating disorder pathology: An examination of female students and eating disorder patients. Eating Behaviours, 15 (2014) 388-391.
Neff, K. D., (2003a), Self compassion: An alternative conceptualization of a healthy attitude toward oneself. Self and Identity, 2(2), 85-101.
Rosenberg, M. (1965), Society and the adolescent self-image. Princeton: Princeton University Press.

mercoledì 17 dicembre 2014

Lo sviluppo dell'Io nelle identificazioni di gruppo (radici teoriche in Freud, 1921)


“Se ricevo il gesto di tenerezza nella sfera della domanda, io sono appagato: 
quel gesto non è forse come un miracoloso condensato della presenza? 
Ma se invece lo ricevo (e ciò può essere simultaneo) nella sfera del desiderio, 
io sono inquieto: la tenerezza, a buon diritto, non è esclusiva; 
io devo perciò ammettere che ciò che ricevo, anche altri lo ricevono 
(talvolta mi è anzi dato di vederlo). 
Dove ti dimostri tenero, là individui il tuo plurale”
 (Barthes, 1977, Frammenti di un discorso amoroso)

Skins, la serie inglese culto è andata in onda la prima volta il 25 gennaio 2007 sul canale E4.

Nell’opera Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Freud affronta il problema della relazione dell’individuo sia con l’Altro che all’interno del gruppo e della società. Freud afferma che l’Altro è sempre un “modello, un oggetto, amico o nemico” e definisce la natura della relazione oggettuale in contrapposizione ai fenomeni narcisistici che vengono realizzati indipendentemente da altre persone.
Freud affronta il tema della relazione gruppale: “Un gruppo si presenta come un insieme d’individui che hanno tutti sostituito il loro ideale dell’Io con lo stesso oggetto, il che porta all’identificazione del proprio Io”. Il gruppo può essere fondato secondo l’autore dalla mancanza d’indipendenza e iniziativa da parte dell’individuo. Freud cita Trotter (1916) che fa derivare i fenomeni psichici della massa da un istinto gregario, innato negli uomini e negli animali. Questo tipo d’istinto è in relazione alla pluricellularità e alla teoria della libido; esso è primario e indecomponibile. L’individuo si sente incompleto quando è solo, il contrasto con il gruppo equivale alla separazione da esso e ciò viene per questo motivo evitato. Per Trotter gli istinti primari sono: conservazione, nutrizione, istinto sessuale e gregario. Quest’ultimo può essere in contrasto con gli altri. La rimozione in tale contesto deriva dal senso di colpa che consente la possibilità di aggregazione (al contrario dell’antisocialità). L’istinto gregario tuttavia non è primario quanto l’istinto di conservazione e l’istinto sessuale. L’istinto di conservazione potrebbe essere uno spunto su cui riflettere ulteriormente: in cosa consiste di fatto? La paura che il bambino prova quando è solo per Freud  (1921) è desiderio insoddisfatto della madre che diventa angoscia. Essa non si calma con l’apparizione di un qualunque uomo, anzi può essere provocata dall’apparizione di un estraneo. 

Queste descrizioni ricordano molto la teoria bowlbiana dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1980). Il bambino però secondo Freud (1921) nasce privo di tale istinto; esso si crea nella nursery come effetto del rapporto con i genitori e come risultato della gelosia verso il fratello minore. Tale gelosia, una volta superata andrebbe secondo l’autore a creare il senso di comunità. Lo spirito di gruppo deriva pertanto dal superamento della gelosia. La socialità pertanto riguarda la trasformazione di un sentimento ostile in un “attaccamento positivo”, ovverosia in un’identificazione.

Freud (1921) in questo caso corregge l’affermazione di Trotter (1916) circa l’uomo come animale gregario, esso è invece un animale di un’orda, cioè un elemento costitutivo di un’orda guidata da un capo. Per Freud (1921) si distingue quindi una psicologia individuale e una di gruppo. Il capo del gruppo è libero, ha pensiero proprio forte e indipendente, la sua volontà non ha bisogno di essere rafforzata da quella degli altri. Egli è simile al Superuomo di Nietzsche (1883).
Come si sviluppa l’Io nelle identificazioni con il gruppo e in relazione ad un capo potente? L’individuo può ottenere diverse identificazioni in relazione a vari gruppi di cui fa parte, inoltre la rinuncia dell’ideale dell’Io in relazione all’ideale collettivo non è uguale in tutti i casi: tale scissione talvolta può coesistere, insieme al narcisismo conservato del soggetto. Per alcuni l’istinto gregario deriva dall’incarnazione del capo del proprio ideale dell’Io, mentre per altri, per i quali tale incarnazione non è completa, l’aggregazione avviene per identificazioni o mediante la suggestione. In questo passaggio dello sviluppo dell’Io rispetto al gruppo di Freud, possiamo rintracciare alcuni meccanismi di formazione della personalità secondo identificazioni veicolate dal gruppo, che verranno poi ampiamente descritte da Erickson (1982) nella disamina sulla formazione dell’identità in adolescenza. Freud spiega che il differenziarsi nel gruppo può produrre una difficoltà nel funzionamento psichico; causarne arresto o malattia. La separazione dell’Io dall’ideale dell’Io, non può durare a lungo senza generare uno scompenso. Quando Io e ideale dell’Io coincidono si ha sensazione di trionfo, quando sono in tensione, emerge il senso di colpa e di inferiorità. L’amore respinto ad esempio, diventa malinconia nel soggetto perché i rimproveri rivolti all’oggetto abbandonato ricadono sul .
Il bambino secondo Freud si lega agli altri mediante la deviazione della pulsione sessuale, che è l’unica reale spinta al legame. La tenerezza e l’attaccamento affettivo derivano pertanto dalla rimozione della pulsione sessuale. Le tendenze sessuali secondo Freud sono contrarie all’istinto gregario. Queste affermazioni di fatto sembrano essere spiegate più esaustivamente dalla concezione della motivazione complessa all’attaccamento di Lichtenberg (2012), ma possono essere apprezzate in quanto rivelano un Freud paradossalmente “relazionale”.

martedì 2 luglio 2013

Un caso di disturbo ossessivo-compulsivo - di Bernard Brandchaft.


