(articolo redatto da: Alessia D'Alterio; Antonietta Madia)
Alcuni concetti chiave:
Psicologia del Sé: sottolinea che sono le relazioni esterne, le relazioni con
gli altri avente origine nelle cure genitoriali a fare in modo che l’individuo
acquisisca e mantenga una adeguata autostima e coesione del Sé, garantendo la
sua sopravvivenza emotiva nel corso della intera vita. L’investimento libidico
del Sé è il fondamento della salute psichica; è al centro dell’apparato
psichico primitivo e la sua coesione risulta fondamentale per lo sviluppo
successivo dell’Io. Il Sé è anche il centro della personalità e consente
all’individuo di viversi come un polo autonomo. Il Sé è alimentato dalla
relazione con gli altri, dalla relazione materna. Pertanto una inadeguata
relazione madre-bambino conduce il Sé a ripiegarsi su se stesso e a fissarsi su
una posizione narcisistica; in tal modo l’esperienza del Sé si disintegra ed
origina un Sé “grandioso”. C’è un fisiologico sviluppo narcisistico della
personalità a partire da una grandiosità arcaica che sfocia in un narcisismo
sano e costruttivo, base dell’autostima. Qualità del narcisismo evoluto sono la
creatività, la produttività, l’umorismo e la saggezza.
Metodo Introspettivo: “Assumere
utilmente un vertice di osservazione di tipo empatico significa tentare di
cogliere, nel modo più coerente possibile, l’esperienza soggettiva del
paziente, inclusi i sentimenti che egli prova nei confronti dell’analista,
dalla prospettiva propria del paziente stesso. Una delle conseguenze più
importanti di questo cambiamento del metodo di osservazione è il fatto che il
focus analitico principale non è più costituito dalla sottolineatura della
discrepanza tra l’esperienza interna del paziente e la realtà, ma dalla
necessità di catturare (cioè di comprendere e spiegare) la logica arcaica
dell’esperienza interna, senza giudicarla dalla prospettiva di realtà propria
dell’analista” (Ornstein, 1998, p. 135).
Nell'introduzione al volume La ricerca del Sé Franco Paparo mette in evidenza
sostanzialmente due aspetti: il primo aspetto riguarda la descrizione del suo incontro e
confronto, nel 1971, come psichiatra e psicoanalista impegnato nella
pratica con pazienti gravi - sia essi psicotici, sia affetti da organizzazione
a limite - con il contributo teorico di Kohut. Paparo spiega quindi che la teoria di Kohut riguarda
nello specifico la formulazione della patologia del Sé; i costrutti riguardanti
l'empatia (1959); le forme e le trasformazioni del Narcisismo (1966); la rabbia
narcisistica (1972). La portata innovativa dei contributi teorici sollecitarono
Paparo a promuovere una raccolta dei saggi da tradurre in italiano; quindi a
conoscere ed avviare la collaborazione con Kohut. Da questo lavoro emergeranno
contenuti volti a bonificare il concetto di Narcisismo. Tali contenuti, se
inizialmente venivano riferiti sottovoce, troveranno nel 1977 una piena affermazione. Per definire cos’è che porta
alla cura della patologia del Sé, si rende necessario riesaminare criticamente
un ampio spettro di contenuti teorici già stabiliti in precedenza dalla
psicoanalisi (Kohut, 1977). Kohut evidenzia subito il carattere
introspettivo-empatico dell'esperienza del Sé iscrivendolo nel registro della psicologia
del profondo e differenziandolo sia dalle strutture dell'Io, Es e Super-io - con
diversa elaborazione concettuale -, sia dai concetti di Personalità e Identità
che come dice Kohut (1971) non originano dal registro Psicoanalitico; accanto
ad una psicologia del Sé in senso stretto, nel quale il Sé rappresenta un
semplice contenuto della mente, va considerata una psicologia del Sé in senso
lato, nel quale il Sé costituisce un centro indipendente d'iniziativa.
Il secondo aspetto che viene preso in esame, riguarda la
presentazione dei sei capitoli del libro La ricerca del Sé. In questo lavoro, tratteremo il primo
capitolo: “Introspezione, empatia e
psicoanalisi”. Questo punto di partenza nel pensiero di Kohut, sancisce una
prima nozione fondamentale: l’indagine sul mondo esterno attraverso i nostri
organi di senso corrisponde all’indagine nel mondo interno attraverso l’introspezione e l’empatia, definita anche introspezione
vicariante.
