martedì 28 novembre 2017

Ella Freeman Sharpe: il linguaggio del sogno in analisi


La persona che parla in modo vitale mediante l’uso di metafore sa, 
ma non sa in modo conscio, ciò che sa inconsciamente. Sharpe, 1940, p. 213 


Ella Freeman Sharpe, è stata una delle prime donne psicoanaliste. La Sharpe fu un’insegnante d’inglese del Pupil’s Teacher Center di Hucknall dal 1904 al 1917. In seguito agli eventi della prima guerra mondiale, sviluppò un quadro ansioso e depressivo dovuto alla morte di molti dei suoi alunni durante gli scontri. Si avvicinò così alla psicoanalisi, intraprendendo un percorso personale con James Glover. La Sharpe abbandonò quindi l’insegnamento e si trasferì a Londra per seguire un training psicoanalitico. Intraprese una seconda analisi con Hann Sachs nel 1920. Nel 1923 fu eletta membro della Società Psicoanalitica Britannica. In seguito alle Controversial Discussions, La Sharpe prese posizione nel Middle Group (gruppo degli indipendenti) (Alexander, Eisenstein, Grotjahn, 1966).
L’interesse della Sharpe per la letteratura, in particolare per Shakespeare, la portò ad approfondire, come avvenne per Rank, le similitudini tra l’artista e il nevrotico. Analizzando la figura del grande poeta inglese, l’autrice concluse che l’artista, a differenza del nevrotico, neutralizza i suoi conflitti mediante la loro sublimazione.
Ella Freeman Sharpe è spesso ricordata come l’analista inglese che intraprese il maggior numero di analisi di training, per questo motivo il suo lavoro fu maggiormente clinico che teorico. Tuttavia compose alcuni scritti sulla tecnica psicoanalitica, in particolare sul controtransfert (Alexander, Eisenstein, Grotjahn, 1966).
L’analisi dei sogni riveste per questa autrice un’importanza storica particolare poiché il suo contributo su questo tema è stato considerato un precursore delle teorie lacaniane sul linguaggio. In tal senso l’autrice è stata considerata come un ponte tra Freud e Lacan (Voruz, Wolf, 2007).
Secondo l’autrice il lavoro onirico era molto simile a quello della dizione poetica: similitudini, metafore, onomatopee, eufemismi, drammatizzazione, antitesi, sono tutti elementi che sia il sogno che la poesia condividono. L’autrice inoltre riteneva che il materiale onirico, come il linguaggio derivasse non solo da concetti concreti, ma anche da sensazioni fisiche.
La parola, secondo la Sharpe, può acquisire significati secondari e terziari, ma non perde mai la sua connotazione multipla originaria con gli elementi primitivi di natura sensoriale, nonostante venga continuamente utilizzata.
Per poter comprendere a fondo le parole – spiega l’autrice – bisogna considerare la somma dei significati, ovvero sia quelli relativi al presente, che quelli relativi al passato.

mercoledì 5 luglio 2017

Fluttuazioni narcisistiche e compassione nello sviluppo e decorso dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare)



Searching all directions with your awareness, 
you find no one dearer than yourself. 
In the same way, others are thickly dear to themselves. 
So you shouldn't hurt others if you love yourself.

(TheravadaUdana 47 - Rajan Sutta)

Viruncamban, uno dei dodici giganti demoni guardiani Ramayana all'aereoporto Suvarnabhumi (Bangkok, Thailand). La statua riproduce lo stesso gigante del Temple of the Emerald Buddha (Wat Phra Kaew). Viruncamban, dal volto blu e gli occhi da coccodrillo, aveva il potere di rendersi invisibile. Fu eletto da Tosakanth dopo che la meditazione del demone era stata interrotta. Dopo aver assistito alla morte dell'amico stretto Satasoon per mano di Hanuman, Viruncamban si rese invisibile a sé stesso e al suo esercito, e scurì il cielo per facilitare la sua fuga nell'oceano, mentre la sua falsa immagine combatteva instancabilmente. Sotto suggerimento di una fanciulla celeste denominata Wanarin, Viruncamban si nascose sotto il letto dell'oceano vicino al Monte Akatkiree.