Il trasloco di A. per arredarsi una casa propria minacciava di renderlo capace di tirarsi fuori dallo squallore al quale l'impegno con suo padre lo aveva condannato. 
Il "contratto", sul quale suo padre aveva contato, stava ora per essere rotto. Un nuovo legame con l'analista stava minacciando di spodestare il vecchio, e stava rendendo A. capace di ristabilirne di precedenti e sperare di liberarsi dalle opprimenti influenze che bloccavano il suo cammino.
Il processo di recupero della sua vita come cosa propria stava al tempo stesso attivando il pensiero arcaico inconscio secondo cui stava eliminando l'unica ragione di vita di suo padre.
Un violento sommovimento nelle profondità del mondo interiore di A. segnalò l'imminente rottura di un legame di attaccamento arcaico al quale A. era arrivato a sentire dipendere la propria sopravvivenza psicologica. 
I sintomi di estraneazione e l'avvicinamento ad uno "stato vegetativo" erano reazioni di paura ad una minaccia mortale che questo fondamentale cambiamento inconsciamente gli stava procurando. 
Metter piede in un mondo strano e alienante fatto da lui stesso fu per A. un'esperienza molto simile ad un salto nel vuoto.

A. un giovane funzionario di un azienda in analisi per 3 o 4 mesi, aveva una storia passata di grave dipendenza da droga che era culminata qualche anno prima in un'ospedalizzazione seguita da un episodio paranoico indotto dalla droga. 
A. era un bambino abbandonato a se stesso, il minore di tre, cresciuto in un'area urbana degradata del Mid-West da una madre lavoratrice che stava fuori tutto il giorno, e da un padre che aveva un'umile occupazione in un grande magazzino. Le discussioni tra i genitori culminavano frequentemente in eruzioni di collera vulcaniche e di terrificante violenza fisica. L'infanzia di A. fu caratterizzata da un'opprimente solitudine e abbandono. Lasciato con un fratello più grande, si sviluppò un'intensa rivalità che inevitabilmente condusse a una selvaggia ripetizione dei rapporti sadomasochistici dei loro genitori. Nell'esperienza infantile di A. ci fu poco spazio per il conforto, poichè secondo il resoconto di A., la fragilità e la vulnerabilità di sua madre all'offesa profonda, la lasciavano apparentemente priva della capacità di confortare perfino se stessa. Suo fratello condivideva la stanza con la madre, mentre A. dormiva in una stanza con il padre e divenne "tutto suo padre".
Il padre trovò nella qualità atletiche del figlio la sua sola fonte di orgoglio "preso in prestito", mentre i due trovavano riparo l'uno nell'altro in questo ambito privo di gioia. 
Il conforto che A. derivava dall'orgoglio del padre comportava dei costi pesanti, comunque poichè egli si sentiva spinto ad alimentarlo continuamente, sorpassando se stesso, non per qualche proposito che gli appartenesse distintamente, poichè non aveva potuto svilupparne alcuno, ma per mantenere lo spirito di suo padre a galla. In un sogno ricorrente, A. si trovava in una palestra, in un'ampia piscina che occupava completamente la stanza. La piscina non aveva bordi, l'acqua era raccolta all'interno di pareti di mattonelle luccicanti che si estendevano fino all'alto soffitto. A. nuotava furiosamente, e capiva che doveva continuare a nuotare per mantenersi in vita.
Il modello della più tarda sintomatologia ossessivo-compulsiva venne posto in questa infanzia solitaria dalle preoccupazioni rituali di A. che batteva senza fine una palla contro un muro o che lanciava monetine contro una linea finchè non ne poteva più. Qui spinto dal suo bisogno di superare sempre se stesso, cominciò i rituali di conteggio e il dubbio spietato, e la masturbazione che sopportava finchè non ce la faceva più. 
Nella sua infanzia, i suoi movimenti erano circoscritti da un insieme di proibizioni geografiche e dalle sanzioni che compulsivamente si infliggeva qualora avesse violato qualcuna di queste regole. Il comportamento ritualizzato continuò a invadere la sua vita successiva, sempre per salvaguardarsi da qualche minaccia mortale alla sua esistenza. Una preoccupazione ossessiva, per ciò che aveva fatto o mancato di fare, innescava interminabili rituali di conteggio ed un rimuginare senza fine su soldi, peso, dati (che aveva e non aveva), e conduceva a stati di presentimento infausto sulla sua sopravvivenza. 
A. cercò presto conforto nella masturbazione dai terrori delle battaglie con suo fratello, dalla sua anticipazione delle sgridate di sua madre, o proprio dalla mancanza di senso dell'esistenza. Avendo scoperto che la fonte di un certo piacevole sollievo, era incapace di liberarsi da una terrificante convinzione dell'onniscente presenza di sua madre e dall'anticipazione delle sue critiche distruttive. Questo circuito interiore si stabilì come un carattere permanente della sua esperienza di sé, tormentata dalla paura, e il suo impatto veniva intensificato ogni qualvolta ella gli assicurasse causticamente in qualunque contesto, che lei sapeva "per cosa si era alzato", o riguardo a cosa egli "pensava di averla fatta franca". Il modello era strutturato in questo modo perchè il dubbio tormentoso  e l'autocondanna assalissero interi segmenti dell'esperienza interiore di A. Ogni sua personale attività piacevole presto cominciò a tormentarlo, per finire inevitabilmente in "un diluvio sempre crescente di indecisione, perdita di energia e limitazione della libertà" (Freud), ed infine in un'orgia di autopunzecchiamenti e auto-disprezzo. Dal momento che questo ciclo non imprigionò la sua sessualità, condusse ad un esaurimento privo di piacere, e pose le premesse per la successiva tossicodipendenza.
Man mano che l'analisi procedeva, A. cautamente descrisse uno schema di comportamento rituale. A tarda notte avrebbe trovato delle prostitute e si sarebbe abbandonato a messe in scena di sculacciamenti e percosse. Questi desideri si erano rivelati tanto irresistibili per lui, nonostante i pericoli a cui lo esponevano, quanto egli sentiva i suoi continui bisogni di masturbazione. Uno schema significativo emerse quando A. cercò di capire il suo comportamento. Aveva imparato che doveva tenere sua madre a distanza se voleva evitare la sua opprimente influenza. Il conforto transitorio che provava nell'evitare o nell'interrompere i contatti con lei, veniva continuamente eroso, e diventò chiaro che le messe in scena stavano diventando gli unici mezzi attraverso i quali poteva metter termine alla sua preoccupazione ruminativa che sempre sembrava seguire le loro conversazioni.
La "cura" che poteva ottenere quando era capace di districarsi, prestare attenzione a ciò che la connessione con lei gli stava facendo, e creare uno spazio per se stesso, conduceva sempre ad un riemergere del disagio nel quale la sua attenzione era completamente assorbita da una spaventevole preoccupazione per ciò che il suo ricorrere al suo proprio centro interiore le stava facendo. Secondo lui, le sgridate e le espressioni ferite di sua madre gli cadevano addosso come un rimprovero in codice, e il tentativo di A. di liberarsi da un legame nocivo era incessantemente seguito da immagini autolaceranti di se stesso come inescusabilmente crudele e ingrato.