Introspezione, empatia e psicoanalisi
Kohut implementa una definizione circa i fenomeni fisici e
psicologici: quando operiamo un’osservazione attraverso gli organi di senso,
abbiamo semplicemente un fenomeno fisico. Quando l'osservazione è condotta
attraverso l’empatia e l’introspezione abbiamo un fenomeno psicologico. Questa
affermazione va intesa in senso ampio: così come vi sono pianeti invisibili a
influenzare pianeti direttamente osservabili, così nella Psicoanalisi, le
strutture psicologiche dell'inconscio e del preconscio possono essere
considerate in un quadro di esperienze di introspezione, vissute o potenziali. Ora
la domanda è la seguente: l’introspezione e l’empatia fanno sempre parte di
ogni osservazione psicologica? A tale riguardo Kohut porta un esempio: la
visione di una persona eccezionalmente alta. Osservare l’attributo fisico
dell’altezza da un punto di vista privo di empatia ed introspezione, significa
osservare un attributo squisitamente fisico! Ma se proviamo a metterci al posto
della persona alta - cioè rivisitiamo nostre esperienze interne nelle quali ci
siamo fatti notare per qualche attributo - accadono in noi due cose: una è
quella di riconoscere il significato che può avere quella statura, e l'altra è
quella di aver osservato un fatto psicologico. Conseguenza di quest'ultimo
punto, è che quando osserviamo solo gli aspetti fisici in assenza di empatia ed
introspezione non osserviamo il fatto psicologico di un’azione, ma solamente il
fatto fisico dei movimenti. Ma cos’è un atto psicologico? La domanda è
necessaria perché uno schema di movimenti con un suo fine preciso non basta a
definire un atto psicologico.
Possiamo osservare un fenomeno “somatico”, “comportamentale” o “sociale” quando
il nostro metodo di osservazione non include in modo prevalente introspezione
ed empatia. Quindi possiamo definire i
fenomeni come Mentali, Psichici o Psicologici, se la nostra modalità di osservazione
include introspezione ed empatia come costituenti essenziali. Il termine
essenziale sta a significare che introspezione ed empatia non possono mai
mancare ma al contempo possono essere mescolate con altri metodi di
osservazione; anche se poi il risultato finale è quello di un atto
introspettivo o empatico. L'uso dell'empatia entra nella nostra vita di tutti i
giorni e la nostra sensibilità psicologica è facilitata quando osserviamo
persone con cui abbiamo qualche radice culturale comune; ma anche quando
incontriamo persone che ci sembrano lontane da noi, confidiamo di capirle da un
punto di vista Psicologico, attraverso la scoperta di una esperienza comune con
la quale empatizzare! I pionieri dell’introspezione e dell’empatia per
eccellenza sono stati già Freud e Breuer; tuttavia, altri aspetti dell’inconscio,
dei fenomeni psicologici normali e patologici; le libere associazioni, l’analisi
delle resistenze etc. hanno oscurato il fatto che il primo passo di questa
scienza fosse l’introspezione e l’empatia. L’analisi delle libere associazioni
e l’analisi delle resistenze sono da considerarsi strumenti ausiliari a
servizio del metodo di osservazione introspettivo ed empatico. Ora la
dimostrazione importante è quella di definire come questo metodo di osservazione
determini il contenuto e i limiti del campo osservato; ma ancor di più la
connessione fra introspezione e teoria psicoanalitica, e come il misconoscimento
di quelle aeree ha portato ad omissioni ed errori.