Un recente articolo pubblicato sulla rivista Eating Behaviours ha esaminato il ruolo della compassione verso di sé, nelle problematiche relative all’immagine corporea e allo stile alimentare.
Cos’è la compassione per sé stessi? Essa riguarda un atteggiamento di cura e gentilezza verso di sé, piuttosto che di giudizio; la capacità di riflettere sul proprio dolore con umanità, piuttosto che rifugiarsi nell’isolamento; la consapevolezza dei propri limiti, piuttosto che rimuginare sui fallimenti (Neff, 2003a). 
Quali sono i rapporti tra autostima e compassione per sé stessi? L’autostima può essere definita come una valutazione complessiva positiva di sé (Rosenberg, 1965); la compassione riguarda invece una forma più stabile e incondizionata di cura di sé, che si differenzia dalle fluttuazioni narcisistiche (ad esempio assumere un atteggiamento rigidamente difensivo verso l’ottimismo o il pessimismo). In tal senso la differenza tra autostima e compassione per sé stessi consiste nell’espressione di un giudizio perentorio (polarizzato, fisso) riguardante il proprio valore, rispetto alla possibilità di accettarsi semplicemente per quel che si è nella propria unicità, cioè proprio perché “sé stessi”. 
La compassione verso di sé, ha comunque un’influenza significativa sull’equilibrio narcisistico: un sano livello di autostima infatti, prevede il riconoscimento delle proprie qualità e dei propri limiti in maniera bilanciata. Tale costrutto come aspetto basilare della compassione psicologica in senso più ampio (rivolta agli altri), è stata associato anche alla possibilità di riconoscere il proprio ruolo in situazioni di crisi, imparare dai propri errori, e alla capacità di riconoscere e accettare parti di sé (positive o meno) per ciò che sono.
In che modo la compassione verso di sé incide nello sviluppo dei DCA? Kelly, Vimalakhantan e Carter (2014) hanno trovato che il miglior predittore per lo sviluppo di disturbi alimentari consisteva in un basso livello di compassione verso di sé. Pazienti con problematiche alimentari che riuscivano a sviluppare la capacità di essere compassionevoli verso di sé durante il trattamento, mostravano una risposta migliore alle cure, nel corso di 12 settimane (Kelly, Carter, e Borairi, 2014). 
Questi dati suggeriscono che la possibilità di accettare sé stessi gioca un ruolo importante nella gestione dell’immagine corporea e nella gestione dell’alimentazione in relazione alle problematiche narcisistiche legate al piacersi fisicamente, e al “sentirsi abbastanza”. 
I ricercatori Kelly, Vimalakhantan e Carter (2014) hanno anche evidenziato un altro aspetto relativo alla compassione verso sé stessi: il timore di provarla oppure di ricevere compassione dagli altri risultava essere il miglior predittore rispetto al mantenimento della problematica alimentare. Come vengono letti questi risultati clinicamente? Ricevere compassione dagli altri o provare compassione verso di , può rappresentare un’esperienza relativamente spaventosa per alcuni individui in quanto essa implica un’ammissione di vulnerabilità (cioè della propria umanità rispetto a un’illusoria onnipotenza), che può essere negativamente letta come debolezza o fallibilità. Tale livello di perfettibilità in questi casi si scontrerà con le difese narcisistiche più resistenti (“devo essere perfetto/a o non sono niente”). 
Secondo Gilbert et al., (2011) le persone che temono di più la compassione in realtà sono convinte di non meritarla; oppure sono eccessivamente (irrealisticamente) preoccupate di abbassare i propri standard e apparire deboli agli altri (quindi in maniera amplificata a sé stessi). E’ stato visto che queste persone mostrano in media un livello più alto di psicopatologia rispetto alla popolazione totale.  
In conclusione, la capacità di ricevere e provare compassione è un importante fattore protettivo contro lo sviluppo di disturbi alimentari (così come altri tipi di dipendenze compulsive) e può facilitare la remissione dei sintomi quando il disturbo è già presente. Essa può quindi essere considerata un importante obiettivo terapeutico nel corso del trattamento dei DCA, e di altri tipi di disturbi in generale.
Bibliografia

Kelly, A.C., Carter, J.C., Borairi, S. (2014), Are improvements in shame and self-compassion early in eating disorders treatment associated with better patient outcomes? International Journal of Eating Disorders, 47(1),54-64.

Kelly, Vimalakhantan, Carter (2014), Understanding the role of self-esteem, self-compassion, and fear of self-compassion in eating disorder pathology: An examination of female students and eating disorder patients. Eating Behaviours, 15 (2014) 388-391.
Neff, K. D., (2003a), Self compassion: An alternative conceptualization of a healthy attitude toward oneself. Self and Identity, 2(2), 85-101.
Rosenberg, M. (1965), Society and the adolescent self-image. Princeton: Princeton University Press.

mercoledì 25 gennaio 2017

“L'altro indispensabile” - Alla base dei meccanismi di rispecchiamento: la formazione dell'identità

 Amore è il fatto che tu sei per me 
il coltello col quale frugo dentro me stesso
Kafka