Queste interazioni lo facevano sempre sentire desolato e malevolo. In una spirale in caduta sarebbe diventato ossessionato dai suoi desideri erotici e, spinto da ciò, avrebbe trovato una prostituta inesperta e l'avrebbe condotta nel suo appartamento. Una volta lì, egli l'avrebbe incoraggiata a confidarsi con lui come un padre affettuoso, l'avrebbe confortata e consolata. Questo comportamento era finalizzato a rispondere alla spinta anti-piacere che lo accompagnava, secondo cui egli era soltanto egoisticamente interessato al suo piacere e non si preoccupava di nient'altro. Svolti questi preliminari, A. avrebbe confessato di essere stato "cattivo", e che il processo punitivo sarebbe culminato nel rituale dello sculacciamento. 
Via via che la relazione di A. con sua madre venne ad occupare il centro dell'analisi, i suoi sogni rifletterono la permanente esperienza che aveva di lei, una donna i cui lamenti e imprecazioni cadevano su di lui come colpi di frusta. In un sogno, dava ordine ai suoi servi di batterlo. 
Nella sua infanzia, il fratello di A. aveva scoperto che si poteva ingraziare la loro madre che incitava A. a lamentarsi di lei in modo irriverente e poi a picchiarlo. La sera, il fratello avrebbe raccontato queste vicende. Se A. cercava di spiegarsi o di trovare comprensione, lei rispondeva causticamente, "Non ti lamentare con me, te lo sei voluto!". Il suo sogno aveva fatto seguito ad una lettera di rimprovero di lei alla quale si era rifiutato di rispondere.
Successivamente A. divenne - con terrore - consapevole di quanto rigorosamente avesse replicato il modello di precoce abbandono nella sua cura di se stesso. Il suo appartamento rimase tanto nudo e austero quanto la casa della sua infanzia. La sua decisione di arredare l'appartamento condusse ad una raffica di dubbi ossessivi, così mise la cosa nelle mani di un arredatore, ma si sentì spinto a metter fine alla consultazione quando fu sopraffatto dal panico mentre stavano discutendo insieme i progetti. Egli era solo, un periodo di nera disperazione e "la più assoluta solitudine" che avesse mai provato si abbatterono su di lui. Era tutto ciò che poteva fare per resistere ad un rinnovato bisogno di cocaina causato dalla sua paura. Cominciarono degli intervalli di sollievo ed osservò che potevano placare un pò i sentimenti di morte che aveva cominciato a sviluppare, ma per le successive ventiquattro ore non riuscì a trattenere alcun cibo o liquido, e questo aumentò la sua paura. Il giorno dopo era in pessime condizioni e disse che aveva fatto fatica a rispettare il suo appuntamento analitico. Parlò di onde di intollerabile "solitudine" e di aver dovuto combattere contro desideri strapotenti solo per "raggomitolarsi e giacere nel letto e vegetare". Sentiva di essere in pericolo di vita e stava prendendo in considerazione l'idea di farsi visitare in una istituzione psichiatrica. 
Venne fuori che A. aveva concluso che l'analista si sarebbe sbarazzato di lui perchè troppo disturbato per un'analisi, e lo avrebbe dirottato verso una cura istituzionale e verso la farmacologia, e questa anticipazione aveva contribuito al suo panico e disperazione. Quando queste paure vennero portate alla superficie e analizzate nelle sedute immediatamente successive, A. finì per sentirsi più sicuro nella sua considerazione che l'analista non sembrava ritenere il disturbo di A. fosse una ragione per sbarazzarsi di lui, ma piuttosto una per un più profondo esame analitico. 
Quando l'agitazione di A. si calmò, fu capace di riconoscere che l'impulso che aveva scatenato la violenta reazione era stato un crescente sentimento di eccitazione alla prospettiva di liberarsi di modi radicati di essere auto-punitivo. Consapevole della peculiarità della successione mentale all'interno della quale un'intenzione apparentemente innocua poteva affrettare una tale irresistibile caos, A. divenne più riflessivo, e ricordò un sogno "notevole" e spaventoso, avuto dopo essersi infine addormentato nella notte fatale.
"Ero in un campo vicino a una palestra. Guardavo verso l'alto e con mio spavento c'era l'aereoplano che stava rapidamente perdendo quota; fui preso da una sensazione di nausea (si stava ricordando dei conati che lo avevano colto il giorno prima) quando vidi l'aereo fuori controllo e ad un passo dallo schiantarsi a terra. Ci fu un sonoro boato quando precipitò e poi ogni cosa fu avvolta dalle fiamme. Mi sentivo malissimo e desideravo nascondermi".
Le associazioni di A. prima si diressero verso la sua incertezza su se c'era lui o suo padre all'interno dell'aereo, prima di convincersi che c'era suo padre, ora morto. Ricordò il disprezzo di sua madre per la mancanza di successo di suo padre. I copiosi elogi che suo padre gli rivolgeva erano spesso costellati di riflessioni depressive e di resoconti auto-denigratori della sua incapacità di avvantaggiarsi dalle occasioni che gli erano passate accanto. Ricordò che il senso di sè di suo padre sembrò sbriciolarsi quando si rese conto che ciò che A. poteva diventare era al tempo stesso una deprimente dimostrazione di ciò che egli, il padre, era stato incapace di essere, e poteva alla fine allontanare A. da lui. Egli ricordò il tentativo di combattere l'auto-denigrazione depressiva di suo padre con dichiarazioni per cui egli era, e sarebbe sempre stato, indispensabile per A., per cui A. non sarebbe stato capace di vivere senza suo padre. I ricordi tornarono ai sogni del loro glorioso futuro insieme, che avrebbe cambiato le loro vite dal disastro al dolce trionfo. Ed A. divenne progressivamente consapevole del suo pensiero per cui l'espansivo amore di suo padre era stato suo solo alla condizione che egli non avesse permesso a se stesso alcuna relazione la cui influenza su di lui avesse superato quella di suo padre, nè avesse preso fiducia nella capacità di trovare la propria strada senza la direzione di suo padre.
Il trasloco di A. per arredarsi una casa propria minacciava di renderlo capace di tirarsi fuori dallo squallore al quale l'impegno con suo padre lo aveva condannato. Il "contratto", sul quale suo padre aveva contato, stava ora per essere rotto. Un nuovo legame con l'analista stava minacciando di spodestare il vecchio, e stava rendendo A. capace di ristabilirne di precedenti e sperare di liberarsi dalle opprimenti influenze che bloccavano il suo cammino. Il processo di recupero della sua vita come cosa propria stava al tempo stesso attivando il pensiero arcaico inconscio secondo cui stava eliminando l'unica ragione di vita di suo padre. Un violento sommovimento nelle profondità del mondo interiore di A. segnalò l'imminente rottura di un legame di attaccamento arcaico al quale A. era arrivato a sentire dipendere la propria sopravvivenza psicologica. I sintomi di estraneazione e l'avvicinamento ad uno "stato vegetativo" erano reazioni di paura ad una minaccia mortale che questo fondamentale cambiamento inconsciamente gli stava procurando.
Metter piede in un mondo strano e alienante fatto da lui stesso fu per A. un'esperienza molto simile ad un salto nel vuoto.