Resistenze all’introspezione
La resistenza
alla libera associazione è una funzione
difensiva della mente, come una sorta di paura da parte del paziente di
conoscere contenuti inconsci e i loro derivati. Ci sono altresì ragioni
recondite che potrebbero essere ricondotte alla paura di rimanere “sguarniti e nudi”
di fronte a tensioni emergenti. Di fatti, è come se fossimo più attrezzati ad
un pensiero finalizzato ad un’azione. L’introspezione si “oppone” a tale
dinamica, in quanto la terapia analitica prepara “in toto” alla libertà di azione, e la libera associazione in se stessa
prepara ad un rimaneggiamento
strutturale attraverso una aumentata capacità a tollerare la tensione. Le
apprensioni circa il dispendio di energie sia psichiche sia materiali nel senso
di costi economici, sembrerebbero nascondere la paura dell’inattività di fronte
al flusso di energia derivante dall’introspezione; come una sorta di evasione
dalla realtà (questa può essere presente nelle forme patologiche). Tuttavia, il
fatto che se ne possa fare un uso sbagliato, non ci deve distogliere dalla
realtà che nei casi migliori essa è attiva, investigativa e intraprendente. Nella
sua massima potenza, essa è animata ad ampliare ed approfondire il nostro campo
di conoscenza.
Organizzazione
mentale precoce
E’ fuori di dubbio che l’attendibilità dell’empatia
diminuisca tanto più l’osservatore sia diverso dall’osservato, e in tal senso, gli stati mentali primitivi diventano una
sfida alla capacità di empatizzare con una persona (o meglio con un assetto
mentale passato). Nelle concettualizzazioni di Freud sulle “nevrosi attuali” l’introspezione non ha portato nessun risultato
psicologico, se non angoscia e dolore. Tant’è vero che questi risultati
portarono Freud a considerare tale tipo di nevrosi come il risultato di
disturbi organici; da indagare pertanto con strumenti biochimici. Di fronte a
stati psicopatologici gravi vennero messi in atto degli espedienti operativi. Invece
di estendere una forma rudimentale di empatia agli stati primitivi, si
confusero le osservazioni ottenute con il metodo introspettivo, con le teorie
basate sul metodo dell’osservazione della psicologia sociale (relazione
madre-bambino). Questo tipo di processi aldilà dell’empatia e dell’adattamento
che ne deriva, sono simili al movimento dell’acqua del ruscello che incontra, i
massi prima di confluire nel fiume. All’estremo opposto di questi processi,
troviamo gli stati psicologici più vicini alla nostra empatia, al nostro
processo logico e alla facoltà di scelta e di decisione.
Conflitto endopsichico e conflitto
interpersonale
Kohut mette in evidenza una differenza tra diversi tipi di
conflitti, in relazione alla gravità della psicopatologia: essi riguardano le
strutture Es, Io e Super-Io per i pazienti nevrotici, mentre l’ambito
interpersonale per pazienti più gravi (psicotici o disturbi al limite). I
conflitti interpersonali sono relativi alle relazioni arcaiche (il Sé non
adeguatamente formato nella relazione oggettuale risulta carente e bisognoso di
appoggio per formare la propria identità e il carattere).
Kohut, che nel 1959
non ha ancora formulato una teoria sistematica per i disturbi narcisistici,
parte da una critica opposta alla psicoanalisi: esaminando la convinzione che
la psicoanalisi non sia “sufficientemente interpersonale”, rivolge la sua
attenzione ai termini “relazione interpersonale”, “interazione”, “transazione”,
di solito prese in esame dagli psicologi sociali. In realtà agli occhi del
lettore moderno appare già evidente che ciò che l’autore sta proponendo per
semplice giustapposizione, è in realtà un radicale cambio di paradigma
(Strozier, 2001). Kohut tuttavia cita il modello strutturale di Freud del 1922,
facendo riferimento all’autonomia dell’Io (Hartmann, 1939), come modello della
mente. Che significato
psicoanalitico ha il termine “interpersonale”?
Conflitto strutturale, nevrosi di traslazione, traslazione.
Lo stesso Freud
si occupò di investigare le psiconevrosi usando l’introspezione e l’empatia. Tuttavia
il risultato di questa ricerca si focalizzò principalmente sulla scoperta dell’inconscio e del fenomeno della traslazione. Freud (1899) definì la
traslazione come influenza dell’inconscio sul preconscio, al di là della
barriera della rimozione. Manifestazioni principali della traslazione sono
sogni, sintomi, aspetti del modo in cui l’analizzando percepisce l’analista. La Traslazione indica come l’inconscio
influisce sulla parte più accessibile all’introspezione della psiche (vedi cap.