L’idea per la quale il Sé richiede un Altro per la sua definizione ha origini antiche.
Possiamo ricercare le origini di questa concezione, per fornire un inquadramento storico più completo, a partire dall’approccio filosofico della Fenomenologia di Hegel (1803-06; 1807) al Riconoscimento (Anerkennung) per cui: “L’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza” (trad. it., cit., vol. I, p. 151). Prima di Hegel, e della sua teoria che include un Altro per conoscere la realtà fu Cartesio (1637) nel suo Discorso sul Metodo, a parlare di coscienza intesa come Io. Per Cartesio l’Io pensante (Cogito) determina la realtà e gli oggetti esterni sono solo sue rappresentazioni. Hegel mosse le sue intuizioni sul tema Sé/Altro mutuando da Hobbes (1651) le basi per la descrivere lo Stato moderno a partire dal superamento dello stato-di-natura. Nella guerra di tutti contro tutti secondo Hobbes (1651) si scatenano tre tipi di passioni: la competizione, la diffidenza e la gloria. La fondazione dello Stato di diritto richiede secondo Hegel (1817), il superamento di tale condizione a favore della Lotta per il Riconoscimento (Hegel, 1807). Prima di Hegel, fu Fichte (1794; 1796) ad occuparsi del tema del Riconoscimento Sé/Altro come base per la fondazione del diritto di Stato, tuttavia il suo pensiero era caratterizzato da un maggiore soggettivismo, che viene superato nel sistema teorico di Hegel. Nella Fenomenologia dello Spirito (Hegel, 1807), l’autore descrive tale dialettica – esemplificata nella costruzione servo-padrone – come l’incontro di due autocoscienze. La Lotta per il Riconoscimento, rappresenta il momento di sfida, ossia di conflitto tra le autocoscienze per affermare la propria indipendenza. Essa è innescata da un fraintendimento fondamentale, ovverosia che riconoscersi debba significare escludere l’Altro, fino ad uccidersi o ad uccidere. Viceversa il riconoscimento autentico avviene soltanto a patto che l’Altro sia incluso. Il prezzo del sacrificio dell’indipendenza è pagato dal servo per ottenere la possibilità di ingaggiarsi nella dinamica di riconoscimento, senza cui non è possibile la sua stessa esistenza: “La coscienza infelice è la coscienza di sé come dell’essenza duplicata e ancora del tutto impigliata nella contraddizione. Assistiamo così alla lotta contro un nemico, contro cui la vittoria è piuttosto una sottomissione: aver raggiunto un contrario significa piuttosto smarrirlo nel suo contrario” (Hegel, 1807). Le implicazioni di questa dinamica si complicano ulteriormente dal fatto che la dipendenza del servo è relativa, in quanto l’autonomia del padrone dipende dal suo lavoro e dal suo stesso riconoscimento. La risoluzione della Lotta avviene nei termini di quanto viene attualmente descritto come intersoggettività, ovverosia la possibilità reciproca di vedere riconosciuta la propria libertà, nell’indipendenza dell’Altro, ovverosia superare la dialettica del conflitto. Questa concezione verrà ripresa da Marx (1849) per descrivere il rapporto tra salariato e capitalista.
Anche Husserl (1931) ha inteso l’Altro come la base dell’intersoggettività: la possibilità di conoscere gli altri avviene soltanto attraverso sé stessi e superando la soggettività solipsistica mediante l’approccio empatico (Husserl, 1952): “se vi fosse la possibilità di accedere direttamente all’altro in ciò che gli è essenzialmente proprio, allora l’altro sarebbe meramente un momento dell’essenzialmente mio e, in definitiva, io e l’altro non saremmo che la medesima cosa” (HUA I, p. 139).
Nella concezione di Emmanuel Lévinas (1961) troviamo un approccio opposto, che ha contribuito a coniare l'utilizzo contemporaneo dell’Altro come radicalmente distinto. Secondo Lévinas, l’Altro è antecedente al Sé e la sua semplice presenza equivale ad una richiesta che viene formulata prima ancora che la persona possa materialmente rispondere sia essendo d’aiuto che ignorando la richiesta formulata. In questo senso l’Altro assume gli stessi connotati dell’Altro concepito da Sartre (1943): ‘L'enfer, c'est les autres’ nell’accezione che trova una buona interpretazione in un versetto della Divina Commedia di Dante: ‘Tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme/ già pur pensando, pria ch'io ne favelli’. E’ interessante osservare come lo stesso approccio viene presentato nel recente lavoro di George Atwood (2012) The Abyss of madness per illustrare le origini dei processi dissociativi, che possono essere considerati modelli di disconoscimento dell’umanità dell’essere nella continuità spazio-temporale. Sartre (1943) ha concepito l’Altro come uno specchio che rimanda al Sé: “E tuttavia io lo sono, non lo respingo mai come un’immagine estranea, ma mi è presente come un me che io sono senza conoscerlo, perché lo scopro solo nella vergogna (in certi casi, nell’orgoglio). Sono la vergogna o la fierezza che mi rivelano lo sguardo altrui e me stesso al limite dello sguardo; che mi fanno vivere, non conoscere, la situazione di guardato”. Questa idea e quella dell’incontro faccia a faccia di Lévinas (lo sguardo dell’altro) la cui prossimità o distanza sono fortemente sentiti, assumono ad ogni modo in alcuni punti l’idea espressa anche da Derrida (1998) a proposito dell’impossibilità di una pura presenza dell'Altro (l’Altro potrebbe non può essere pura alterità). Lévinas parla dell'Altro in termini di ‘insonnia’ e ‘veglia’. La condizione d’incontro secondo l’autore produce una sorta di estasi, che rimane per sempre aldilà di ogni tentativo di cattura pieno; questa condizione è indeterminabile (o infinita). Anche se si assassinasse l’Altro, la sua alterità rimarrebbe: essa non viene in nessun caso negata e non può essere controllata.

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