R. Stolorow, B. Brandchaft, G. Atwood, (1999) Psicopatologia intersoggettiva. Quattroventi

martedì 11 giugno 2013

La ricerca del Sé. Introspezione, empatia e psicoanalisi:rapporto tra modalità di osservazione e teoria (Kohut, H., 1959)

(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)


Alcuni concetti chiave:
Psicologia del Sé: sottolinea che sono le relazioni esterne, le relazioni con gli altri avente origine nelle cure genitoriali a fare in modo che l’individuo acquisisca e mantenga una adeguata autostima e coesione del Sé, garantendo la sua sopravvivenza emotiva nel corso della intera vita. L’investimento libidico del Sé è il fondamento della salute psichica; è al centro dell’apparato psichico primitivo e la sua coesione risulta fondamentale per lo sviluppo successivo dell’Io. Il Sé è anche il centro della personalità e consente all’individuo di viversi come un polo autonomo. Il Sé è alimentato dalla relazione con gli altri, dalla relazione materna. Pertanto una inadeguata relazione madre-bambino conduce il Sé a ripiegarsi su se stesso e a fissarsi su una posizione narcisistica; in tal modo l’esperienza del Sé si disintegra ed origina un Sé “grandioso”. C’è un fisiologico sviluppo narcisistico della personalità a partire da una grandiosità arcaica che sfocia in un narcisismo sano e costruttivo, base dell’autostima. Qualità del narcisismo evoluto sono la creatività, la produttività, l’umorismo e la saggezza.

Metodo Introspettivo: “Assumere utilmente un vertice di osservazione di tipo empatico significa tentare di cogliere, nel modo più coerente possibile, l’esperienza soggettiva del paziente, inclusi i sentimenti che egli prova nei confronti dell’analista, dalla prospettiva propria del paziente stesso. Una delle conseguenze più importanti di questo cambiamento del metodo di osservazione è il fatto che il focus analitico principale non è più costituito dalla sottolineatura della discrepanza tra l’esperienza interna del paziente e la realtà, ma dalla necessità di catturare (cioè di comprendere e spiegare) la logica arcaica dell’esperienza interna, senza giudicarla dalla prospettiva di realtà propria dell’analista” (Ornstein, 1998, p. 135).

Nell'introduzione al volume La ricerca del Sé Franco Paparo mette in evidenza sostanzialmente due aspetti: il primo aspetto riguarda la descrizione del suo incontro e confronto, nel 1971, come psichiatra e psicoanalista impegnato nella pratica con pazienti gravi - sia essi psicotici, sia affetti da organizzazione a limite - con il contributo teorico di Kohut. Paparo spiega quindi che la teoria di Kohut riguarda nello specifico la formulazione della patologia del Sé; i costrutti riguardanti l'empatia (1959); le forme e le trasformazioni del Narcisismo (1966); la rabbia narcisistica (1972). La portata innovativa dei contributi teorici sollecitarono Paparo a promuovere una raccolta dei saggi da tradurre in italiano; quindi a conoscere ed avviare la collaborazione con Kohut. Da questo lavoro emergeranno contenuti volti a bonificare il concetto di Narcisismo. Tali contenuti, se inizialmente venivano riferiti sottovoce, troveranno nel 1977 una piena affermazione. Per definire cos’è che porta alla cura della patologia del Sé, si rende necessario riesaminare criticamente un ampio spettro di contenuti teorici già stabiliti in precedenza dalla psicoanalisi (Kohut, 1977). Kohut evidenzia subito il carattere introspettivo-empatico dell'esperienza del Sé iscrivendolo nel registro della psicologia del profondo e differenziandolo sia dalle strutture dell'Io, Es e Super-io - con diversa elaborazione concettuale -, sia dai concetti di Personalità e Identità che come dice Kohut (1971) non originano dal registro Psicoanalitico; accanto ad una psicologia del Sé in senso stretto, nel quale il Sé rappresenta un semplice contenuto della mente, va considerata una psicologia del Sé in senso lato, nel quale il Sé costituisce un centro indipendente d'iniziativa.
Il secondo aspetto che viene preso in esame, riguarda la presentazione dei sei capitoli del libro La ricerca del Sé. In questo lavoro, tratteremo il primo capitolo: “Introspezione, empatia e psicoanalisi”. Questo punto di partenza nel pensiero di Kohut, sancisce una prima nozione fondamentale: l’indagine sul mondo esterno attraverso i nostri organi di senso corrisponde all’indagine nel mondo interno attraverso l’introspezione e l’empatia, definita anche introspezione vicariante.