2 Concetti e teorie della psicoanalisi § “il concetto di traslazione”, p. 57). Mediante l’uso dell'introspezione emerse ciò che Freud chiamò conflitto
strutturale (endopsichico). Esso riguarda la lotta tra le pulsioni
infantili e le forze interne che vi si oppongono. In questa circostanza
l’analista come figura di traslazione, non è sperimentato nell’ottica di un
rapporto interpersonale, bensì come portatore di strutture endopsichiche
inconsce (ricordi inconsci) dell’analizzando (nevrosi di traslazione). (Es.:
un paziente racconta di non aver pagato il biglietto dell’autobus per arrivare
in seduta. Egli nota che il volto dell’analista è serio mentre lo saluta. In
questo caso l’analista come figura di traslazione è un’espressione del Super-io
inconscio dell’analizzando).
Conflitto interpersonale, psicosi e disturbi al limite, metodo introspettivo.
La psicoanalisi ha ampliato il proprio campo di indagine
fino ad includere la psicosi. Le due
prime e più importanti scoperte nel campo della psicosi furono quelle di
Freud nel 1914(b) - parla di ipocondria psicotica mediante il
riconoscimento empatico o introspettivo - e Tausk che nel 1919 parla del delirio schizofrenico di essere influenzato da
una macchina (delirio di riferimento); esso riguarda la riesumazione di una parte
primitiva del Sé, ovvero una regressione a esperienze somatiche penose ed
angosciose dopo la perdita di contatto con l’esperienza del “Tu”.
I disturbi
narcisistici e
gli stati limite a differenza delle nevrosi, rivelano mediante l'introspezione prolungata, una psiche non strutturata ovvero una psiche il cui principale sforzo è quello di mantenere un
contatto con l’oggetto arcaico, o una tenue separazione da esso (conflitto
interpersonale). L’analista in questo caso non funge da schermo per la
proiezione della struttura interna dell’analizzando come per le nevrosi, bensì
diventa una “continuazione diretta di una
realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile
per essere trasformata in una solida struttura psicologica” (p. 17). L'analista è sperimentato introspettivamente nel quadro di una relazione interpersonale arcaia: egli è il vecchio oggetto con il quale l'analizzando cerca di mantenere un contatto, separare la propria identità o trarre un minimo di struttura interna.
In tal senso il fulcro del conflitto è la relazione,
nello specifico la relazione arcaica con i genitori, che non ha permesso un
corretto sviluppo delle strutture psichiche e del Sé. Es.: un paziente
schizofrenico arriva in seduta in uno stato di freddezza e riserbo. La notte
precedente ha sognato un campo innevato e sterile, in cui una donna gli offre
il seno, ma lui scopre che il seno era di gomma. La freddezza del paziente e il
suo sogno si scoprono essere la reazione ad un rifiuto minimo ma significativo
dell’analista (conflitto interpersonale). Traslazione
e controtraslazione, afferma inoltre Kohut, denotano nient’altro che relazioni interpersonali nel senso
della psicologia sociale.
I due approcci teorici (strutture/nevrosi e relazione/disturbi narcisistici) possono essere
combinati mediante il ricorso al concetto-ponte di osservatore partecipante. Il concetto di osservatore
partecipante permette di far svanire la distinzione tra oggetto traslativo
delle nevrosi strutturali e oggetto interpersonale arcaico dei disturbi
narcisistici. Ma, senza questa differenziazione, afferma Kohut, la
psicopatologia potrebbe contenere i più differenti fenomeni clinici come
varietà o gradi della schizofrenia (Sullivan, 1940).
Nelle psicosi e nei disturbi limite, i conflitti interpersonali arcaici
occupano una posizione centrale; così come nelle nevrosi, è il conflitto
strutturale ad avere importanza strategica. La stessa cosa si applica ai conflitti strutturali nelle psicosi. La
scelta è determinata solo in parte dal passato. Mentre è vero che tutte le
traslazioni sono ripetizioni, non tutte le ripetizioni sono traslazioni.
Mediante l'introspezione scientifica prolungata possiamo differenziare: scelte oggettuali non traslative strutturate secondo modelli infantili (es. parte di
quanto definito traslazione positiva); dalle vere traslazioni.Le vere traslazioni possono essere risolte da un'introspezione prolungata, le scelte oggettuali non traslative invece, sono al di fuori del conflitto strutturale e non possono essere influenzate dall'introspezione psicoanalitica.
