mercoledì 25 gennaio 2017

“L'altro indispensabile” - Alla base dei meccanismi di rispecchiamento: la formazione dell'identità

 Amore è il fatto che tu sei per me 
il coltello col quale frugo dentro me stesso
Kafka


L’idea per la quale il Sé richiede un Altro per la sua definizione ha origini antiche.
Possiamo ricercare le origini di questa concezione, per fornire un inquadramento storico più completo, a partire dall’approccio filosofico della Fenomenologia di Hegel (1803-06; 1807) al Riconoscimento (Anerkennung) per cui: “L’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza” (trad. it., cit., vol. I, p. 151). Prima di Hegel, e della sua teoria che include un Altro per conoscere la realtà fu Cartesio (1637) nel suo Discorso sul Metodo, a parlare di coscienza intesa come Io. Per Cartesio l’Io pensante (Cogito) determina la realtà e gli oggetti esterni sono solo sue rappresentazioni. Hegel mosse le sue intuizioni sul tema Sé/Altro mutuando da Hobbes (1651) le basi per la descrivere lo Stato moderno a partire dal superamento dello stato-di-natura. Nella guerra di tutti contro tutti secondo Hobbes (1651) si scatenano tre tipi di passioni: la competizione, la diffidenza e la gloria. La fondazione dello Stato di diritto richiede secondo Hegel (1817), il superamento di tale condizione a favore della Lotta per il Riconoscimento (Hegel, 1807). Prima di Hegel, fu Fichte (1794; 1796) ad occuparsi del tema del Riconoscimento Sé/Altro come base per la fondazione del diritto di Stato, tuttavia il suo pensiero era caratterizzato da un maggiore soggettivismo, che viene superato nel sistema teorico di Hegel. Nella Fenomenologia dello Spirito (Hegel, 1807), l’autore descrive tale dialettica – esemplificata nella costruzione servo-padrone – come l’incontro di due autocoscienze. La Lotta per il Riconoscimento, rappresenta il momento di sfida, ossia di conflitto tra le autocoscienze per affermare la propria indipendenza. Essa è innescata da un fraintendimento fondamentale, ovverosia che riconoscersi debba significare escludere l’Altro, fino ad uccidersi o ad uccidere. Viceversa il riconoscimento autentico avviene soltanto a patto che l’Altro sia incluso. Il prezzo del sacrificio dell’indipendenza è pagato dal servo per ottenere la possibilità di ingaggiarsi nella dinamica di riconoscimento, senza cui non è possibile la sua stessa esistenza: “La coscienza infelice è la coscienza di sé come dell’essenza duplicata e ancora del tutto impigliata nella contraddizione. Assistiamo così alla lotta contro un nemico, contro cui la vittoria è piuttosto una sottomissione: aver raggiunto un contrario significa piuttosto smarrirlo nel suo contrario” (Hegel, 1807). Le implicazioni di questa dinamica si complicano ulteriormente dal fatto che la dipendenza del servo è relativa, in quanto l’autonomia del padrone dipende dal suo lavoro e dal suo stesso riconoscimento. La risoluzione della Lotta avviene nei termini di quanto viene attualmente descritto come intersoggettività, ovverosia la possibilità reciproca di vedere riconosciuta la propria libertà, nell’indipendenza dell’Altro, ovverosia superare la dialettica del conflitto. Questa concezione verrà ripresa da Marx (1849) per descrivere il rapporto tra salariato e capitalista.
Anche Husserl (1931) ha inteso l’Altro come la base dell’intersoggettività: la possibilità di conoscere gli altri avviene soltanto attraverso sé stessi e superando la soggettività solipsistica mediante l’approccio empatico (Husserl, 1952): “se vi fosse la possibilità di accedere direttamente all’altro in ciò che gli è essenzialmente proprio, allora l’altro sarebbe meramente un momento dell’essenzialmente mio e, in definitiva, io e l’altro non saremmo che la medesima cosa” (HUA I, p. 139).
Nella concezione di Emmanuel Lévinas (1961) troviamo un approccio opposto, che ha contribuito a coniare l'utilizzo contemporaneo dell’Altro come radicalmente distinto. Secondo Lévinas, l’Altro è antecedente al Sé e la sua semplice presenza equivale ad una richiesta che viene formulata prima ancora che la persona possa materialmente rispondere sia essendo d’aiuto che ignorando la richiesta formulata. In questo senso l’Altro assume gli stessi connotati dell’Altro concepito da Sartre (1943): ‘L'enfer, c'est les autres’ nell’accezione che trova una buona interpretazione in un versetto della Divina Commedia di Dante: ‘Tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme/ già pur pensando, pria ch'io ne favelli’. E’ interessante osservare come lo stesso approccio viene presentato nel recente lavoro di George Atwood (2012) The Abyss of madness per illustrare le origini dei processi dissociativi, che possono essere considerati modelli di disconoscimento dell’umanità dell’essere nella continuità spazio-temporale. Sartre (1943) ha concepito l’Altro come uno specchio che rimanda al Sé: “E tuttavia io lo sono, non lo respingo mai come un’immagine estranea, ma mi è presente come un me che io sono senza conoscerlo, perché lo scopro solo nella vergogna (in certi casi, nell’orgoglio). Sono la vergogna o la fierezza che mi rivelano lo sguardo altrui e me stesso al limite dello sguardo; che mi fanno vivere, non conoscere, la situazione di guardato”. Questa idea e quella dell’incontro faccia a faccia di Lévinas (lo sguardo dell’altro) la cui prossimità o distanza sono fortemente sentiti, assumono ad ogni modo in alcuni punti l’idea espressa anche da Derrida (1998) a proposito dell’impossibilità di una pura presenza dell'Altro (l’Altro potrebbe non può essere pura alterità). Lévinas parla dell'Altro in termini di ‘insonnia’ e ‘veglia’. La condizione d’incontro secondo l’autore produce una sorta di estasi, che rimane per sempre aldilà di ogni tentativo di cattura pieno; questa condizione è indeterminabile (o infinita). Anche se si assassinasse l’Altro, la sua alterità rimarrebbe: essa non viene in nessun caso negata e non può essere controllata.

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