Introspezione, empatia e psicoanalisi

Kohut implementa una definizione circa i fenomeni fisici e psicologici: quando operiamo un’osservazione attraverso gli organi di senso, abbiamo semplicemente un fenomeno fisico. Quando l'osservazione è condotta attraverso l’empatia e l’introspezione abbiamo un fenomeno psicologico. Questa affermazione va intesa in senso ampio: così come vi sono pianeti invisibili a influenzare pianeti direttamente osservabili, così nella Psicoanalisi, le strutture psicologiche dell'inconscio e del preconscio possono essere considerate in un quadro di esperienze di introspezione, vissute o potenziali. Ora la domanda è la seguente: l’introspezione e l’empatia fanno sempre parte di ogni osservazione psicologica? A tale riguardo Kohut porta un esempio: la visione di una persona eccezionalmente alta. Osservare l’attributo fisico dell’altezza da un punto di vista privo di empatia ed introspezione, significa osservare un attributo squisitamente fisico! Ma se proviamo a metterci al posto della persona alta - cioè rivisitiamo nostre esperienze interne nelle quali ci siamo fatti notare per qualche attributo - accadono in noi due cose: una è quella di riconoscere il significato che può avere quella statura, e l'altra è quella di aver osservato un fatto psicologico. Conseguenza di quest'ultimo punto, è che quando osserviamo solo gli aspetti fisici in assenza di empatia ed introspezione non osserviamo il fatto psicologico di un’azione, ma solamente il fatto fisico dei movimenti. Ma cos’è un atto psicologico? La domanda è necessaria perché uno schema di movimenti con un suo fine preciso non basta a definire un atto psicologico.
Possiamo osservare un fenomeno “somatico”, “comportamentale” o “sociale” quando il nostro metodo di osservazione non include in modo prevalente introspezione ed empatia. Quindi possiamo definire i fenomeni come Mentali, Psichici o Psicologici, se la nostra modalità di osservazione include introspezione ed empatia come costituenti essenziali. Il termine essenziale sta a significare che introspezione ed empatia non possono mai mancare ma al contempo possono essere mescolate con altri metodi di osservazione; anche se poi il risultato finale è quello di un atto introspettivo o empatico. L'uso dell'empatia entra nella nostra vita di tutti i giorni e la nostra sensibilità psicologica è facilitata quando osserviamo persone con cui abbiamo qualche radice culturale comune; ma anche quando incontriamo persone che ci sembrano lontane da noi, confidiamo di capirle da un punto di vista Psicologico, attraverso la scoperta di una esperienza comune con la quale empatizzare! I pionieri dell’introspezione e dell’empatia per eccellenza sono stati già Freud e Breuer; tuttavia, altri aspetti dell’inconscio, dei fenomeni psicologici normali e patologici; le libere associazioni, l’analisi delle resistenze etc. hanno oscurato il fatto che il primo passo di questa scienza fosse l’introspezione e l’empatia. L’analisi delle libere associazioni e l’analisi delle resistenze sono da considerarsi strumenti ausiliari a servizio del metodo di osservazione introspettivo ed empatico. Ora la dimostrazione importante è quella di definire come questo metodo di osservazione determini il contenuto e i limiti del campo osservato; ma ancor di più la connessione fra introspezione e teoria psicoanalitica, e come il misconoscimento di quelle aeree ha portato ad omissioni ed errori.


Resistenze all’introspezione

La resistenza alla libera associazione è una funzione difensiva della mente, come una sorta di paura da parte del paziente di conoscere contenuti inconsci e i loro derivati. Ci sono altresì ragioni recondite che potrebbero essere ricondotte alla paura di rimanere “sguarniti e nudi” di fronte a tensioni emergenti. Di fatti, è come se fossimo più attrezzati ad un pensiero finalizzato ad un’azione.  L’introspezione si “oppone” a tale dinamica, in quanto la terapia analitica prepara “in toto” alla libertà di azione, e la libera associazione in se stessa prepara ad un rimaneggiamento strutturale attraverso una aumentata capacità a tollerare la tensione. Le apprensioni circa il dispendio di energie sia psichiche sia materiali nel senso di costi economici, sembrerebbero nascondere la paura dell’inattività di fronte al flusso di energia derivante dall’introspezione; come una sorta di evasione dalla realtà (questa può essere presente nelle forme patologiche). Tuttavia, il fatto che se ne possa fare un uso sbagliato, non ci deve distogliere dalla realtà che nei casi migliori essa è attiva, investigativa e intraprendente. Nella sua massima potenza, essa è animata ad ampliare ed approfondire il nostro campo di conoscenza.

Organizzazione mentale precoce
E’ fuori di dubbio che l’attendibilità dell’empatia diminuisca tanto più l’osservatore sia diverso dall’osservato, e in tal senso, gli stati mentali primitivi diventano una sfida alla capacità di empatizzare con una persona (o meglio con un assetto mentale passato). Nelle concettualizzazioni di Freud sulle “nevrosi attuali” l’introspezione non ha portato nessun risultato psicologico, se non angoscia e dolore. Tant’è vero che questi risultati portarono Freud a considerare tale tipo di nevrosi come il risultato di disturbi organici; da indagare pertanto con strumenti biochimici. Di fronte a stati psicopatologici gravi vennero messi in atto degli espedienti operativi. Invece di estendere una forma rudimentale di empatia agli stati primitivi, si confusero le osservazioni ottenute con il metodo introspettivo, con le teorie basate sul metodo dell’osservazione della psicologia sociale (relazione madre-bambino). Questo tipo di processi aldilà dell’empatia e dell’adattamento che ne deriva, sono simili al movimento dell’acqua del ruscello che incontra, i massi prima di confluire nel fiume. All’estremo opposto di questi processi, troviamo gli stati psicologici più vicini alla nostra empatia, al nostro processo logico e alla facoltà di scelta e di decisione.