Kohut riprenderà questo
argomento nell’ultimo paragrafo dello scritto, in cui farà più esplicito
riferimento al problema del libero arbitrio e del determinismo psichico nella
psicoanalisi classica.
Dipendenza
Una ulteriore importante differenza introdotta da Kohut riguarda
la dicotomia biologia/relazione. Tale genere di differenza determina il metodo
di osservazione: alcuni concetti teorici derivano dall’osservazione psicoanalitica,
ovverosia dalla considerazione biologica della realtà da cui traiamo per
astrazione un modello teorico (teoria dello sviluppo psicosessuale); mentre
altri concetti derivano da un altro metodo di osservazione: l’introspezione vicariante (o empatia).
Kohut prende
come esempio per spiegare questa differenza la sessualità infantile.
Quindi
domanda se ad es. la dipendenza orale (come astrazione teorica psicoanalitica) potrebbe
essere connessa all’osservazione interpersonale della dipendenza prolungata,
biologicamente inevitabile dell’infante.
Secondo Kohut, la risposta è
affermativa. Questa è un’ipotesi psicoanalitica? Si può dire di si,
perché tale ipotesi non sarebbe neppure esistita, senza la premessa della dipendenza
biologicamente determinata. Dunque tutto ciò che è psicoanalisi ha una radice
nella biologia (come anche il modello pulsionale di Freud).
Kohut prende
quindi in esame il concetto di dipendenza,
e ne analizza l’etimologia individuando tre aspetti; biologico, sociologico,
psicologico.
Biologico come rapporto tra due organismi. Il neonato è dipendente dalle
cure che riceve dall’adulto. Sociologico come rapporto tra due unità sociali. L’adulto, sviluppa solo
certe qualità in quanto membro della società ed è quindi dipendente da essa per
la sua sopravvivenza.
Psicologico:diciamo che alcuni pazienti hanno problemi di dipendenza o
che li sviluppano nel corso dell’analisi. Cosa intendiamo con dipendenza
psicologica?
Dal punto di vista psicoanalitico, le personalità oralmente
dipendenti desiderano perpetuare il rapporto con l’analista. Il termine dipendenza orale deriva
dall’osservazione psicoanalitica del paziente e costituisce un’astrazione sul
suo stato mentale. Ciò combacia con il concetto di regressione ovvero ritorno ad uno stato psicologico pregresso. Ma non si discute il fatto che il lattante è dipendente dalla madre, bensì se lo stato mentale del lattante corrisponde a quanto troviamo nell'analisi dei desideri rimossi di dipendenza di un analizzando adulto! Ovvero: lo stato mentale del lattante corrisponde allo stato mentale di un analizzando adulto con desideri rimossi di dipendenza?
Secondo Kohut no, e per dimostrarlo fa l’esempio
inverso: lo stato mentale ed emotivo dell’analizzando dipendente non è quello del
lattante al seno, in quanto un corrispettivo adulto di tale stato riguarderebbe
la situazione di una persona totalmente assorta in un’attività di massima
importanza per lei (ad es. lo scatto finale di una corsa di 100 mt., il solista
nel punto culminante della sua melodia, l’amante nell’acme dell’unione
sessuale).
Se ipotizziamo che la dipendenza dell’adulto è un ritorno ad una
primitiva gestalt psicologica, non abbiamo capito la psicologia dei bambini
sani. Dunque per Kohut è solo
l’osservazione psicologica (empatia circa lo stato reale) che fornisce la prova
finale per qualsiasi scoperta: il principio biologico (teorizzazione
psicoanalitica) può solo fornire utili indizi.
E’ quindi sbagliato
estrapolare l’interpretazione di uno specifico stato mentale da principi
biologici, specialmente se questi contraddicono le osservazioni psicologiche;
ad esempio è inutile effettuare un’interpretazione circa la dipendenza orale
del paziente senza capire come sta realmente!
La dipendenza descritta come: tendenza di alcuni pazienti adulti a
essere timorosi, aggrapparsi ostinatamente, tenersi stretti, avere resistenze a
lasciarsi andare, può quindi essere definita secondo Kohut in quattro modi:
Come regressione alla situazione infantile. In questo caso essa non costituisce una replica di una fase normale dello sviluppo psicologico ovvero la regressione allo stato mentale di un bambino normale di genitori normali, ma è ascrivibile alla patologia infantile; nello specifico a fasi successive dell'infanzia in cui il bambino ha avuto esperienze specifiche di rifiuto (intricati miscugli di rabbia, paura e ritorsione).