Conflitto endopsichico e conflitto interpersonale
Kohut mette in evidenza una differenza tra diversi tipi di conflitti, in relazione alla gravità della psicopatologia: essi riguardano le strutture Es, Io e Super-Io per i pazienti nevrotici, mentre l’ambito interpersonale per pazienti più gravi (psicotici o disturbi al limite). I conflitti interpersonali sono relativi alle relazioni arcaiche (il Sé non adeguatamente formato nella relazione oggettuale risulta carente e bisognoso di appoggio per formare la propria identità e il carattere). 
Kohut, che nel 1959 non ha ancora formulato una teoria sistematica per i disturbi narcisistici, parte da una critica opposta alla psicoanalisi: esaminando la convinzione che la psicoanalisi non sia “sufficientemente interpersonale”, rivolge la sua attenzione ai termini “relazione interpersonale”, “interazione”, “transazione”, di solito prese in esame dagli psicologi sociali. In realtà agli occhi del lettore moderno appare già evidente che ciò che l’autore sta proponendo per semplice giustapposizione, è in realtà un radicale cambio di paradigma (Strozier, 2001). Kohut tuttavia cita il modello strutturale di Freud del 1922, facendo riferimento all’autonomia dell’Io (Hartmann, 1939), come modello della mente. Che significato psicoanalitico ha il termine “interpersonale”?  
Conflitto strutturale, nevrosi di traslazione, traslazione.  
Lo stesso Freud si occupò di investigare le psiconevrosi usando l’introspezione e l’empatia. Tuttavia il risultato di questa ricerca si focalizzò principalmente sulla scoperta dell’inconscio e del fenomeno della traslazione. Freud (1899) definì la traslazione come influenza dell’inconscio sul preconscio, al di là della barriera della rimozione. Manifestazioni principali della traslazione sono sogni, sintomi, aspetti del modo in cui l’analizzando percepisce l’analista. La Traslazione indica come l’inconscio influisce sulla parte più accessibile all’introspezione della psiche (vedi cap. 2 Concetti e teorie della psicoanalisi § “il concetto di traslazione”, p. 57). Mediante l’uso dell'introspezione emerse ciò che Freud chiamò conflitto strutturale (endopsichico). Esso riguarda la lotta tra le pulsioni infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (nevrosi di traslazione). (Es.: un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io[1] inconscio dell’analizzando). 
Conflitto interpersonale, psicosi e disturbi al limite, metodo introspettivo. 
La psicoanalisi ha ampliato il proprio campo di indagine fino ad includere la psicosi. Le due prime e più importanti scoperte nel campo della psicosi furono quelle di Freud nel 1914(b) - parla di ipocondria psicotica mediante il riconoscimento empatico o introspettivo - e Tausk che nel 1919 parla del delirio schizofrenico di essere influenzato da una macchina (delirio di riferimento); esso riguarda la riesumazione di una parte primitiva del Sé, ovvero una regressione a esperienze somatiche penose ed angosciose dopo la perdita di contatto con l’esperienza del “Tu”.
I disturbi narcisistici[2] e gli stati limite a differenza delle nevrosi, rivelano mediante l'introspezione prolungata, una psiche non strutturata ovvero una psiche il cui principale sforzo è quello di mantenere un contatto con l’oggetto arcaico, o una tenue separazione da esso (conflitto interpersonale). L’analista in questo caso non funge da schermo per la proiezione della struttura interna dell’analizzando come per le nevrosi, bensì diventa una “continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (p. 17). L'analista è sperimentato introspettivamente nel quadro di una relazione interpersonale arcaia: egli è il vecchio oggetto con il quale l'analizzando cerca di mantenere un contatto, separare la propria identità o trarre un minimo di struttura interna. 
In tal senso il fulcro del conflitto è la relazione, nello specifico la relazione arcaica con i genitori, che non ha permesso un corretto sviluppo delle strutture psichiche e del Sé. Es.: un paziente schizofrenico arriva in seduta in uno stato di freddezza e riserbo. La notte precedente ha sognato un campo innevato e sterile, in cui una donna gli offre il seno, ma lui scopre che il seno era di gomma. La freddezza del paziente e il suo sogno si scoprono essere la reazione ad un rifiuto minimo ma significativo dell’analista (conflitto interpersonale). Traslazione e controtraslazione, afferma inoltre Kohut, denotano nient’altro che relazioni interpersonali nel senso della psicologia sociale. 
I due approcci teorici (strutture/nevrosi e relazione/disturbi narcisistici) possono essere combinati mediante il ricorso al concetto-ponte di osservatore partecipante. Il concetto di osservatore partecipante permette di far svanire la distinzione tra oggetto traslativo delle nevrosi strutturali e oggetto interpersonale arcaico dei disturbi narcisistici. Ma, senza questa differenziazione, afferma Kohut, la psicopatologia potrebbe contenere i più differenti fenomeni clinici come varietà o gradi della schizofrenia (Sullivan, 1940).  
Nelle psicosi e nei disturbi limite, i conflitti interpersonali arcaici occupano una posizione centrale; così come nelle nevrosi, è il conflitto strutturale ad avere importanza strategica. La stessa cosa si applica ai conflitti strutturali nelle psicosi. La scelta è determinata solo in parte dal passato. Mentre è vero che tutte le traslazioni sono ripetizioni, non tutte le ripetizioni sono traslazioni. 
Mediante l'introspezione scientifica prolungata possiamo differenziare: scelte oggettuali non traslative strutturate secondo modelli infantili (es. parte di quanto definito traslazione positiva); dalle vere traslazioni.Le vere traslazioni possono essere risolte da un'introspezione prolungata, le scelte oggettuali non traslative invece, sono al di fuori del conflitto strutturale e non possono essere influenzate dall'introspezione psicoanalitica. 
Kohut riprenderà questo argomento nell’ultimo paragrafo dello scritto, in cui farà più esplicito riferimento al problema del libero arbitrio e del determinismo psichico nella psicoanalisi classica.