Come reazione del paziente per proteggersi dall'angoscia e dal senso di colpa derivati da conflitti strutturali mediante l’attaccamento al terapeuta, portatore mediante proiezione
di fantasie narcisistiche benigne e onnipotenti. Quindi: la dipendenza psicologica non riguarda esclusivamente
l’oralità. In taluni casi, questo è vero, ma l’osservazione empatica libera
da aspettative di ordine biologico, può essere aperta al riconoscimento che una
grande varietà di pulsioni, in stato di inappagamento può creare una
sottomissione (Hörigkeit) al terapeuta. E’ dunque l’attaccamento ostinato e non
l’associazione ad una pulsione a caratterizzare lo stato mentale in questione.
Come resistenza al cambiamento o adesività della libido. Ci si dovrebbe rivolgere a questa ipotesi
solo dopo aver esaurito le precedenti possibilità o in caso di evidenza
psicologica. Es.:
uno dei trenta superstiti di un campo di concentramento che aveva visto la
morte di centomila persone, non riesce a lasciare il campo prima del
trascorrere di quattro lunghi giorni, sebbene le guardie naziste fossero
fuggite in seguito all’avanzata russa.
Come bisogno, da parte del paziente, del terapeuta per ottenere consolazione e sostegno. Analizzandi con insufficiente struttura psicologica hanno bisogno del terapeuta in quanto hanno realmente
necessità di essere consolati e sostenuti. La loro dipendenza non può essere analizzata o ulteriormente ridotta per
la comprensione globale: deve essere riconosciuta e accettata. In realtà in
questi casi, il compito psicoanalitico
maggiore è l’analisi della negazione del bisogno reale: il paziente deve
imparare a sostituire le fantasie grandiose mantenute grazie all’isolamento
sociale, con l’accettazione per lui penosa, della realtà della sua dipendenza. Ad
es.: alcuni tossicodipendenti non hanno acquisito la capacità consolarsi da
soli o addormentarsi - non hanno trasformato le antiche esperienze di
consolazione e addormentamento in strutture endopsichiche -, pertanto la droga
non è il sostituto delle relazioni oggettuali, bensì è un sostituto della
struttura psicologica. In psicoterapia questi pazienti presentano la stessa
dipendenza che hanno per la droga, per lo psicoterapeuta o la psicoterapia.
Tale dipendenza non va confusa con la traslazione: il terapeuta non è uno schermo per la proiezione di strutture
psicologiche esistenti, ma un sostituto di esse.
Sessualità, aggressività, pulsioni
In questo caso Kohut prende direttamente in esame il
problema della sessualità nella teoria psicoanalitica per darne una
definizione. La teorizzazione sulla sessualità ha prodotto una grande quantità
di dispute. Secondo Kohut la qualità
sessuale di un’esperienza non può essere ben definita né dal contenuto, né
dalla zona corporea (rifiuto del modello psicoanalitico classico di sviluppo
psicosessuale).
Una prova dell’effettiva esistenza di desideri sessuali può
provenire soltanto da una loro scoperta introspettiva ed empatica. La
qualità sessuale dell’esperienza non può essere ulteriormente definita.
Tuttavia
gli analisti intendono con il termine sessuale
qualcosa di più ampio della sessualità genitale. La sessualità è il residuo di un’esperienza che era nell’infanzia più
diffusa (sensualità). Freud (1921a) ha scelto il termine sessuale “a
potiori” ovvero dalle più note di questo tipo di esperienze, ha insistito
sull’aspetto biologico del termine sessuale per poterne salvaguardare l’aspetto
psicologico: usando i termini forza
vitale ed energia mentale si creano quindi dei malintesi nel riconoscimento
della modalità primaria dell’esperienza, che è stata rifiutata (come per il
polo ostilità-aggressività).