Dipendenza 
Una ulteriore importante differenza introdotta da Kohut riguarda la dicotomia biologia/relazione. Tale genere di differenza determina il metodo di osservazione: alcuni concetti teorici derivano dall’osservazione psicoanalitica, ovverosia dalla considerazione biologica della realtà da cui traiamo per astrazione un modello teorico (teoria dello sviluppo psicosessuale); mentre altri concetti derivano da un altro metodo di osservazione: l’introspezione vicariante (o empatia)
Kohut prende come esempio per spiegare questa differenza la sessualità infantile. 
Quindi domanda se ad es. la dipendenza orale (come astrazione teorica psicoanalitica) potrebbe essere connessa all’osservazione interpersonale della dipendenza prolungata, biologicamente inevitabile dell’infante. 
Secondo Kohut, la risposta è affermativa. Questa è un’ipotesi psicoanalitica? Si può dire di si, perché tale ipotesi non sarebbe neppure esistita, senza la premessa della dipendenza biologicamente determinata. Dunque tutto ciò che è psicoanalisi ha una radice nella biologia (come anche il modello pulsionale di Freud). 
Kohut prende quindi in esame il concetto di dipendenza, e ne analizza l’etimologia individuando tre aspetti; biologico, sociologico, psicologico.
Biologico come rapporto tra due organismi. Il neonato è dipendente dalle cure che riceve dall’adulto. Sociologico come rapporto tra due unità sociali. L’adulto, sviluppa solo certe qualità in quanto membro della società ed è quindi dipendente da essa per la sua sopravvivenza. 
Psicologico:diciamo che alcuni pazienti hanno problemi di dipendenza o che li sviluppano nel corso dell’analisi. Cosa intendiamo con dipendenza psicologica?
Dal punto di vista psicoanalitico, le personalità oralmente dipendenti desiderano perpetuare il rapporto con l’analista. Il termine dipendenza orale deriva dall’osservazione psicoanalitica del paziente e costituisce un’astrazione sul suo stato mentale. Ciò combacia con il concetto di regressione ovvero ritorno ad uno stato psicologico pregresso. Ma non si discute il fatto che il lattante è dipendente dalla madre, bensì se lo stato mentale del lattante corrisponde a quanto troviamo nell'analisi dei desideri rimossi di dipendenza di un analizzando adulto! Ovvero: lo stato mentale del lattante corrisponde allo stato mentale di un analizzando adulto con desideri rimossi di dipendenza? 
Secondo Kohut no, e per dimostrarlo fa l’esempio inverso: lo stato mentale ed emotivo dell’analizzando dipendente non è quello del lattante al seno, in quanto un corrispettivo adulto di tale stato riguarderebbe la situazione di una persona totalmente assorta in un’attività di massima importanza per lei (ad es. lo scatto finale di una corsa di 100 mt., il solista nel punto culminante della sua melodia, l’amante nell’acme dell’unione sessuale). 
Se ipotizziamo che la dipendenza dell’adulto è un ritorno ad una primitiva gestalt psicologica, non abbiamo capito la psicologia dei bambini sani. Dunque per Kohut è solo l’osservazione psicologica (empatia circa lo stato reale) che fornisce la prova finale per qualsiasi scoperta: il principio biologico (teorizzazione psicoanalitica) può solo fornire utili indizi. 
E’ quindi sbagliato estrapolare l’interpretazione di uno specifico stato mentale da principi biologici, specialmente se questi contraddicono le osservazioni psicologiche; ad esempio è inutile effettuare un’interpretazione circa la dipendenza orale del paziente senza capire come sta realmente!
La dipendenza descritta come: tendenza di alcuni pazienti adulti a essere timorosi, aggrapparsi ostinatamente, tenersi stretti, avere resistenze a lasciarsi andare, può quindi essere definita secondo Kohut in quattro modi:
Come regressione alla situazione infantile. In questo caso essa non costituisce una replica di una fase normale dello sviluppo psicologico ovvero la regressione allo stato mentale di un bambino normale di genitori normali, ma è ascrivibile alla patologia infantile; nello specifico a fasi successive dell'infanzia in cui il bambino ha avuto esperienze specifiche di rifiuto (intricati miscugli di rabbia, paura e ritorsione). 
Come reazione del paziente per proteggersi dall'angoscia e dal senso di colpa derivati da conflitti strutturali mediante l’attaccamento al terapeuta, portatore mediante proiezione di fantasie narcisistiche benigne e onnipotenti. Quindi: la dipendenza psicologica non riguarda esclusivamente l’oralità. In taluni casi, questo è vero, ma l’osservazione empatica libera da aspettative di ordine biologico, può essere aperta al riconoscimento che una grande varietà di pulsioni, in stato di inappagamento può creare una sottomissione (Hörigkeit) al terapeuta. E’ dunque l’attaccamento ostinato e non l’associazione ad una pulsione a caratterizzare lo stato mentale in questione. 
Come resistenza al cambiamento o adesività della libido. Ci si dovrebbe rivolgere a questa ipotesi solo dopo aver esaurito le precedenti possibilità o in caso di evidenza psicologica. Es.: uno dei trenta superstiti di un campo di concentramento che aveva visto la morte di centomila persone, non riesce a lasciare il campo prima del trascorrere di quattro lunghi giorni, sebbene le guardie naziste fossero fuggite in seguito all’avanzata russa.
Come bisogno, da parte del paziente, del terapeuta per ottenere consolazione e sostegno. Analizzandi con insufficiente struttura psicologica hanno bisogno del terapeuta in quanto hanno realmente necessità di essere consolati e sostenuti. La loro dipendenza non può essere analizzata o ulteriormente ridotta per la comprensione globale: deve essere riconosciuta e accettata. In realtà in questi casi, il compito psicoanalitico maggiore è l’analisi della negazione del bisogno reale: il paziente deve imparare a sostituire le fantasie grandiose mantenute grazie all’isolamento sociale, con l’accettazione per lui penosa, della realtà della sua dipendenza. Ad es.: alcuni tossicodipendenti non hanno acquisito la capacità consolarsi da soli o addormentarsi - non hanno trasformato le antiche esperienze di consolazione e addormentamento in strutture endopsichiche -, pertanto la droga non è il sostituto delle relazioni oggettuali, bensì è un sostituto della struttura psicologica. In psicoterapia questi pazienti presentano la stessa dipendenza che hanno per la droga, per lo psicoterapeuta o la psicoterapia. Tale dipendenza non va confusa con la traslazione: il terapeuta non è uno schermo per la proiezione di strutture psicologiche esistenti, ma un sostituto di esse  
Sessualità, aggressività, pulsioni
In questo caso Kohut prende direttamente in esame il problema della sessualità nella teoria psicoanalitica per darne una definizione. La teorizzazione sulla sessualità ha prodotto una grande quantità di dispute. Secondo Kohut la qualità sessuale di un’esperienza non può essere ben definita né dal contenuto, né dalla zona corporea (rifiuto del modello psicoanalitico classico di sviluppo psicosessuale).  
Una prova dell’effettiva esistenza di desideri sessuali può provenire soltanto da una loro scoperta introspettiva ed empatica. La qualità sessuale dell’esperienza non può essere ulteriormente definita.
Tuttavia gli analisti intendono con il termine sessuale qualcosa di più ampio della sessualità genitale. La sessualità è il residuo di un’esperienza che era nell’infanzia più diffusa (sensualità). Freud (1921a) ha scelto il termine sessuale “a potiori” ovvero dalle più note di questo tipo di esperienze, ha insistito sull’aspetto biologico del termine sessuale per poterne salvaguardare l’aspetto psicologico: usando i termini forza vitale ed energia mentale si creano quindi dei malintesi nel riconoscimento della modalità primaria dell’esperienza, che è stata rifiutata (come per il polo ostilità-aggressività). 
Ciò che noi oggi chiamiamo pulsione, non denota un’energia che funge da motore, ma un’esperienza soggettiva interna con carattere di urgenza, che appare più chiara se messa in relazione alla corrispettiva esperienza interna in termini di investigazione introspettiva. L’esperienza può avere qualità pulsionale (volere, desiderare, tendere) ed è un’astrazione tra innumerevoli esperienze interne; connota una determinata qualità psicologica che non può essere ulteriormente analizzata mediante l’introspezione. 
Pulsione di vita e pulsione di morte pertanto, sono astrazioni teoriche, mentre la psicoanalisi deve concentrarsi sul vissuto reale, e non sulla teoria! Eros e Thanatos non appartengono a una teoria psicologica basata su osservazione introspettiva ed empatica, ma a una teoria biologica basata su un metodo di osservazione diverso. 
Narcisismo e Masochismo primario invece, costituiscono secondo Freud un ritorno a primitive forme di esperienze sessuali e aggressive alle quali corrispondono le forme più recenti (Narcisismo clinico e Masochismo clinico) reattive rispetto alla tensione proveniente dall’ambiente; ciò è coerente ed accettabile per Kohut, in quanto tale concetti trovano espressione nella comprensione psicologica. 
Kohut cita quindi Hartmann, Kris e Loewenstein, (1949) i quali suggeriscono che il biologo trova indizi utili nella psicologia; tuttavia le sue teorie si basano su osservazioni e prove biologiche, e afferma che d’altra parte l’applicazione dell’introspezione a ogni cosa animata non è scientificamente valida (vedi Ferenczi, 1924[3]). 
Kohut ammira l’audacia delle teorie biologiche freudiane, ma i concetti di Eros e Thanatos restano fuori dal quadro della psicologia psicoanalitica. Tuttavia, afferma anche Kohut, Freud rigettava le teorie biologiche se non poteva confermarle mediante l’osservazione psicoanalitica introspettiva. Un esempio lampante di questa posizione è ad es. la concezione freudiana della sessualità femminile (intesa come ritiro da una maschilità delusa) che ha scatenato la questione dell’antifemminismo di Freud. E’ evidente a livello biologico la donna possiede una femminilità primaria[4] e che tale femminilità non si esaurisce nel confronto con la sessualità maschile; tuttavia Freud non cambiò idea sulle sue teorie, in quanto esse trovavano corrispondenza nell’osservazione psicoanalitica: non volle quindi accettare una congettura biologica come un fatto psicologico. La concezione freudiana della sessualità femminile è un esempio della sua adesione al metodo di osservazione introspettiva ed empatica; tuttavia taluni altri concetti rimasero privi di una specificazione basata sulla comprensione empatica. Per quanto riguarda questi ultimi concetti, “accettare il punto di vista dinamico e la concezione di pulsione non è più giustificabile dell’accettare il punto di vista strutturale a livello anatomico”.