Ciò che noi oggi chiamiamo pulsione, non denota
un’energia che funge da motore, ma un’esperienza soggettiva interna con
carattere di urgenza, che appare più chiara se messa in relazione alla
corrispettiva esperienza interna in termini di investigazione introspettiva. L’esperienza
può avere qualità pulsionale (volere, desiderare, tendere) ed è un’astrazione
tra innumerevoli esperienze interne; connota una determinata qualità
psicologica che non può essere ulteriormente analizzata mediante
l’introspezione.
Pulsione di vita e pulsione di morte pertanto, sono astrazioni
teoriche, mentre la psicoanalisi deve concentrarsi sul vissuto reale, e non
sulla teoria! Eros e Thanatos non appartengono a una teoria psicologica basata
su osservazione introspettiva ed empatica, ma a una teoria biologica basata su
un metodo di osservazione diverso.
Narcisismo e Masochismo primario invece, costituiscono
secondo Freud un ritorno a primitive forme di esperienze sessuali e aggressive
alle quali corrispondono le forme più recenti (Narcisismo clinico e Masochismo clinico) reattive rispetto alla tensione proveniente dall’ambiente; ciò è
coerente ed accettabile per Kohut, in quanto tale concetti trovano espressione
nella comprensione psicologica.
Kohut cita quindi Hartmann, Kris e Loewenstein,
(1949) i quali suggeriscono che il biologo trova indizi utili nella psicologia;
tuttavia le sue teorie si basano su osservazioni e prove biologiche, e afferma
che d’altra parte l’applicazione dell’introspezione a ogni cosa animata non è
scientificamente valida (vedi Ferenczi, 1924).
Kohut
ammira l’audacia delle teorie biologiche freudiane, ma i concetti di Eros e
Thanatos restano fuori dal quadro della psicologia psicoanalitica. Tuttavia,
afferma anche Kohut, Freud rigettava le teorie biologiche se non poteva
confermarle mediante l’osservazione psicoanalitica introspettiva. Un esempio
lampante di questa posizione è ad es. la concezione freudiana della sessualità
femminile (intesa come ritiro da una maschilità delusa) che ha scatenato la
questione dell’antifemminismo di Freud.
E’ evidente a livello biologico la donna possiede una femminilità primaria e che
tale femminilità non si esaurisce nel confronto con la sessualità maschile;
tuttavia Freud non cambiò idea sulle sue teorie, in quanto esse trovavano
corrispondenza nell’osservazione psicoanalitica: non volle quindi accettare una
congettura biologica come un fatto psicologico. La concezione freudiana della sessualità femminile è un esempio della
sua adesione al metodo di osservazione introspettiva ed empatica; tuttavia
taluni altri concetti rimasero privi di una specificazione basata sulla
comprensione empatica. Per quanto riguarda questi ultimi concetti, “accettare
il punto di vista dinamico e la concezione di pulsione non è più giustificabile
dell’accettare il punto di vista strutturale a livello anatomico”.
Il libero arbitrio e i limiti dell’introspezione
La nostra facoltà di fare una scelta o prendere una decisione è compatibile con la legge del determinismo psichico?
(Knight, 1946; Lipton, 1955). Secondo la psicoanalisi non esiste una libera
scelta: siamo tutti spinti da forze irrazionali (inconscio) che possiamo solo
razionalizzare (tentare di capire); inoltre, tendiamo a ipervalutare narcisisticamente
le nostre funzioni psichiche.
Freud sostituisce
quanto in precedenza affermato circa l’esistenza di un’area di libertà psichica.
Tale esitazione emerge nella nota a piè di pagina in L’Io e L’Es (1922, p. 512) in cui afferma che la psicoanalisi si propone
“di creare per l’Io del malato la libertà
di optare per una soluzione o per l’altra”. Inoltre, il concetto di Ichtriebe (pulsioni dell’Io),
l’affermazione che l’Io si sviluppa dall’Es o che il principio di realtà non è
che una modificazione del principio di piacere sono tutte tesi a dimostrazione dell’esitazione
di Freud. Le successive teorizzazioni freudiane incorporeranno in maniera
implicita il convincimento di una qualche libertà di scelta: l’enfasi sull’Io,
i commenti sulla genesi indipendente dell’Io in Analisi terminabile e interminabile (Freud, 1937) sono precursori
di quanto noi conosciamo come autonomia dell’Io (Hartmann, 1939).
Kohut si
domanda quindi se in base allo strumento di osservazione introspettivo è
possibile operare una riformulazione della questione, per chiarire come avviene
la libera scelta. Secondo Kohut l'esperienza di essere obbligati e l'esperienza di indecisione e dubbio possono essere dipanate dall'introspezione. Quando mediante l'introspezione ristabiliamo le motivazioni alla base delle nostre scelte, diventiamo nuovamente consapevoli e ripristiniamo la libera scelta e la capacità di decisione. Possiamo allora risolvere l'esperienza di coazione. Inoltre, l'introspezione non può ulteriormente indagare lo stato della libera scelta, in quanto essa non è scomponibile.
Ogni scienza ha un numero ottimale
di concetti basilari: i limiti della psicoanalisi sono dati dai limiti della possibilità di introspezione e di empatia. Nel campo osservato regna il determinismo psichico. L'introspezione sottoforma di libere associazioni e analisi delle resistenze è potenzialmente capace di rivelare motivazioni e desideri, decisioni, scelte, atti. Tuttavia è necessario riconoscere i limiti oltre i quali lo strumento di osservazione non arriva, e bisogna accettare il fatto che certe esperienze non possono essere allo stato attuale delle conoscenze, ulteriormente chiarite. Ciò che sperimentiamo come libera scelta è l'esperienza dell'Io che non può essere divisa in ulteriori componenti mediante il metodo introspettivo (vedi p.
17).
Bibliografia
Ferenczi, S., (1924), “Thalassa. Psicoanalisi delle nevrosi
e delle psicosi”, Tr. it. in Fondamenti
di psicoanalisi vol. I Guaraldi, Firenze, 1972.
Freud, S., (1899), L’interpretazione
dei sogni. In Opere. Vol. III, Bollati
Boringhieri, Torino
Freud, S., (1914b), Introduzione
al narcisismo. In Opere. Vol. VII, Bollati
Boringhieri, Torino
Freud, S., (1915-17), Introduzione
alla psicoanalisi. In Opere, Vol.
VIII, Bollati
Boringhieri, Torino, 1976.
Freud, S., (1921a), Psicologia
delle masse e analisi dell’Io. In Opere.
Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino
Freud, S., (1922), L’Io e l’Es. In Opere. Vol.
IX, Bollati
Boringhieri, Torino
Freud, S., (1937),
Analisi terminabile e interminabile, In
Opere,
Vol. XI
Bollati Boringhieri, Torino
Hartmann, H., (1939), Psicologia
dell’Io e il problema dell’adattamento. Tr. it. Bollati Boringhieri,
Torino, 1966.
Hartmann, H., Kris, E., Loewenstein, R. M., (1949), “Note
sulla teoria dell’aggressività” in Scritti
di psicologia psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
Kohut, H., (1959-1981), Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti. Bollati Boringhieri,
Torino, 2003.
Kohut, H., (1966), “Forme e trasformazioni del narcisismo”. Tr. it. in La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1971), Narcisismo e analisi del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
Kohut, H., (1972), “Pensieri sul narcisismo e sulla rabbia
narcisistica”. Tr. it. in La ricerca del Sé. Bollati
Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1977), La guarigione del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1980.
Kohut, H., (1978), La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri, Torino, 1982.
Kohut, H., (1984), La cura psicoanalitica. Bollati Boringhieri, Torino, 1986.
Lipton, S. D., (1955), A
note on the Compatibility of Psychic Determinism and Freedom of Will. Int.
J. Psycho-Analysis, vol. 36, 355-56.
Ornstein, P. H., (1998), “Psicoanalisi dei pazienti con un
disturbo primario del Sé. Una prospettiva basata sulla psicologia del Sé”. In I disturbi del narcisismo. Diagnosi,
clinica, ricerca. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.
Strozier, C. B., (2001), Heinz
Kohut. Biografia di uno psicoanalista. Astrolabio Ubaldini, 2005.
Sullivan, H. S., (1940), La moderna concezione della
psichiatria. Feltrinelli, Milano, 1961.
Tausk, V., (1919), “Origine della “macchina influenzatrice”
nella schizofrenia”. Tr. it. in W. Reich e altri, Letture di Psicoanalisi a cura di R. Fliess Boringhieri, Torino,
1972.