Il libero arbitrio e i limiti dell’introspezione
La nostra facoltà di fare una scelta o prendere una decisione è compatibile con la legge del determinismo psichico[5]? (Knight, 1946; Lipton, 1955). Secondo la psicoanalisi non esiste una libera scelta: siamo tutti spinti da forze irrazionali (inconscio) che possiamo solo razionalizzare (tentare di capire); inoltre, tendiamo a ipervalutare narcisisticamente le nostre funzioni psichiche.
Freud sostituisce quanto in precedenza affermato circa l’esistenza di un’area di libertà psichica. Tale esitazione emerge nella nota a piè di pagina in L’Io e L’Es (1922, p. 512) in cui afferma che la psicoanalisi si propone “di creare per l’Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l’altra”. Inoltre, il concetto di Ichtriebe (pulsioni dell’Io), l’affermazione che l’Io si sviluppa dall’Es o che il principio di realtà non è che una modificazione del principio di piacere sono tutte tesi a dimostrazione dell’esitazione di Freud. Le successive teorizzazioni freudiane incorporeranno in maniera implicita il convincimento di una qualche libertà di scelta: l’enfasi sull’Io, i commenti sulla genesi indipendente dell’Io in Analisi terminabile e interminabile (Freud, 1937) sono precursori di quanto noi conosciamo come autonomia dell’Io (Hartmann, 1939). 
Kohut si domanda quindi se in base allo strumento di osservazione introspettivo è possibile operare una riformulazione della questione, per chiarire come avviene la libera scelta. Secondo Kohut l'esperienza di essere obbligati e l'esperienza di indecisione e dubbio possono essere dipanate dall'introspezione. Quando mediante l'introspezione ristabiliamo le motivazioni alla base delle nostre scelte, diventiamo nuovamente consapevoli e ripristiniamo la libera scelta e la capacità di decisione. Possiamo allora risolvere l'esperienza di coazione. Inoltre, l'introspezione non può ulteriormente indagare lo stato della libera scelta, in quanto essa non è scomponibile. 
Ogni scienza ha un numero ottimale di concetti basilari: i limiti della psicoanalisi sono dati dai limiti della possibilità di introspezione e di empatia. Nel campo osservato regna il determinismo psichico. L'introspezione sottoforma di libere associazioni e analisi delle resistenze è potenzialmente capace di rivelare motivazioni e desideri, decisioni, scelte, atti. Tuttavia è necessario riconoscere i limiti oltre i quali lo strumento di osservazione non arriva, e bisogna accettare il fatto che certe esperienze non possono essere allo stato attuale delle conoscenze, ulteriormente chiarite. Ciò che sperimentiamo come libera scelta è l'esperienza dell'Io che non può essere divisa in ulteriori componenti mediante il metodo introspettivo (vedi p. 17).


Bibliografia
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Freud, S., (1914b), Introduzione al narcisismo. In Opere. Vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1915-17), Introduzione alla psicoanalisi. In Opere, Vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Freud, S., (1921a), Psicologia delle masse e analisi dell’Io. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1922), L’Io e l’Es. In Opere. Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1937), Analisi terminabile e interminabile, In Opere, Vol. XI Bollati Boringhieri, Torino
Hartmann, H., (1939), Psicologia dell’Io e il problema dell’adattamento. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1966.
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Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
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Kohut, H., (1972), “Pensieri sul narcisismo e sulla rabbia narcisistica”. Tr. it. in La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
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Kohut, H., (1984), La cura psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1986.
Lipton, S. D., (1955), A note on the Compatibility of Psychic Determinism and Freedom of Will. Int. J. Psycho-Analysis, vol. 36, 355-56.
Ornstein, P. H., (1998), “Psicoanalisi dei pazienti con un disturbo primario del Sé. Una prospettiva basata sulla psicologia del Sé”. In I disturbi del narcisismo. Diagnosi, clinica, ricerca. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.
Strozier, C. B., (2001), Heinz Kohut. Biografia di uno psicoanalista. Astrolabio Ubaldini, 2005.
Sullivan, H. S., (1940), La moderna concezione della psichiatria. Feltrinelli, Milano, 1961.
Tausk, V., (1919), “Origine della “macchina influenzatrice” nella schizofrenia”. Tr. it. in W. Reich e altri, Letture di Psicoanalisi a cura di R. Fliess Boringhieri, Torino, 1972.


[1] Imago inconscia del padre. Nella nevrosi, a differenza dei disturbi più gravi ciò avviene in quanto il paziente ha già formato la struttura Superegoica sulla base delle relazioni reali vissute con i genitori.
[2] Kohut fa riferimento alle psicosi e agli stati limite, in quanto all’epoca dello scritto non si era ancora giunti alla classificazione concettuale e clinica dei disturbi narcisistici della personalità analizzabili (p. 16).
[3] Nello scritto Thalassa, Ferenczi affronta il tema dell’ontogenesi e filogenesi, collegando sessualità e psicologia.
[4] Freud osservava nelle sue pazienti una lotta incentrata su desideri fallici e mentre accettava la bisessualità biologica, rifiutava l’idea di una precedente fase psicologica di femminilità senza una conferma a livello psicologico.
[5] Ogni avvenimento psicologico è determinato dal fattore inconscio.

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